La Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 24997 del 21 giugno 2012) ha condannato per omicidio colposo due imprenditori perché non hanno dotato un loro operaio della protezione necessaria e prevista anche negli anni sessanta (DPR 547/1955 e DPR 303/1956) per difendersi dall’inalazione delle fibre di amianto.
La Sezione Penale che ha esaminato il caso, ha riconosciuto il nesso di causalità tra inalazione di fibre di amianto e malattia (mesetelioma pleurico) anche se i sintomi di quest’ultima sono apparsi dopo 40anni.
L’operaio, morto nel 2004, un anno dopo che gli é stato diagnosticato il mesotelioma, era addetto alla copertura dei tetti dell’azienda, presso la quale ha lavorato dal 1965 al 1990.
In Appello i giudici avevano escluso il citato nesso di causalità facendo venir meno anche la responsabilità dell’azienda per la morte del loro ex lavoratore.
I Giudici con la toga di ermellino peró ribaltano questa decisione osservando come gli studi sul mesotelioma pleurico avevano chiarito “che il rischio di insorgenza del tumore è proporzionale al tempo e all’intensità di esposizione e che ad un aumentare della dose è stata dimostrata una riduzione del periodo di latenza” e hanno ritenuto “dimostrato che i lavoratori non erano stati informati della pericolosità derivante dalla lavorazione dell’amianto e che nessun controllo veniva fatto dai datori di lavoro sull’uso delle mascherine protettive”.
Nel caso in specie i giudici hanno precisato che “il periodo di latenza è stato particolarmente lungo per effetto dell’esposizione non permanente ma limitata a due, tre giorni al mese e quindi di non particolare intensità”.
Per la suprema corte “quando la ricerca della legge di copertura debba attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria (integrativa delle conoscenze giudiziali) di quest’ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti”