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Lavoro, la Cassazione si pronuncia in materia di discriminazione delle donne

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Sentenze Cassazione 2013

Lavoro, la Cassazione si pronuncia in materia di discriminazione delle donne
Suprema Corte di Cassazione Civile – Sezione Lavoro
Sentenza n. 14206 del 5 giugno 2013

La Cassazione tra trattato varie volte il tema della discriminazione sui luoghi di lavoro nei confronti delle donne e, con la sentenza n. 14206 del 5 giugno 2013, ha colto l’occasione per rafforzare il principio di uguaglianza espresso dalla legge che fa espresso divieto di trattare i lavoratori in maniera diversa in base al sesso ad esempio nell’affidare incarichi oppure nell’assegnare qualifiche etc.

Non a caso, lo Statuto dei Lavoratori, legge 20.05.1970 n. 300 , G.U. 27.05.1970, precisa che:

Articolo 15  Atti discriminatori.

È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica o religiosa.

Nel caso giunto fino a Piazza Cavour la Corte ha dovuto esaminale le lamentele di una donna che non ha avuto il posto di funzionaria a cui aspirava da tempo nonostante avesse tutti i requisiti necessari per ottenere tale promozione.
La donna lamentava la mancata assegnazione proprio per circostanze discriminatorie legate al sesso.

La domanda della lavoratrice veniva rigettata in primo grado ma successivamente veniva accolta dai giudici dell’Appello e, pertanto, si rendeva necessario, per il datore di lavoro, chiedere l’intervento degli ermellini al fine di concludere definitivamente la vicenda lamentando un vizio di motivazione delle sentenza fondata su elementi probatori non precisi né concordanti.

Per i giudici del Palazzaccio la lavoratrice può agire ex l.903/1977 “per qualunque altra condotta discriminatoria (…) l’unico strumento processuale utilizzabile continua ad essere l’azione ordinaria di nullità di cui all’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori”

I giudici di legittimità continuano precisando alcuni aspetti riguardanti le forme di discriminazione diretta ed indiretta spiegando che “ogni trattamento pregiudizievole conseguente alla adozione di criteri che svantaggiano in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e riguardino i requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa“.

In conclusione, la Cassazione ha affermato che l’onere di provare la presunta discriminazione resta comunque in capo alla danneggiata e che nel caso di specie tale prova non è stata dimostrata dagli elementi prodotti nel corso del giudizio di merito e, per questi motivi la Corte ha accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata, decidendo nel merito col rigetto della domanda iniziale della lavoratrice.

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