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Codice Civile – Libro Terzo (Titolo I-V artt. 810-1027) – Della proprietà

Codice Civile

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo I
Dei beni

Capo I
Dei beni in generale

Art. 810.
Nozione.

Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.

Sezione I
Dei beni nell’ordine corporativo

Art. 811. (1)
Disciplina corporativa.

(1) Articolo abrogato dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 287.

Sezione II
Dei beni immobili e mobili

Art. 812.
Distinzione dei beni.

Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.

Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.

Sono mobili tutti gli altri beni.

Art. 813.
Distinzione dei diritti.

Salvo che dalla legge risulti diversamente, le disposizioni concernenti i beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili e alle azioni relative; le disposizioni concernenti i beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti.

Art. 814.
Energie.

Si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico.

Art. 815.
Beni mobili iscritti in pubblici registri.

I beni mobili iscritti in pubblici registri sono soggetti alle disposizioni che li riguardano e, in mancanza, alle disposizioni relative ai beni mobili.

Art. 816.
Universalità di mobili.

È considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.

Le singole cose componenti l’universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici.

Art. 817.
Pertinenze.

Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa.

La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima.

Art. 818.
Regime delle pertinenze.

Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.

Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici.

La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.

Art. 819.
Diritti dei terzi sulle pertinenze.

La destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento di un’altra non pregiudica i diritti preesistenti su di essa a favore dei terzi. Tali diritti non possono essere opposti ai terzi di buona fede se non risultano da scrittura avente data certa anteriore, quando la cosa principale è un bene immobile o un bene mobile iscritto in pubblici registri.

Sezione III
Dei frutti

Art. 820.
Frutti naturali e frutti civili.

Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere.

Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura.

Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni.

Art. 821.
Acquisto dei frutti.

I frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione.

Chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore, rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto.

I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.

Capo II
Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici

Art. 822.
Demanio pubblico.

Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale.

Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.

Art. 823.
Condizione giuridica del demanio pubblico.

I beni che fanno parte del demanio pubblico, sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.

Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.

Art. 824.
Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali.

I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell’articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.

Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.

Art. 825.
Diritti demaniali su beni altrui.

Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.

Art. 826.
Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni.

I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni.

Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.

Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.

Art. 827.
Beni immobili vacanti.

I beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.

Art. 828.
Condizione giuridica dei beni patrimoniali.

I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.

I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

Art. 829.
Passaggio di beni dal demanio al patrimonio.

Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato dev’essere dichiarato dall’autorità amministrativa.

Dell’atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta ufficiale della Repubblica.

Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio deve essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.

Art. 830.
Beni degli enti pubblici non territoriali.

I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali.

Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma dell’articolo 828.

Art. 831.
Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto.

I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.

Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo II
Della proprietà

Capo I – Disposizioni generali (Artt. 832-839)
Capo II – Della proprietà fondiaria (Artt. 840-921)
Capo III – Dei modi di acquisto della proprietà (Artt. 922-947)
Capo IV – Delle azioni a difesa della proprietà (Artt. 948-951)


Capo I
Disposizioni generali

Art. 832.
Contenuto del diritto.

Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.

Art. 833.
Atti d’emulazione.

Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Art. 834.
Espropriazione per pubblico interesse.

Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità.

Le norme relative all’espropriazione per causa di pubblico interesse sono determinate da leggi speciali.

Art. 835.
Requisizioni.

Quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, può essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili. Al proprietario è dovuta una giusta indennità.

Le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali.

Art. 836.
Vincoli ed obblighi temporanei.

Per le cause indicate dall’articolo precedente l’autorità amministrativa, nei limiti e con le forme stabiliti da leggi speciali, può sottoporre a particolari vincoli od obblighi di carattere temporaneo le aziende commerciali e agricole.

Art. 837.
Ammassi.

Allo scopo di regolare la distribuzione di determinati prodotti agricoli o industriali nell’interesse della produzione nazionale sono costituiti gli ammassi.

Le norme per il conferimento dei prodotti negli ammassi sono contenute in leggi speciali.

Art. 838.
Espropriazione di beni che interessano la produzione nazionale o di prevalente interesse pubblico.

Salve le disposizioni delle leggi penali e di polizia, nonché le disposizioni particolari concernenti beni determinati, quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l’esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all’espropriazione dei beni da parte dell’autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità.

La stessa disposizione si applica se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città o alle ragioni dell’arte, della storia o della sanità pubblica.

Art. 839.
Beni d’interesse storico e artistico.

Le cose di proprietà privata, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, sono sottoposte alle disposizioni delle leggi speciali.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo II
Della proprietà

Capo II
Della proprietà fondiaria

Sezione I
Disposizioni generali

Art. 840.
Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo.

La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi

escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali.

Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.

Art. 841.
Chiusura del fondo.

Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo.

Art. 842.
Caccia e pesca.

Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno.

Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità.

Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo.

Art. 843.
Accesso al fondo.

Il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune.

Se l’accesso cagiona danno è dovuta un’adeguata indennità.

Il proprietario deve parimenti permettere l’accesso a chi vuole riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi si sia riparato sfuggendo alla custodia. Il proprietario può impedire l’accesso consegnando la cosa o l’animale.

Art. 844.
Immissioni.

Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.

Art. 845.
Regole particolari per scopi di pubblico interesse.

La proprietà fondiaria è soggetta a regole particolari per il conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti

dalle leggi speciali e dalle disposizioni contenute nelle sezioni seguenti.

Art. 846. (1)
[Minima unità colturale.

Nei trasferimenti di proprietà, nelle divisioni e nelle assegnazioni a qualunque titolo, aventi per oggetto terreni destinati a coltura o suscettibili di coltura, e nella costituzione o nei trasferimenti di diritti reali sui terreni stessi non deve farsi luogo a frazionamenti che non rispettino la minima unità colturale.

S’intende per minima unità colturale la estensione di terreno necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola e, se non si tratta di terreno appoderato, per esercitare una conveniente coltivazione secondo le regole della buona tecnica agraria.

(1) Articolo abrogato dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228.

Art. 847. (1)
[Determinazione della minima unità colturale.

L’estensione della minima unità colturale sarà determinata distintamente per zone, avuto riguardo all’ordinamento produttivo e alla situazione demografica locale, con provvedimento dell’autorità amministrativa, da adottarsi sentite le associazioni professionali.]

(1) Articolo abrogato dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228.

Art. 848. (1)
[Sanzione dell’inosservanza.

Gli atti compiuti contro il divieto dell’articolo 846 possono essere annullati dall’autorità giudiziaria, su istanza del pubblico ministero. L’azione si prescrive in tre anni dalla data della trascrizione dell’atto.]

(1) Articolo abrogato dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228.

Art. 849.
Fondi compresi entro maggiori unità fondiarie.

Indipendentemente dalla formazione del consorzio previsto dall’articolo seguente, il proprietario di terreni entro i quali sono compresi appezzamenti appartenenti ad altri, di estensione inferiore alla minima unità colturale, può domandare che gli sia trasferita la proprietà di questi ultimi, pagandone il prezzo, allo scopo di attuare una migliore sistemazione delle unità fondiarie. In caso di contrasto decide l’autorità giudiziaria(1).

(1) Le parole: “sentite le associazioni professionali circa la sussistenza delle condizioni che giustificano la richiesta di trasferimento.” sono da considerarsi inefficaci in forza della soppressione dell’ordinamento corporativo fascista disposta dall’art. 1 del D.L.vo Lgt. 23 novembre 1944, n. 369

Art. 850.
Consorzi a scopo di ricomposizione fondiaria.

Quando più terreni contigui e inferiori alla minima unità colturale appartengono a diversi proprietari, può, su istanza di alcuno degli interessati o per iniziativa dell’autorità amministrativa, essere costituito un consorzio tra gli stessi proprietari, allo scopo di provvedere a una ricomposizione fondiaria idonea alla migliore utilizzazione dei terreni stessi.

Per la costituzione del consorzio si applicano le norme stabilite per i consorzi di bonifica.

Art. 851.
Trasferimenti coattivi.

Il consorzio indicato dall’articolo precedente può predisporre il piano di riordinamento.

Per la migliore sistemazione delle unità fondiarie può procedersi a espropriazioni e a trasferimenti coattivi; può anche procedersi a rettificazioni di confini e ad arrotondamento di fondi.

Art. 852.
Terreni esclusi dai trasferimenti.

Dai trasferimenti coattivi previsti dall’articolo precedente sono esclusi:

1) gli appezzamenti forniti di casa di abitazione civile o colonica;

2) i terreni adiacenti ai fabbricati e costituenti dipendenze dei medesimi;

3) le aree fabbricabili;

4) gli orti, i giardini, i parchi;

5) i terreni necessari per piazzali o luoghi di deposito di stabilimenti industriali o commerciali;

6) i terreni soggetti a inondazioni, a scoscendimenti o ad altri gravi rischi;

7) i terreni che per la loro speciale destinazione, ubicazione o singolarità di coltura presentano caratteristiche di spiccata individualità.

Art. 853.
Trasferimento dei diritti reali.

Nei trasferimenti coattivi le servitù prediali sono abolite, conservate o create in relazione alle esigenze della nuova sistemazione.

Gli altri diritti reali di godimento sono trasferiti sui terreni assegnati in cambio e, qualora non siano costituiti su tutti i terreni dello stesso proprietario, sono trasferiti soltanto su una parte determinata del fondo assegnato in cambio, che corrisponda in valore ai terreni su cui esistevano.

Le ipoteche che non siano costituite su tutti i terreni dello stesso proprietario sono trasferite sul fondo di nuova assegnazione per una quota corrispondente in valore ai terreni su cui erano costituite. In caso di espropriazione forzata dell’immobile gravato da ipoteca su una quota, l’immobile è espropriato per intero e il credito è collocato, secondo il grado dell’ipoteca, sulla parte del prezzo corrispondente alla quota soggetta alla ipoteca medesima.

Art. 854.
Notifica e trascrizione del piano di riordinamento.

Il piano di riordinamento deve essere preventivamente portato a cognizione degli interessati, e contro di esso è ammesso reclamo in via amministrativa, nelle forme e nei termini stabiliti da leggi speciali.

Il provvedimento amministrativo di approvazione definitiva del piano dev’essere trascritto presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni.

Art. 855.
Effetti dell’approvazione del piano di riordinamento.

Con l’approvazione del piano di riordinamento si operano i trasferimenti di proprietà e degli altri diritti reali; sono anche costituite le servitù imposte nel piano stesso.

Art. 856.
Competenza dell’autorità giudiziaria.

Nelle materie indicate dagli articoli 850 e seguenti è salva la competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria per la tutela dei diritti degli interessati. L’autorità giudiziaria non può tuttavia con le sue decisioni provocare una revisione del piano di riordinamento, ma può procedere alla conversione e liquidazione in danaro dei diritti da essa accertati.

Il credito relativo è privilegiato a norma delle leggi speciali.

Sezione III
Della bonifica integrale

Art. 857.
Terreni soggetti a bonifica.

Per il conseguimento di fini igienici, demografici, economici o di altri fini sociali possono essere dichiarati soggetti a bonifica i terreni che si trovano in un comprensorio, in cui sono laghi, stagni, paludi e terre paludose, ovvero costituito da terreni montani dissestati nei riguardi idro-geologici e forestali, o da terreni estensivamente coltivati per gravi cause d’ordine fisico o sociale, i quali siano suscettibili di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo.

Art. 858.
Comprensorio di bonifica e piano delle opere.

Il comprensorio di bonifica e il piano generale dei lavori e di attività coordinate sono determinati e pubblicati a norma della legge speciale.

Art. 859.
Opere di competenza dello Stato.

Il piano generale indicato dall’articolo precedente stabilisce quali opere di bonifica siano di competenza dello Stato.

Art. 860.
Concorso dei proprietari nella spesa.

I proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica.

Art. 861.
Opere di competenza dei privati.

I proprietari degli immobili indicati dall’articolo precedente sono obbligati a eseguire, in conformità del piano generale di bonifica e delle connesse direttive di trasformazione agraria, le opere di competenza privata che siano d’interesse comune a più fondi o d’interesse particolare a taluno di essi.

Art. 862.
Consorzi di bonifica.

All’esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere di bonifica può provvedersi a mezzo di consorzi tra i proprietari interessati.

A tali consorzi possono essere anche affidati l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle altre opere d’interesse comune a più fondi o d’interesse particolare a uno di essi.

I consorzi sono costituiti per decreto del Presidente della Repubblica e, in mancanza dell’iniziativa privata, possono essere formati anche d’ufficio.

Essi sono persone giuridiche pubbliche e svolgono la loro attività secondo le norme dettate dalla legge speciale.

Art. 863.
Consorzi di miglioramento fondiario.

Nelle forme stabilite per i consorzi di bonifica possono essere costituiti anche consorzi per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio di opere di miglioramento fondiario comuni a più fondi e indipendenti da un piano generale di bonifica.

Essi sono persone giuridiche private. Possono tuttavia assumere il carattere di persone giuridiche pubbliche quando, per la loro vasta estensione territoriale o per la particolare importanza delle loro funzioni ai fini dell’incremento della produzione, sono riconosciuti d’interesse nazionale con provvedimento dell’autorità amministrativa.

Art. 864.
Contributi consorziali.

I contributi dei proprietari nella spesa di esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica e di miglioramento fondiario sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l’imposta fondiaria.

Art. 865.
Espropriazione per inosservanza degli obblighi.

Quando l’inosservanza degli obblighi imposti ai proprietari risulta tale da compromettere l’attuazione del piano di bonifica, può farsi luogo all’espropriazione parziale o totale del fondo appartenente al proprietario inadempiente, osservate le disposizioni della legge speciale.

L’espropriazione ha luogo a favore del consorzio, se questo ne fa richiesta, o, in mancanza, a favore di altra persona che si obblighi ad eseguire le opere offrendo opportune garanzie..

Sezione IV
Dei vincoli idrogeologici e delle difese fluviali

Art. 866.
Vincoli per scopi idrogeologici e per altri scopi.

Anche indipendentemente da un piano di bonifica, i terreni di qualsiasi natura e destinazione possono essere sottoposti a vincolo idrogeologico, osservate le forme e le condizioni stabilite dalla legge speciale, al fine di evitare che possano con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.

L’utilizzazione dei terreni e l’eventuale loro trasformazione, la qualità delle colture, il governo dei boschi e dei pascoli sono assoggettati, per effetto del vincolo, alle limitazioni stabilite dalle leggi in materia.

Parimenti, a norma della legge speciale, possono essere sottoposti a limitazione nella loro utilizzazione i boschi che per la loro speciale ubicazione difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento dei sassi, dal sorrenamento e dalla furia dei venti, e quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali.

Art. 867.
Sistemazione e rimboschimento dei terreni vincolati.

Al fine del rimboschimento e del rinsaldamento i terreni vincolati possono essere assoggettati a espropriazione, a occupazione temporanea o a sospensione dell’esercizio del pascolo, nei modi e con le forme stabiliti dalle leggi in materia.

Art. 868.
Regolamento protettivo dei corsi di acqua.

I proprietari d’immobili situati in prossimità di corsi d’acqua che arrecano o minacciano danni all’agricoltura, ad abitati o a manufatti d’interesse pubblico sono obbligati, anche indipendentemente da un piano di bonifica, a contribuire all’esecuzione delle opere necessarie per il regolamento del corso d’acqua nelle forme stabilite dalle leggi speciali.

Sezione V
Della proprietà edilizia

Art. 869.
Piani regolatori.

I proprietari d’immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti.

Art. 870.
Comparti.

Quando è prevista la formazione di comparti, costituenti unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento, gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l’attuazione del piano. Possono anche riunirsi in consorzio per l’esecuzione delle opere. In mancanza di accordo, può procedersi alla espropriazione a norma delle leggi in materia.

Art. 871.
Norme di edilizia e di ornato pubblico.

Le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali.

La legge speciale stabilisce altresì le regole da osservarsi per le costruzioni nelle località sismiche.

Art. 872.
Violazione delle norme di edilizia.

Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall’articolo precedente sono stabilite da leggi speciali.

Colui che per effetto della violazione ha subìto danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate.

Sezione VI
Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi

Art. 873.
Distanze nelle costruzioni.

Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.

Art. 874.
Comunione forzosa del muro sul confine.

Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la comunione, per tutta l’altezza o per parte di essa, purché lo faccia per tutta l’estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino.

Art. 875.
Comunione forzosa del muro che non è sul confine.

Quando il muro si trova ad una distanza dal confine minore di un metro e mezzo ovvero a distanza minore della metà di quella stabilita dai regolamenti locali, il vicino può chiedere la comunione del muro, soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso, pagando, oltre il valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino al confine.

Il vicino che intende domandare la comunione deve interpellare preventivamente il proprietario se preferisca di estendere il muro al confine o di procedere alla sua demolizione. Questi deve manifestare la propria volontà entro il termine di giorni quindici e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dal giorno in cui ha comunicato la risposta.

Art. 876.
Innesto nel muro sul confine.

Se il vicino vuole servirsi del muro esistente sul confine solo per innestarvi un capo del proprio muro, non ha l’obbligo di renderlo comune a norma dell’articolo 874, ma deve pagare una indennità per l’innesto.

Art. 877.
Costruzioni in aderenza.

Il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.

Questa norma si applica anche nel caso previsto dall’articolo 875; il vicino in tal caso deve pagare soltanto il valore del suolo.

Art. 878.
Muro di cinta.

Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’articolo 873.

Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri.

Art. 879.
Edifici non soggetti all’obbligo delle distanze o a comunione forzosa.

Alla comunione forzosa non sono soggetti gli edifici appartenenti al demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, né gli edifici che sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico, a norma delle leggi in materia. Il vicino non può neppure usare della facoltà concessa dall’articolo 877.

Alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano.

Art. 880.
Presunzione di comunione del muro divisorio.

Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.

Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi.

Art. 881.
Presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio.

Si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini od orti appartenga al proprietario del fondo verso il quale esiste il piovente e in ragione del piovente medesimo.

Se esistono sporti, come cornicioni, mensole e simili, o vani che si addentrano oltre la metà della grossezza del muro, e gli uni e gli altri risultano costruiti col muro stesso, si presume che questo spetti al proprietario dalla cui parte gli sporti o i vani si presentano, anche se vi sia soltanto qualcuno di tali segni.

Se uno o più di essi sono da una parte, e uno o più dalla parte opposta, il muro è reputato comune: in ogni caso la positura del piovente prevale su tutti gli altri indizi.

Art. 882.
Riparazioni del muro comune.

Le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di tutti quelli che vi hanno diritto e in proporzione del diritto di ciascuno, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti.

Il comproprietario di un muro comune può esimersi dall’obbligo di contribuire nelle spese di riparazione e ricostruzione, rinunziando al diritto di comunione, purché il muro comune non sostenga un edificio di sua spettanza.

La rinunzia non libera il rinunziante dall’obbligo delle riparazioni e ricostruzioni a cui abbia dato causa col fatto proprio.

Art. 883.
Abbattimento di edificio appoggiato al muro comune.

Il proprietario che vuole atterrare un edificio sostenuto da un muro comune può rinunziare alla comunione di questo, ma deve farvi le riparazioni e le opere che la demolizione rende necessarie per evitare ogni danno al vicino.

Art. 884.
Appoggio e immissione di travi e catene nel muro comune.

Il comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggiandovi le sue costruzioni e può immettervi travi, purché le mantenga a distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto dell’altro comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo o appoggiarvi un camino. Il comproprietario può anche attraversare il muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza. Egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute.

Non può fare incavi nel muro comune, né eseguirvi altra opera che ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi.

Art. 885.
Innalzamento del muro comune.

Ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata. Anche questa può dal vicino essere resa comune a norma dell’articolo 874.

Se il muro non è atto a sostenere la sopraedificazione, colui che l’esegue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a sue spese. Per il maggiore spessore che sia necessario, il muro deve essere costruito sul suolo proprio, salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo su quello del vicino. In entrambi i casi il muro ricostruito o ingrossato resta di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall’esecuzione delle opere. Nel secondo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore.

Qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte sopraelevata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento.

Art. 886.
Costruzione del muro di cinta.

Ciascuno può costringere il vicino a contribuire per metà nella spesa di costruzione dei muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i giardini posti negli abitati. L’altezza di essi, se non è diversamente determinata dai regolamenti locali o dalla convenzione, deve essere di tre metri.

Art. 887.
Fondi a dislivello negli abitati.

Se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l’altro inferiore, il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all’altezza del proprio suolo, ed entrambi i proprietari devono contribuire per tutta la restante altezza.

Il muro deve essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore e per metà sul terreno del fondo superiore.

Art. 888.
Esonero dal contributo nelle spese.

Il vicino si può esimere dal contribuire nelle spese di costruzione del muro di cinta o divisorio, cedendo, senza diritto a compenso, la metà del terreno su cui il muro di separazione deve essere costruito. In tal caso il muro è di proprietà di colui che l’ha costruito, salva la facoltà del vicino di renderlo comune ai sensi dell’articolo 874, senza obbligo però di pagare la metà del valore del suolo su cui il muro è stato costruito.

Art. 889.
Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi.

Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette.

Per i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.

Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.

Art. 890.
Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi.

Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.

Art. 891.
Distanze per canali e fossi.

Chi vuole scavare fossi o canali presso il confine, se non dispongono in modo diverso i regolamenti locali, deve osservare una distanza eguale alla profondità del fosso o canale. La distanza si misura dal confine al ciglio della sponda più vicina, la quale deve essere a scarpa naturale ovvero munita di opere di sostegno. Se il confine si trova in un fosso comune o in una via privata, la distanza si misura da ciglio a ciglio o dal ciglio al lembo esteriore della via.

Art. 892.
Distanze per gli alberi.

Chi vuol piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine:

1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili;

2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;

3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo.

La distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie.

La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell’albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina.

Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro.

Art. 893.
Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi.

Per gli alberi che nascono o si piantano nei boschi, sul confine con terreni non boschivi, o lungo le strade o le sponde dei canali, si osservano, trattandosi di boschi, canali e strade di proprietà privata, i regolamenti e, in mancanza, gli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, si osservano le distanze prescritte dall’articolo precedente.

Art. 894.
Alberi a distanza non legale.

Il vicino può esigere che si estirpino gli alberi e le siepi che sono piantati o nascono a distanza minore di quelle indicate dagli articoli precedenti.

Art. 895.
Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale.

Se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle sopra indicate, e l’albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale.

La disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di un filare situato lungo il confine.

Art. 896.
Recisione di rami protesi e di radici.

Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali.

Se gli usi locali non dispongono diversamente, i frutti naturalmente caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprietario del fondo su cui sono caduti.

Se a norma degli usi locali i frutti appartengono al proprietario dell’albero, per la raccolta di essi si applica il disposto dell’articolo 843.

Art. 896-bis. (1)
Distanze minime per gli apiari.

Gli apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di proprietà pubbliche o private.

Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non è obbligatorio se tra l’apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due metri o se sono interposti, senza soluzioni di continuità, muri, siepi o altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari devono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi gli accordi tra le parti interessate.

Nel caso di accertata presenza di impianti industriali saccariferi, gli apiari devono rispettare una distanza minima di un chilometro dai suddetti luoghi di produzione.

(1) Articolo inserito dalla Legge 24 dicembre 2004, n. 313.

Art. 897.
Comunione di fossi.

Ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.

Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per gli scoli delle sue terre, o al proprietario del fondo dalla cui parte è il getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni.

Se uno o più di tali segni sono da una parte e uno o più dalla parte opposta, il fosso si presume comune.

Art. 898.
Comunione di siepi.

Ogni siepe tra due fondi si presume comune ed è mantenuta a spese comuni, salvo che vi sia termine di confine o altra prova in contrario.

Se uno solo dei fondi è recinto, si presume che la siepe appartenga al proprietario del fondo recinto, ovvero di quello dalla cui parte si trova la siepe stessa in relazione ai termini di confine esistenti.

Art. 899.
Comunione di alberi.

Gli alberi sorgenti nella siepe sono comuni.

Gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova in contrario.

Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune non possono essere tagliati, se non di comune consenso o dopo che l’autorità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del taglio.

Sezione VII
Delle luci e delle vedute

Art. 900.
Specie di finestre.

Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all’aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente.

Art. 901.
Luci.

Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono:

1) essere munite di un’inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati;

2) avere il lato inferiore a un’altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri se sono ai piani superiori;

3) avere il lato inferiore a un’altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l’altezza stessa.

Art. 902.
Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci.

L’apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall’articolo 901.

Il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni dell’articolo predetto.

Art. 903.
Luci nel muro proprio o nel muro comune.

Le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui.

Se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell’altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire.

Art. 904.
Diritto di chiudere le luci.

La presenza di luci in un muro non impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza.

Chi acquista la comunione del muro non può chiudere le luci se ad esso non appoggia il suo edificio.

Art. 905.
Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi.

Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo.

Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.

Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.

Art. 906.
Distanza per l’apertura di vedute laterali od oblique.

Non si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.

Art. 907.
Distanza delle costruzioni dalle vedute.

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905.

Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.

Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Sezione VIII
Dello stillicidio

Art. 908.
Scarico delle acque piovane.

Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.

Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinché le acque piovane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica.

Sezione IX
Delle acque

Art. 909.
Diritto sulle acque esistenti nel fondo.

Il proprietario del suolo ha il diritto di utilizzare le acque in esso esistenti, salve le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche e per le acque sotterranee.

Egli può anche disporne a favore d’altri, qualora non osti il diritto di terzi; ma, dopo essersi servito delle acque, non può divertirle in danno d’altri fondi.

Art. 910. (1)
[Uso delle acque che limitano o attraversano un fondo.

Il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un’acqua non pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre, farne uso per l’irrigazione dei suoi terreni e per l’esercizio delle sue industrie, ma deve restituire le colature e gli avanzi al corso ordinario.]

(1) Articolo abrogato dal D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238.

Art. 911.
Apertura di nuove sorgenti e altre opere.

Chi vuole aprire sorgenti, stabilire capi o aste di fonte e in genere eseguire opere per estrarre acque dal sottosuolo o costruire canali o acquedotti, oppure scavarne, profondarne o allargarne il letto, aumentarne o diminuirne il pendio o variarne la forma, deve, oltre le distanze stabilite nell’articolo 891, osservare le maggiori distanze ed eseguire le opere che siano necessarie per non recare pregiudizio ai fondi altrui, sorgenti, capi o aste di fonte, canali o acquedotti preesistenti e destinati all’irrigazione dei terreni o agli usi domestici o industriali.

Art. 912.
Conciliazione di opposti interessi.

Se sorge controversia tra i proprietari a cui un’acqua non pubblica può essere utile, l’autorità giudiziaria deve valutare l’interesse dei singoli proprietari nei loro rapporti e rispetto ai vantaggi che possono derivare all’agricoltura o all’industria dall’uso a cui l’acqua è destinata o si vuol destinare.

L’autorità giudiziaria può assegnare una indennità ai proprietari che sopportino diminuzione del proprio diritto.

In tutti i casi devono osservarsi le disposizioni delle leggi sulle acque e sulle opere idrauliche.

Art. 913.
Scolo delle acque.

Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo.

Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso.

Se per opere di sistemazione agraria dell’uno o dell’altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un’indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio.

Art. 914.
Consorzi per regolare il deflusso delle acque.

Qualora per esigenze della produzione si debba provvedere a opere di sistemazione degli scoli, di soppressione di ristagni o di raccolta di acque, l’autorità amministrativa, su richiesta della maggioranza degli interessati o anche d’ufficio, può costituire un consorzio tra i proprietari dei fondi che traggono beneficio dalle opere stesse.

Si applicano a tale consorzio le disposizioni del secondo e del terzo comma dell’articolo 921.

Art. 915.
Riparazione di sponde e argini.

Qualora le sponde o gli argini che servivano di ritegno alle acque siano stati in tutto o in parte distrutti o atterrati, ovvero per la naturale variazione del corso delle acque si renda necessario costruire nuovi argini o ripari, e il proprietario del fondo non provveda sollecitamente a ripararli o a costruirli, ciascuno dei proprietari che hanno sofferto o possono ricevere danno può provvedervi, previa autorizzazione del tribunale (1), che provvede in via d’urgenza.

Le opere devono essere eseguite in modo che il proprietario del fondo, in cui esse si compiono, non ne subisca danno, eccetto quello temporaneo causato dalla esecuzione delle opere stesse.

(1) Parola così sostituita dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51.

Art. 916.
Rimozione degli ingombri.

Le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche quando si tratta di togliere un ingombro formatosi sulla superficie di un fondo o in un fosso, rivo, colatoio o altro alveo, a causa di materie in essi impigliate, in modo che le acque danneggino o minaccino di danneggiare i fondi vicini.

Art. 917.
Spese per la riparazione, costruzione o rimozione.

Tutti i proprietari, ai quali torna utile che le sponde e gli argini siano conservati o costruiti e gli ingombri rimossi, devono contribuire nella spesa in proporzione del vantaggio che ciascuno ne ritrae.

Tuttavia, se la distruzione degli argini, la variazione delle acque o l’ingombro nei loro corsi deriva da colpa di alcuno dei proprietari, le spese di conservazione, di costruzione o di riparazione gravano esclusivamente su di lui, salvo in ogni caso il risarcimento dei danni.

Art. 918.
Consorzi volontari.

Possono costituirsi in consorzio i proprietari di fondi vicini che vogliano riunire e usare in comune le acque defluenti dal medesimo bacino di alimentazione o da bacini contigui.

L’adesione degli interessati e il regolamento del consorzio devono risultare da atto scritto.

Il regolamento del consorzio è deliberato dalla maggioranza calcolata in base all’estensione dei terreni a cui serve l’acqua.

Art. 919.
Scioglimento del consorzio.

Lo scioglimento del consorzio non ha luogo se non quando è deliberato da una maggioranza eccedente i tre quarti, o quando, potendosi la divisione effettuare senza grave danno, essa è domandata da uno degli interessati.

Art. 920.
Norme applicabili.

Salvo quanto è disposto dagli articoli precedenti, si applicano ai consorzi volontari ivi indicati le norme stabilite per la comunione.

Art. 921.
Consorzi coattivi.

Nel caso indicato dall’articolo 918, il consorzio può anche essere costituito d’ufficio dall’autorità amministrativa, allo scopo di provvedere a una migliore utilizzazione delle acque.

Per le forme di costituzione e il funzionamento si osservano le norme stabilite per i consorzi di miglioramento fondiario.

Il consorzio può anche procedere alla espropriazione dei singoli diritti, mediante il pagamento delle dovute indennità.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo II
Della proprietà

Capo III
Dei modi di acquisto della proprietà

Art. 922.
Modi di acquisto.

La proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.

Sezione I
Dell’occupazione e dell’invenzione

Art. 923.
Cose suscettibili di occupazione.

Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l’occupazione.

Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca.

Art. 924.
Sciami di api.

Il proprietario di sciami di api ha diritto di inseguirli sul fondo altrui, ma deve indennità per il danno cagionato al fondo; se non li ha inseguiti entro due giorni o ha cessato durante due giorni di inseguirli, può prenderli e ritenerli il proprietario del fondo.

Art. 925.
Animali mansuefatti.

Gli animali mansuefatti possono essere inseguiti dal proprietario nel fondo altrui, salvo il diritto del proprietario del fondo, a indennità per il danno.

Essi appartengono a chi se ne è impossessato, se non sono reclamati entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo dove si trovano.

Art. 926.
Migrazione di colombi, conigli e pesci.

I conigli o pesci che passano ad un’altra conigliera o peschiera si acquistano dal proprietario di queste, purché non vi siano stati attirati con arte o con frode.

La stessa norma si osserva per i colombi che passano ad altra colombaia, salve le diverse disposizioni di legge sui colombi viaggiatori.

Art. 927.
Cose ritrovate.

Chi trova una cosa mobile deve restituirla al proprietario, e, se non lo conosce, deve consegnarla senza ritardo al sindaco, del luogo in cui l’ha trovata, indicando le circostanze del ritrovamento.

Art. 928.
Pubblicazione del ritrovamento.

Il sindaco rende nota la consegna per mezzo di pubblicazione nell’albo pretorio del comune, da farsi per due domeniche successive e da restare affissa per tre giorni ogni volta.

Art. 929.
Acquisto di proprietà della cosa ritrovata.

Trascorso un anno dall’ultimo giorno della pubblicazione senza che si presenti il proprietario, la cosa oppure il suo prezzo, se le circostanze ne hanno richiesto la vendita, appartiene a chi l’ha trovata.

Così il proprietario come il ritrovatore, riprendendo la cosa o ricevendo il prezzo, devono pagare le spese occorse.

Art. 930.
Premio dovuto al ritrovatore.

Il proprietario deve pagare a titolo di premio al ritrovatore, se questi lo richiede, il decimo della somma o del prezzo della cosa ritrovata.

Se tale somma o prezzo eccede le diecimila lire, il premio per il sovrappiù è solo del ventesimo.

Se la cosa non ha valore commerciale, la misura del premio è fissata dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento.

Art. 931.
Equiparazione del possessore o detentore al proprietario.

Agli effetti delle disposizioni contenute negli articoli 927 e seguenti, al proprietario sono equiparati, secondo le circostanze, il possessore e il detentore.

Art. 932.
Tesoro.

Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare d’essere proprietario.

Il tesoro appartiene al proprietario del fondo in cui si trova. Se il tesoro è trovato nel fondo altrui, purché sia stato scoperto per solo effetto del caso, spetta per metà al proprietario del fondo e per metà al ritrovatore. La stessa disposizione si applica se il tesoro è scoperto in una cosa mobile altrui.

Per il ritrovamento degli oggetti d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico si osservano le disposizioni delle leggi speciali.

Art. 933.
Rigetti del mare e piante sul lido. Relitti aeronautici.

I diritti sopra le cose gettate in mare o sopra quelle che il mare rigetta e sopra le piante e le erbe che crescono lungo le rive del mare sono regolati dalle leggi speciali.

Parimenti si osservano le leggi speciali per il ritrovamento di aeromobili e di relitti di aeromobili.

Sezione II
Dell’accessione, della specificazione, dell’unione e della commistione

Art. 934.
Opere fatte sopra o sotto il suolo.

Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.

Art. 935.
Opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui.

Il proprietario del suolo che ha fatto costruzioni, piantagioni od opere con materiali altrui deve pagarne il valore, se la separazione non è chiesta dal proprietario dei materiali, ovvero non può farsi senza che si rechi grave danno all’opera costruita o senza che perisca la piantagione. Deve inoltre, anche nel caso che si faccia la separazione, il risarcimento dei danni, se è in colpa grave.

In ogni caso la rivendicazione dei materiali non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione.

Art. 936.
Opere fatte da un terzo con materiali propri.

Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con i suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.

Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo.

Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni.

Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede.

La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione.

Art. 937.
Opere fatte da un terzo con materiali altrui.

Se le piantagioni, costruzioni o altre opere sono state fatte da un terzo con materiali altrui, il proprietario di questi può rivendicarli, previa separazione a spese del terzo, se la separazione può ottenersi senza grave danno delle opere e del fondo.

La rivendicazione non è ammessa trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell’incorporazione.

Nel caso che la separazione dei materiali non sia richiesta o che i materiali siano inseparabili, il terzo che ne ha fatto uso e il proprietario del suolo che sia stato in mala fede sono tenuti in solido al pagamento di una indennità pari al valore dei materiali stessi. Il proprietario dei materiali può anche esigere tale indennità dal proprietario del suolo, ancorché in buona fede, limitatamente al prezzo che da questo fosse ancora dovuto. Può altresì chiedere il risarcimento dei danni, tanto nei confronti del terzo che ne abbia fatto uso senza il suo consenso, quanto nei confronti del proprietario del suolo che in mala fede abbia autorizzato l’uso.

Art. 938.
Occupazione di porzione di fondo attiguo.

Se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l’autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell’edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni.

Art. 939.
Unione e commistione.

Quando più cose appartenenti a diversi proprietari sono state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, ciascuno conserva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la separazione. In caso diverso, la proprietà ne diventa comune in proporzione del valore delle cose spettanti a ciascuno.

Quando però una delle cose si può riguardare come principale o è di molto superiore per valore, ancorché serva all’altra di ornamento, il proprietario della cosa principale acquista la proprietà del tutto. Egli ha l’obbligo di pagare all’altro il valore della cosa che vi è unita o mescolata; ma se l’unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria, egli non è obbligato a corrispondere che la somma minore tra l’aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore della cosa accessoria.

È inoltre dovuto il risarcimento dei danni in caso di colpa grave.

Art. 940.
Specificazione.

Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In questo ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera.

Art. 941.
Alluvione.

Le unioni di terra e gli incrementi che si formano successivamente e impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti, appartengono al proprietario del fondo, salvo quanto è disposto dalle leggi speciali.

Art. 942.
Terreni abbandonati dalle acque correnti.

I terreni abbandonati dalle acque correnti, che insensibilmente si ritirano da una delle rive portandosi sull’altra, appartengono al demanio pubblico, senza che il confinante della riva opposta possa reclamare il terreno perduto.

Ai sensi del primo comma, si intendono per acque correnti i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia.

Quanto stabilito al primo comma vale anche per i terreni abbandonati dal mare, dai laghi, dalle lagune e dagli stagni appartenenti al demanio pubblico.

Art. 943.
Laghi e stagni.

Il terreno che l’acqua copre quando essa è all’altezza dello sbocco del lago o dello stagno appartiene al proprietario del lago o dello stagno, ancorché il volume dell’acqua venga a scemare.

Il proprietario non acquista alcun diritto sopra la terra lungo la riva che l’acqua ricopre nei casi di piena straordinaria.

Art. 944.
Avulsione.

Se un fiume o torrente stacca per forza istantanea una parte considerevole e riconoscibile di un fondo contiguo al suo corso e la trasporta verso un fondo inferiore o verso l’opposta riva, il proprietario del fondo al quale si è unita la parte staccata ne acquista la proprietà. Deve però pagare all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall’avulsione.

Art. 945.
Isole e unioni di terra.

Le isole e unioni di terra che si formano nel letto dei fiumi o torrenti appartengono al demanio pubblico.

[Se l’isola si è formata per avulsione, il proprietario del fondo, da cui è avvenuto il distacco, ne conserva la proprietà.]

[La stessa regola si osserva se un fiume o un torrente, formando un nuovo corso, attraversa e circonda il fondo o parte del fondo di un proprietario confinante, facendone un’isola.]

Art. 946.
Alveo abbandonato.

Se un fiume o un torrente si forma un nuovo letto, abbandonando l’antico, il terreno abbandonato rimane assoggettato al regime proprio del demanio pubblico.

Art. 947.
Mutamenti del letto dei fiumi derivanti da regolamento del loro corso.

Le disposizioni degli articoli 942, 945 e 946 si applicano ai terreni comunque abbandonati sia a seguito di eventi naturali che per fatti artificiali indotti dall’attività antropica, ivi comprendendo anche i terreni abbandonati per fenomeni di inalveamento.

La disposizione dell’articolo 941 non si applica nel caso in cui le alluvioni derivano da regolamento del corso dei fiumi, da bonifiche o da altri fatti artificiali indotti dall’attività antropica.

In ogni caso è esclusa la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo II
Della proprietà

Capo IV
Delle azioni a difesa della proprietà

Art. 948.
Azione di rivendicazione.

Il proprietario può rivendicare la cosa, da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.

Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.

L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.

Art. 949.
Azione negatoria.

Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio.

Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.

Art. 950.
Azione di regolamento di confini.

Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente.

Ogni mezzo di prova è ammesso.

In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali.

Art. 951.
Azione per apposizione di termini.

Se i termini tra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo III
Della superficie

Art. 952.
Costituzione del diritto di superficie.

Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà.

Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo.

Art. 953.
Costituzione a tempo determinato.

Se la costituzione del diritto è stata fatta per un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione.

Art. 954.
Estinzione del diritto di superficie.

L’estinzione del diritto di superficie per scadenza del termine importa l’estinzione dei diritti reali imposti dal superficiario. I diritti gravanti sul suolo si estendono alla costruzione salvo, per le ipoteche, il disposto del primo comma dell’articolo 2816.

I contratti di locazione, che hanno per oggetto la costruzione, non durano se non per l’anno in corso alla scadenza del termine.

Il perimento della costruzione non importa, salvo patto contrario, l’estinzione del diritto di superficie.

Il diritto di fare la costruzione sul suolo altrui si estingue per prescrizione per effetto del non uso protratto per venti anni.

Art. 955.
Costruzioni al disotto del suolo.

Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso in cui è concesso il diritto di fare e mantenere costruzioni al disotto del suolo altrui.

Art. 956.
Divieto di proprietà separata delle piantagioni.

Non può essere costituita o trasferita la proprietà delle piantagioni separatamente dalla proprietà del suolo.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo IV
Dell’enfiteusi

Art. 957.
Disposizioni inderogabili.

L’enfiteusi, salvo che il titolo disponga altrimenti, è regolata dalle norme contenute negli articoli seguenti.

Il titolo non può tuttavia derogare alle norme contenute negli articoli 958, secondo comma, 961, secondo comma, 962, 965, 968, 971 e 973.

Art. 958.
Durata.

L’enfiteusi può essere perpetua o a tempo.

L’enfiteusi temporanea non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni.

Art. 959.
Diritti dell’enfiteuta.

L’enfiteuta ha gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo, sul tesoro e relativamente alle utilizzazioni del sottosuolo in conformità delle disposizioni delle leggi speciali.

Il diritto dell’enfiteuta si estende alle accessioni.

Art. 960.
Obblighi dell’enfiteuta.

L’enfiteuta ha l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico. Questo può consistere in una somma di danaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali.

L’enfiteuta non può pretendere remissione o riduzione del canone per qualunque insolita sterilità del fondo o perdita di frutti.

Art. 961.
Pagamento del canone.

L’obbligo del pagamento del canone grava solidalmente su tutti i coenfiteuti e sugli eredi dell’enfiteuta finché dura la comunione.

Nel caso in cui segua la divisione e il fondo venga goduto separatamente dagli enfiteuti o dagli eredi, ciascuno risponde per gli obblighi inerenti all’enfiteusi proporzionalmente al valore della sua porzione.

Art. 962.
[Revisione del canone.

Decorsi almeno dieci anni dalla costituzione dell’enfiteusi, e successivamente dopo eguale periodo di tempo, le parti possono chiedere una revisione del canone, qualora questo sia divenuto troppo tenue o troppo gravoso in relazione al valore attuale del fondo. Tale valore determina senza tener conto dei miglioramenti arrecati dall’enfiteuta di deterioramenti dovuti a causa a lui imputabile.

La revisione non è ammessa, se il valore attuale del fondo non risulta almeno raddoppiato o ridotto a metà rispetto al valore iniziale o a quello accertato nella precedente revisione.]

Art. 963.
Perimento totale o parziale del fondo.

Quando il fondo enfiteutico perisce interamente, l’enfiteusi si estingue.

Se è perita una parte notevole del fondo e il canone risulta sproporzionato al valore della parte residua, l’enfiteuta, secondo le circostanze, può chiedere una congrua riduzione del canone, o rinunziare al suo diritto, restituendo il fondo al concedente, salvo il diritto al rimborso dei miglioramenti sulla parte residua.

La domanda di riduzione del canone e la rinunzia al diritto non sono ammesse, decorso un anno dall’avvenuto perimento.

Qualora il fondo sia assicurato e l’assicurazione sia fatta anche nell’interesse del concedente, l’indennità è ripartita tra il concedente e l’enfiteuta in proporzione del valore dei rispettivi diritti.

Nel caso di espropriazione per pubblico interesse l’indennità si ripartisce a norma del comma precedente.

Art. 964.
Imposte e altri pesi.

Le imposte e gli altri pesi che gravano sul fondo sono a carico dell’enfiteuta salve le disposizioni delle leggi speciali.

Se in virtù del titolo costitutivo sono a carico del concedente, tale obbligo non può eccedere l’ammontare del canone.

Art. 965.
Disponibilità del diritto dell’enfiteuta.

L’enfiteuta può disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi, sia per atto di ultima volontà.

Per l’alienazione del diritto dell’enfiteuta non è dovuta alcuna prestazione al concedente.

Nell’atto costitutivo può essere vietato all’enfiteuta di disporre per atto tra vivi, in tutto o in parte, del proprio diritto, per un tempo non maggiore di venti anni.

Nel caso di alienazione compiuta contro tale divieto, l’enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è tenuto a questi solidalmente con l’acquirente.

Art. 966.
[Prelazione a favore del concedente.

In caso di vendita del diritto dell’enfiteuta, il concedente è preferito a parità di condizioni. L’enfiteuta deve notificare al concedente la proposta di alienazione, indicandone il prezzo; il concedente deve esercitare il suo diritto entro il termine di trenta giorni. In mancanza della notificazione, il concedente, entro un anno dalla notizia della vendita, può riscattare il diritto dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.

Se i concedenti sono più e la prelazione non è esercitata da tutti congiuntamente, essa può esercitarsi per la totalità anche da uno solo, il quale subentra all’enfiteuta di fronte agli altri concedenti.]

Art. 967.
Diritti e obblighi dell’enfiteuta e del concedente in caso di alienazione.

In caso di alienazione, il nuovo enfiteuta è obbligato solidalmente col precedente al pagamento dei canoni non soddisfatti.

Il precedente enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi, prima che sia stato notificato l’atto di acquisto al concedente.

In caso di alienazione del diritto del concedente, l’acquirente non può pretendere l’adempimento degli obblighi dell’enfiteuta prima che a questo sia stata notificata l’alienazione.

Art. 968.
Subenfiteusi.

La subenfiteusi non è ammessa.

Art. 969.
Ricognizione.

Il concedente può richiedere la ricognizione del proprio diritto da chi si trova nel possesso del fondo enfiteutico, un anno prima del compimento del ventennio.

Per l’atto di ricognizione non è dovuta alcuna prestazione. Le spese dell’atto sono a carico del concedente.

Art. 970.
Prescrizione del diritto dell’enfiteuta.

Il diritto dell’enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni.

Art. 971.
Affrancazione.

[L’enfiteuta può affrancare il fondo dopo venti anni dalla costituzione dell’enfiteusi.

Nell’atto costitutivo può essere stabilito un termine superiore ai venti anni, ma non eccedente i quarant’anni.

Anche quando nell’atto costitutivo non è indicato alcun termine, se in esso è prestabilito un piano di miglioramento, l’enfiteuta non può procedere all’affrancazione prima che i miglioramenti siano stati compiuti.]

Se più sono gli enfiteuti, l’affrancazione può promuoversi anche da uno solo di essi, ma per la totalità. In questo caso l’affrancante subentra nei diritti del concedente verso gli altri enfiteuti, salva, a favore di questi, una riduzione proporzionale del canone.

Se più sono i concedenti, l’affrancazione può effettuarsi per la quota che spetta a ciascun concedente.

L’affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell’interesse legale. Le modalità sono stabilite da leggi speciali.

Art. 972.
Devoluzione.

Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico:

1) se l’enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all’obbligo di migliorarlo;

2) se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone. La devoluzione non ha luogo se l’enfiteuta ha effettuato il pagamento dei canoni maturati prima che sia intervenuta nel giudizio sentenza, ancorché di primo grado, che abbia accolto la domanda.

La domanda di devoluzione non preclude all’enfiteuta il diritto di affrancare sempre che ricorrano le condizioni previste dall’articolo 971. [Tuttavia l’affrancazione non è ammessa, se la devoluzione è chiesta a norma del n. 1 del precedente comma e l’inadempimento è di considerevole gravità. In tal caso la domanda giudiziale di devoluzione prevale su quella di affrancazione anche se questa sia stata anteriormente proposta, purché non sia intervenuta sentenza, sebbene di primo grado, che abbia ammesso l’affrancazione.]

Art. 973.
Clausola risolutiva espressa.

La dichiarazione del concedente di valersi della clausola risolutiva espressa non impedisce l’esercizio del diritto di affrancazione [, eccettuato il caso in cui, a norma dell’articolo precedente, la domanda di devoluzione preclude l’affrancazione].

Art. 974.
Diritti dei creditori dell’enfiteuta.

I creditori dell’enfiteuta possono intervenire nel giudizio di devoluzione per conservare le loro ragioni, valendosi all’uopo anche del diritto di affrancazione che spetti all’enfiteuta; possono offrire il risarcimento dei danni e dare cauzione per l’avvenire.

I creditori, che hanno iscritto ipoteca contro l’enfiteuta anteriormente alla trascrizione della domanda di devoluzione e ai quali questa non è stata notificata in tempo utile per poter intervenire, conservano il diritto di affrancazione anche dopo avvenuta la devoluzione.

Art. 975.
Miglioramenti e addizioni.

Quando cessa l’enfiteusi, all’enfiteuta spetta il rimborso dei miglioramenti nella misura dell’aumento di valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti stessi, quali sono accertati al tempo della riconsegna.

Se in giudizio è stata fornita qualche prova della sussistenza in genere dei miglioramenti, all’enfiteuta compete la ritenzione del fondo fino a quando non è soddisfatto il suo credito.

Per le addizioni fatte dall’enfiteuta, quando possono essere tolte senza nocumento del fondo, il concedente, se vuole ritenerle, deve pagarne il valore al tempo della riconsegna. Se le addizioni non sono separabili senza nocumento e costituiscono miglioramento, si applica la disposizione del primo comma di questo articolo.

Art. 976.
Locazioni concluse dall’enfiteuta.

Per le locazioni concluse dall’enfiteuta si applicano le norme dell’articolo 999.

Art. 977.
Enfiteusi costituite dalle persone giuridiche.

Le disposizioni contenute negli articoli precedenti si applicano anche alle enfiteusi costituite dalle persone giuridiche, salvo che sia disposto diversamente dalle leggi speciali.

Libro Terzo
Della proprietà

Titolo V
Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione

Capo I
Dell’usufrutto

Sezione I
Disposizioni generali

Art. 978.
Costituzione.

L’usufrutto è stabilito dalla legge o dalla volontà dell’uomo. Può anche acquistarsi per usucapione.

Art. 979.
Durata.

La durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario.

L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trent’anni.

Art. 980.
Cessione dell’usufrutto.

L’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.

La cessione deve essere notificata al proprietario; finché non sia stata notificata, l’usufruttuario è solidalmente obbligato con il cessionario verso il proprietario.

Sezione II
Dei diritti nascenti dall’usufrutto

Art. 981.
Contenuto del diritto di usufrutto.

L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica.

Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo.

Art. 982.
Possesso della cosa.

L’usufruttuario ha diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’articolo 1002.

Art. 983.
Accessioni.

L’usufrutto si estende a tutte le accessioni della cosa.

Se il proprietario dopo l’inizio dell’usufrutto, con il consenso dell’usufruttuario, ha fatto nel fondo costruzioni o piantagioni, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere gli interessi, sulle somme impiegate. La norma si applica anche nel caso in cui le costruzioni o piantagioni sono state fatte per disposizioni della pubblica autorità.

Art. 984.
Frutti.

I frutti naturali e i frutti civili spettano all’usufruttuario per la durata del suo diritto.

Se il proprietario e l’usufruttuario si succedono nel godimento della cosa entro l’anno agrario o nel corso di un periodo produttivo di maggiore durata, l’insieme di tutti i frutti si ripartisce fra l’uno e l’altro in proporzione della durata del rispettivo diritto nel periodo stesso.

Le spese per la produzione e il raccolto sono a carico del proprietario e dell’usufruttuario nella proporzione indicata dal comma precedente ed entro i limiti del valore dei frutti.

Art. 985.
Miglioramenti.

L’usufruttuario ha diritto a un’indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione della cosa.

L’indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti.

L’autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento dell’indennità prevista dai commi precedenti sia fatto ratealmente, imponendo in questo caso idonea garanzia.

Art. 986.
Addizioni.

L’usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa.

Egli ha diritto di toglierle alla fine dello usufrutto, qualora ciò possa farsi senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In questo caso deve essere corrisposta all’usufruttuario un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.

Se le addizioni non possono separarsi senza nocumento della cosa e costituiscono miglioramento di essa, si applicano le disposizioni relative ai miglioramenti.

Art. 987.
Miniere, cave e torbiere.

L’usufruttuario gode delle cave e torbiere già aperte e in esercizio all’inizio dell’usufrutto. Non ha facoltà di aprirne altre senza il consenso del proprietario.

Per le ricerche e le coltivazioni minerarie, di cui abbia ottenuto il permesso, l’usufruttuario deve indennizzare il proprietario dei danni che saranno accertati alla fine dell’usufrutto.

Se il permesso è stato ottenuto dal proprietario o da un terzo, questi devono all’usufruttuario un’indennità corrispondente al diminuito godimento del fondo durante l’usufrutto.

Art. 988.
Tesoro.

Il diritto dell’usufruttuario non si estende al tesoro che si scopra durante l’usufrutto, salve le ragioni che gli possono competere come ritrovatore.

Art. 989.
Boschi, filari e alberi sparsi di alto fusto.

Se nell’usufrutto sono compresi boschi o filari cedui ovvero boschi o filari di alto fusto destinati alla produzione di legna, l’usufruttuario può procedere ai tagli ordinari, curando il mantenimento dell’originaria consistenza dei boschi o dei filari e provvedendo, se occorre alla loro ricostituzione.

Circa il modo, l’estensione, l’ordine e l’epoca dei tagli, l’usufruttuario è tenuto a uniformarsi, oltre che alle leggi e ai regolamenti forestali, alla pratica costante della regione.

Le stesse regole si applicano agli alberi di alto fusto sparsi per la campagna, destinati ad essere tagliati.

Art. 990.
Alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti.

Gli alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti per accidente spettano al proprietario. L’usufruttuario può servirsi di essi soltanto per le riparazioni che sono a suo carico.

Art. 991.
Alberi fruttiferi.

Gli alberi fruttiferi che periscono e quelli divelti o spezzati per accidente appartengono all’usufruttuario, ma questi ha l’obbligo di sostituirne altri.

Art. 992.
Pali per vigne e per altre coltivazioni.

L’usufruttuario può prendere nei boschi i pali occorrenti per le vigne e per le altre coltivazioni che ne abbisognano, osservando sempre la pratica costante della regione.

Art. 993.
Semenzai.

L’usufruttuario può servirsi dei piantoni dei semenzai, ma deve osservare la pratica costante della regione per il tempo e il modo dell’estrazione e per la rimessa dei virgulti.

Art. 994.
Perimento delle mandre e dei greggi.

Se l’usufrutto è stabilito sopra una mandra o un gregge, l’usufruttuario è tenuto a surrogare gli animali periti, fino alla concorrente quantità dei nati, dopo che la mandra o il gregge ha cominciato ad essere mancante del numero primitivo.

Se la mandra o il gregge perisce interamente per causa non imputabile all’usufruttuario, questi non è obbligato verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o del loro valore.

Art. 995.
Cose consumabili.

Se l’usufrutto comprende cose consumabili, l’usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l’obbligo di pagarne il valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta.

Mancando la stima, è in facoltà dell’usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui finisce l’usufrutto o di restituirne altre in eguale qualità e quantità.

Art. 996.
Cose deteriorabili.

Se l’usufrutto comprende cose che, senza consumarsi in un tratto, si deteriorano a poco a poco, l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinate, e alla fine dell’usufrutto è soltanto tenuto a restituirle nello stato in cui si trovano.

Art. 997.
Impianti, opifici e macchinari.

Se l’usufrutto comprende impianti, opifici o macchinari che hanno una destinazione produttiva, l’usufruttuario è tenuto a riparare e a sostituire durante l’usufrutto le parti che si logorano, in modo da assicurare il regolare funzionamento delle cose suddette. Se l’usufruttuario ha sopportato spese che eccedono quelle delle ordinarie riparazioni, il proprietario, al termine dell’usufrutto, è tenuto a corrispondergli una congrua indennità.

Art. 998.
Scorte vive e morte.

Le scorte vive e morte di un fondo devono essere restituite in eguale quantità e qualità. L’eccedenza o la deficienza di esse deve essere regolata in danaro, secondo il loro valore al termine dell’usufrutto.

Art. 999.
Locazioni concluse dall’usufruttuario.

Le locazioni concluse dall’usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, continuano per la durata stabilita, ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto.

Se la cessazione dell’usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano in ogni caso se non per l’anno e trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l’usufrutto.

_______________

Cfr. Cassazione Civile, sez. III, sentenza 10 aprile 2008, n. 9345 in Altalex Massimario.

Art. 1000.
Riscossione di capitali.

Per la riscossione di somme che rappresentano un capitale gravato d’usufrutto, è necessario il concorso del titolare del credito e dell’usufruttuario. Il pagamento fatto a uno solo di essi non è opponibile all’altro, salve in ogni caso le norme relative alla cessione dei crediti.

Il capitale riscosso dev’essere investito in modo fruttifero e su di esso si trasferisce l’usufrutto. Se le parti non sono d’accordo sul modo d’investimento, provvede l’autorità giudiziaria.

Sezione III
Degli obblighi nascenti dall’usufrutto

Art. 1001.
Obbligo di restituzione. Misura della diligenza.

L’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’articolo 995.

Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Art. 1002.
Inventario e garanzia.

L’usufruttuario prende le cose nello stato in cui si trovano.

Egli è tenuto a fare a sue spese l’inventario dei beni, previo avviso al proprietario. Quando l’usufruttuario è dispensato dal fare l’inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese.

L’usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia. Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i genitori che hanno l’usufrutto legale sui beni dei loro minori. Sono anche dispensati il venditore e il donante con riserva d’usufrutto; ma, qualora questi cedano l’usufrutto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia.

L’usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni prima di avere adempiuto agli obblighi su indicati.

Art. 1003.
Mancanza o insufficienza della garanzia.

Se l’usufruttuario non presta la garanzia a cui è tenuto, si osservano le disposizioni seguenti:

gli immobili sono locati o messi sotto amministrazione, salva la facoltà all’usufruttuario di farsi assegnare per propria abitazione una casa compresa nell’usufrutto. L’amministrazione è affidata, con il consenso dell’usufruttuario, al proprietario o altrimenti a un terzo scelto di comune accordo tra proprietario e usufruttuario o, in mancanza di tale accordo, nominato dall’autorità giudiziaria;

il danaro è collocato a interesse;

i titoli al portatore si convertono in nominativi a favore del proprietario con il vincolo dell’usufrutto, ovvero si depositano presso una terza persona, scelta dalle parti o presso un istituto di credito, la cui designazione, in caso di dissenso, è fatta dall’autorità giudiziaria;

le derrate sono vendute e il loro prezzo è parimenti collocato a interesse.

In questi casi appartengono all’usufruttuario gli interessi dei capitali, le rendite, le pigioni e i fitti.

Se si tratta di mobili i quali si deteriorano con l’uso, il proprietario può chiedere che siano venduti e ne sia impiegato il prezzo come quello delle derrate. L’usufruttuario può nondimeno domandare che gli siano lasciati i mobili necessari per il proprio uso.

Art. 1004.
Spese a carico dell’usufruttuario.

Le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa sono a carico dell’usufruttuario.

Sono pure a suo carico le riparazioni straordinarie rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione.

Art. 1005.
Riparazioni straordinarie.

Le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario.

Riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta.

L’usufruttuario deve corrispondere al proprietario, durante l’usufrutto, l’interesse delle somme spese per le riparazioni straordinarie.

Art. 1006.
Rifiuto del proprietario alle riparazioni.

Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà dell’usufruttuario di farle eseguire a proprie spese [c.c. 1005]. Le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto senza interesse. A garanzia del rimborso l’usufruttuario ha diritto di ritenere l’immobile riparato.

Art. 1007.
Rovina parziale di edificio accessorio.

Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, per vetustà o caso fortuito, rovini soltanto in parte l’edificio che formava accessorio necessario del fondo soggetto a usufrutto.

Art. 1008.
Imposte e altri pesi a carico dell’usufruttuario.

L’usufruttuario è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito.

Per l’anno in corso al principio e alla fine dell’usufrutto questi carichi si ripartiscono tra il proprietario e l’usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto.

Art. 1009.
Imposte e altri pesi a carico del proprietario.

Al pagamento dei carichi imposti sulla proprietà durante l’usufrutto, salvo diverse disposizioni di legge, è tenuto il proprietario, ma l’usufruttuario gli deve corrispondere l’interesse della somma pagata.

Se l’usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha diritto di essere rimborsato del capitale alla fine dell’usufrutto.

Art. 1010.
Passività gravanti su eredità in usufrutto.

L’usufruttuario di un’eredità o di una quota di eredità è obbligato a pagare per intero, o in proporzione della quota, le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l’eredità stessa sia gravata.

Per il pagamento del capitale dei debiti o dei legati che si renda necessario durante l’usufrutto, è in facoltà dell’usufruttuario di fornire la somma occorrente, che gli deve essere rimborsata senza interesse alla fine dell’usufrutto.

Se l’usufruttuario non può o non vuole fare questa anticipazione, il proprietario può pagare tale somma, sulla quale l’usufruttuario deve corrispondergli l’interesse durante l’usufrutto, o può vendere una porzione dei beni soggetti all’usufrutto fino alla concorrenza della somma dovuta.

Se per il pagamento dei debiti si rende necessaria la vendita dei beni, questa è fatta d’accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all’autorità giudiziaria in caso di dissenso. L’espropriazione forzata deve seguire contro ambedue.

Art. 1011.
Ritenzione per le somme anticipate.

Nelle ipotesi contemplate dal secondo comma dell’articolo 1009 e dal secondo comma dell’articolo 1010, l’usufruttuario ha diritto di ritenzione sui beni che sono in suo possesso fino alla concorrenza della somma a lui dovuta.

Art. 1012.
Usurpazioni durante l’usufrutto e azioni relative alle servitù.

Se durante l’usufrutto un terzo commette usurpazione sul fondo o altrimenti offende le ragioni del proprietario, l’usufruttuario è tenuto a fargliene denunzia e, omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente siano derivati al proprietario.

L’usufruttuario può far riconoscere la esistenza delle servitù a favore del fondo o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo; egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario.

Art. 1013.
Spese per le liti.

Le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l’usufrutto sono sopportate dal proprietario e dall’usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse.

Sezione IV
Estinzione e modificazioni dell’usufrutto

Art. 1014.
Estinzione dell’usufrutto.

Oltre quanto è stabilito dall’articolo 979, l’usufrutto si estingue:

1) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni;

2) per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona;

3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito.

Art. 1015.
Abusi dell’usufruttuario.

L’usufrutto può anche cessare per l’abuso che faccia l’usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni.

L’autorità giudiziaria può, secondo le circostanze, ordinare che l’usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al proprietario con l’obbligo di pagare annualmente all’usufruttuario, durante l’usufrutto, una somma determinata.

I creditori dell’usufruttuario possono intervenire nel giudizio per conservare le loro ragioni, offrire il risarcimento dei danni e dare garanzia per l’avvenire.

Art. 1016.
Perimento parziale della cosa.

Se una sola parte della cosa soggetta all’usufrutto perisce, l’usufrutto si conserva sopra ciò che rimane.

Art. 1017.
Perimento della cosa per colpa o dolo di terzi.

Se il perimento della cosa non è conseguenza di caso fortuito, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità dovuta dal responsabile del danno.

Art. 1018.
Perimento dell’edificio.

Se l’usufrutto è stabilito sopra un fondo, del quale fa parte un edificio, e questo viene in qualsiasi modo a perire, l’usufruttuario ha diritto di godere dell’area e dei materiali.

La stessa disposizione si applica se l’usufrutto è stabilito soltanto sopra un edificio. In tal caso, però, il proprietario, se intende costruire un altro edificio, ha il diritto di occupare l’area e di valersi dei materiali, pagando all’usufruttuario, durante l’usufrutto, gli interessi sulla somma corrispondente al valore dell’area e dei materiali.

Art. 1019.
Perimento di cosa assicurata dall’usufruttuario.

Se l’usufruttuario ha provveduto all’assicurazione della cosa o al pagamento dei premi per la cosa già assicurata, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità dovuta dall’assicuratore.

Se è perito un edificio e il proprietario intende di ricostruirlo con la somma conseguita come indennità, l’usufruttuario non può opporsi. L’usufrutto in questo caso si trasferisce sull’edificio ricostruito. Se però la somma impiegata nella ricostruzione è maggiore di quella spettante in usufrutto, il diritto dell’usufruttuario sul nuovo edificio è limitato in proporzione di quest’ultima.

Art. 1020.
Requisizione o espropriazione.

Se la cosa è requisita o espropriata per pubblico interesse, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità relativa.

Capo II
Dell’uso e dell’abitazione

Art. 1021.
Uso.

Chi ha diritto d’uso di una cosa può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia.

I bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto.

Art. 1022.
Abitazione.

Chi ha diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

Art. 1023.
Ambito della famiglia.

Nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d’uso o d’abitazione, quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i figli adottivi, i figli naturali riconosciuti e gli affiliati, anche se l’adozione, il riconoscimento o l’affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già sorto. Si comprendono infine le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.

Art. 1024.
Divieto di cessione.

I diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione.

Art. 1025.
Obblighi inerenti all’uso e all’abitazione.

Chi ha l’uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti o chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come l’usufruttuario.

Se non raccoglie che una parte dei frutti o non occupa che una parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che gode.

Art. 1026.
Applicabilità delle norme sull’usufrutto.

Le disposizioni relative all’usufrutto si applicano, in quanto compatibili all’uso e all’abitazione.

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