Compensazione spese e mancata costituzione soccombente
Compensazione spese e mancata costituzione soccombente
Corte di Cassazione VI Sezione Civile – 2
Sentenza 16 maggio – 15 ottobre 2014, n. 21871
Presidente Petitti – Relatore San Giorgio
La Cassazione ha esaminato un interessante caso relativo alle spese di lite e, in particolare, al fatto che la compensazione delle stesse non può essere disposta a causa della mancata costituzione della parte soccombente.
Infatti, la parte, con l’unico articolato motivo, deduce la “violazione o falsa applicazione degli artt. 91, primo comma, e 92, secondo comma, cod.proc.civ., 118, secondo comma, disp.att., 132, secondo comma, n. 4, cod.proc.civ., 111 Cost., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio“.
La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha confermato la decisione del giudice di primo grado sulla compensazione delle spese di lite, nonostante l’attuale ricorrente fosse totalmente vittorioso traendo argomento dalla mancata costituzione del Comune di Roma e dalla mancata contestazione delle ragioni espresse da controparte e dalla circostanza che l’opposizione nel primo grado di giudizio fosse stata accolta per motivi che prescindevano dall’accertamento di merito circa la effettiva commissione della infrazione, nonché dalla considerazione della natura della controversia, atteso che nei giudizi dinanzi al giudice di pace è escluso l’obbligo del patrocinio e che, nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa, la legge, all’epoca del ricorso proposto, stabiliva l’esenzione dal pagamento del contributo unificato e la notifica del ricorso e del decreto da parte della cancelleria, non volendosi gravare l’interessato di alcun onere, in relazione al limitatissimo valore economico della controversia. Si contesta altresì la disposta compensazione delle spese del giudizio di primo grado motivata sulla base della avvenuta integrazione della motivazione della decisione di primo grado.
Secondo la Corte, questa censura merita accoglimento perchè “nel regime anteriore a quello introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e, successivamente, dalla legge n. 69 del 2009, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificataci dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (v. Cass., S.U., sentt. n. 20598 e n. 20599 del 2008, Sez. Lav., sent. n. 17868 del 2009, n. Sez. VI-II, ord. n. 316 del 2012).
Nella specie, deve escludersi che le ragioni della compensazione delle spese del giudizio innanzi al giudice di pace che il Tribunale ha ritenuto essere desumibili dalla motivazione della decisione di primo grado risultino conformi a diritto. Ed infatti, la mancata opposizione dell’Amministrazione alla domanda rivolta nei suoi confronti non giustifica, di per sé, la compensazione delle corrispondenti spese processuali in quanto comunque l’istante è stato costretto ad adire il giudice per ottenere il riconoscimento del diritto.
Né può costituire giusto motivo di compensazione delle spese la circostanza che la decisione di primo grado fosse stata favorevole al ricorrente in cassazione per motivi che prescindono dal merito, non potendosi sostenere che nell’ordinamento vi sia un favor per gli errori meramente procedurali della pubblica amministrazione (v. Cass., sent. n. 8114 del 2011).
Ed anche il limitato valore economico della controversia può – come correttamente sottolineato dal ricorrente – tutt’al più determinare l’applicazione di uno piuttosto che di altro scaglione nella liquidazione delle spese processuali.
Infine, giustificare il provvedimento di compensazione delle spese processuali sulla base del mancato esercizio della facoltà di difendersi personalmente equivarrebbe a negare il diritto della parte di farsi assistere da un difensore“.