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Il praticante che compie gli atti del professionista abilitato commette il reato di esercizio abusivo della professione.

La Cassazione, con la sentenza n. 18488 del 15 maggio 2012, in materia di esercizio abusivo della professione, ha confermato la condanna nei confronti di un praticante che aveva svolto la consulenza del lavoro senza la firma del professionista abilitato.
L’art. 1 legge n. 12/1979 riserva agli iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro tutti gli adempimenti in materia di lavoro previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti se non curati direttamente dal datore di lavoro e nel caso esaminato dalla Suprema Corte l’attività svolta da parte del “praticante” era tale da non destar alcun dubbio sulla propria autonomia lavorativa. Pertanto, è stato del tutto inutile la difesa di quest’ultimo che ha dichiarato di svolgere l’attività guidato da un consulente, soprattutto perchè lo stesso ha fatturato in proprio le consulenze prestate.
Sull’argomento, l’ultima precisazione della corte riguarda poi che “i compiti di natura meramente esecutiva debbono essere svolti sotto il controllo e sotto la responsabilità del consulente del lavoro che può avvalersi allo scopo di propri dipendenti”.

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