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La Cassazione si pronuncia sul collocamento obbligatorio

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Corte di Cassazione – Sentenza 06 marzo 2013, n. 5546

La Suprema Corte di Cassazione ha emesso una interessante sentenza in materia di collocamento obbligatorio.
Più nello specifico, l’argomento affrontato dai giudici con la sentenza n. 5546 del 6 marzo 2013, riguarda il rifiuto da parte dell’azienda di reinserire una lavoratrice a causa della discordanza tra la categoria richiesta e quella di avviamento.

Sulla vicenda la Corte si è espressa in questo modo:

Svolgimento del processo

La Corte di Appello dell’Aquila, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di D. M., proposta nei confronti della società Casa di Cura V., avente ad oggetto la condanna di tale società al risarcimento dei danni conseguenti al rifiuto di assumerla opposto dalla predetta società, nonostante fosse stata, con provvedimento del 25 novembre 1999, avviata obbligatoriamente ex lege n. 482 del 1968 presso la stessa quale iscritta nell’elenco provinciale degli invalidi civili.

La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale potendosi, nella specifica materia del collocamento obbligatorio ratione temporis, fare unicamente distinzione tra operai ed impiegati ed essendosi la società limitata a chiedere l’avviamento di infermieri professionali, doveva considerarsi, in mancanza di ulteriore specificazione da parte della società, legittimo l’avviamento della D. nonostante questa fosse iscritta quale operaia. Né secondo la Corte territoriale poteva condurre a diverse conclusioni l’assunto della società secondo il quale l’infermiere professionale era da equiparare all’impiegato poiché, a fronte delle risposta alla richiesta di avviamento da parte dell’Ufficio del lavoro che sarebbero stati avviati lavoratori privi della qualifica richiesta, nulla la società aveva replicato. Di qui per la Corte del merito la malafede della società che non aveva mai palesato l’esigenza di assumere impiegati venendo meno, in tal modo, al suo obbligo di collaborare con l’Ufficio del collocamento per l’assunzione di lavoratori.

Dall’illegittimo rifiuto all’assunzione derivava, secondo la Corte del merito, il diritto della avviata al risarcimento dei danni che veniva quantificato dalla Corte di Appello con riferimento alla retribuzione perduta da calcolarsi con decorrenza dalla messa in mora della D. detratto quanto corrisposto da altri datori da lavoro.

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base quattro censure.

La parte intimata non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società, deducendo violazione degli artt. 2095 c.c. 95 disp. att. c.c., 11,16 e 21 della legge 2 aprile 1968 n. 482 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, pone, ex art. 366 bis cpc, il seguente quesito:”se essendo incontestato e non più contestabile che la Casa di Cura V. con la nota n. 4993/99 Prot. del 13.5.99, sopra ritrascritta, aveva richiesto l’avviamento di n. 53 infermieri professionali, e, quindi, di lavoratori appartenenti alla categoria impiegatizia e che l’ufficio di lavoro a riscontro di tale richiesta, senza tenere conto della indicazione nella stessa contenuta, aveva avviato M. D., in qualità di operaio (come da nota del 25.11.99 sopra ritrascritta), la Corte di Appello dell’Aquila avrebbe dovuto o meno dichiarare l’illegittimità dell’ atto di avviamento e la conseguente legittimità del rifiuto all’assunzione esternato dal datore di lavoro, per discordanza tra la categoria indicata nella richiesta e quella con cui la lavoratrice era stata avviata”.

Con la seconda critica la società, denunciando violazione degli artt. 13 62 e ss c.c., 115 e 116 cpc nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, pone il seguente quesito: “se essendo acquisita agli atti la nota inviata da V. a Ufficio del lavoro n.4993/99 Prot. del 13.5.99 nella quale testualmente (…) nonché la lettera inviata a V. dall’ Ufficio del Lavoro del 25.11.1999 nella quale testualmente era detto:(…), nonché la nota del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che testualmente si ritrascrive (…) la sentenza della Corte di Appello dell’ Aquila all’esito di una corretta valutazione delle risultanze documentali, doveva ritenere illegittimo o meno 1′avviamento della lavoratrice D. M. in qualità di operaio presso V. e, quindi doveva disapplicare il provvedimento stesso e, conseguentemente, ritenere legittimo il comportamento tenuto da V.”.

Con il terzo motivo la società, assumendo violazione degli artt. 1175 c.c., 115 e 116 cpc nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, articola il seguente quesito: “se sulla base delle risultanze del giudizio, potesse essere ritenuto violato il canone legale di correttezza da parte della casa di Cura V. e se la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila, nella parte in cui ha ritenuto violato il principio di correttezza da parte dell’esponente, pur essendo stato provato che a seguito di richiesta di infermieri professionali era stato avviato un lavoratore quale operaio, al quale era stata rifiutata l’assunzione sul rilievo che vi era la necessità di assumere infermieri professionali, sia munita di sufficiente motivazione”.

Con l’ultima critica la società, denunciando violazione degli artt. 1223, 1226, 1227, comma 2°, c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, pone il seguente quesito: “se, essendo incontestato ed oramai incontestabile che dopo il rifiuto all’assunzione da parte di V. di M. D., avvenuto nel Dicembre 1999 e che quest’ultima era stata assunta alle dipendenze di altri datori di lavoro prima dal 4.6.2002 e poi dal 1.3.2004 in poi, la sentenza della Corte di Appello dell’Aquila, avrebbe dovuto o meno, in applicazione dell’ art. 1223 c.c. e dell’ art. 1227, comma 2, c.c. limitare temporalmente il risarcimento del danno al periodo compreso tra la costituzione in mora ed il reperimento di altra occupazione e se, altresì, avrebbe dovuto diminuire il risarcimento del danno per effetto del concorso del fatto colposo della stessa lavoratrice, deducibile dal protrarsi per alcuni anni dello stato di disoccupazione del soggetto protetto dovuto a colpevole inerzia nel reperimento di altra occupazione”.

Il primo motivo del ricorso è solo in parte ammissibile e sotto tale aspetto è fondato.

Infatti la censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione che non si traduce in una pluralità di quesiti-pur negata da questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770 e da ultimo Cass. SU 5 luglio 2011 n. 14661) – vi è di contro il rilevo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063) che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1° ottobre 2007 n. 2063).

Pertanto in difetto della relativa specificazione la denuncia deve considerarsi per come limitata alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

Così delimitato l’ambito del devolutum, rileva il Collegio che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, mentre le norme sul collocamento ordinario prevedono che la richiesta dell’imprenditore deve essere numerica per categoria e qualifica professionale e correlativamente gli iscritti nelle liste sono suddivisi per classi, settori di produzione, categorie e qualifiche, invece, la disciplina del collocamento obbligatorio prescrive soltanto che la richiesta sia numerica (e solo eccezionalmente nominativa), senza però prevedere ulteriori specificazioni in ordine alla professionalità del lavoratore che l’imprenditore intende assumere, pertanto, ove quest’ultimo abbia fatto richiesta di avviamento (obbligatorio) di un lavoratore invalido (od assimilato) aventi specifiche attitudini lavorative, l’U.P.l.m.o., può soltanto individuare in quale delle due fondamentali categorie professionali (impiegatizia od operaia) previste dall’art. 2095 cod. civ. tali attitudini siano inquadrabili e provvedere in conformità di tale generico inquadramento, Da tanto consegue che nell’ipotesi di divergenza tra la categoria indicata nella richiesta e quella di appartenenza del lavoratore avviate non viene ad esistenza il diritto soggettivo di quest’ultimo ad essere assunto dall’impresa destinataria dell’ordine di assegnazione e diventa legittimo l’eventuale rifiuto dell’imprenditore di assumere il lavoratore avviato che non rientri nella generale categoria professionale risultante dalla richiesta (Cass. 3 luglio 1987 n. 5828 e nello stesso senso sostanzialmente Cass. 10 aprile 1990 n. 3030, Cass. 20 agosto 1993 n. 8824 nonché Cass. 23 novembre 1998 n. 11877).

A siffatta regula iuris il Collegio ritiene di dare continuità giuridica non essendovi valide ragioni, tra l’altro nemmeno prospettate, per discostarsene.

Applicando, pertanto, il principio in parola al caso di cui trattasi e, tenuto conto che non è contestata la circostanza secondo la quale la richiesta di avviamento riguardava 53 infermieri professionali e, quindi, impiegati, è da qualificarsi legittimo il rifiuto della società di assumere la D. avviata, invece, come operaia.

E’, quindi, errata in diritto la sentenza impugnata che non ha tenuto conto, riguardo alla fattispecie concreta, della regula iuris sopra richiamata.

Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, rimanendo nelle esposte considerazioni assorbite le ulteriori censure.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va, ai sensi del secondo comma dell’ art. 384 cpc, decisa nel merito con rigetto della originaria domanda della D..

Avuto riguardo alla non conformità delle decisioni del merito, alla specificità della materia del contendere nonché alla categoria protetta del soggetto coinvolto, stimasi compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie in parte il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione al motivo accolto, la impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di D. M. e compensa le spese dell’intero processo.

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Ideatore e fondatore di questo blog, iscritto all'Ordine degli Avvocati di Palmi e all'Ilustre Colegio de Abogados de Madrid; Sono appassionato di diritto e di fotografia e il mio motto è ... " il talento non è mai stato d'ostacolo al successo... "
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