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Lavoro di pubblica utilità e revoca della misura sostitutiva

Suprema Corte di Cassazione I Sezione Penale Sentenza n.46551/2017 - Articolo a cura dell'avv. Gaia Li Causi

Lavoro di pubblica utilità e revoca della misura sostitutiva
Suprema Corte di Cassazione I Sezione Penale
Sentenza n.46551 ud. 25.05.2017 dep. 10.10.2017
Articolo a cura dell’avv. Gaia Li Causi

Cassazione7

Ai sensi dell’art. 73, comma 5 bis dpr n. 309 del 1990, per la sostituzione della pena detentiva con la sanzione del lavoro di pubblica utilità, devono sussistere quattro condizioni, ovvero: che l’interessato sia tossicodipendente o, comunque, assuntore di sostanze stupefacenti; che sia intervenuta sentenza di condanna o di patteggiamento che abbia riconosciuto il fatto di lieve entità; che l’imputato abbia espressamente chiesto, eventualmente in via subordinata, la sostituzione delle pene irrogate con quella del lavoro di pubblica utilità; che non ricorrano le condizioni per la concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p.

Trattasi questo, però – come affermato dalla Suprema Corte, con sentenza n. 687 del 23.02.2011 – non di un automatico diritto dell’imputato, in quanto la relativa concessione è lasciata al libero apprezzamento discrezionale del Giudicante, “da esercitarsi avendo riguardo principalmente al parametro costituzionale espresso dall’art. 27, in particolare, sub specie, della idoneità della misura a tendere alla rieducazione del condannato, ai parametri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., oltre che ai parametri dettagliati nello stesso art. 73, comma 5 bis”.

Ma cosa accade nel caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, con conseguente revoca?

A dare risposta a questo quesito è intervenuta la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46551 del 25.05.2017 depositata il 10.10.2017.

Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, con ordinanza del 22.06.2016 il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava a D.N. la pena sostitutiva applicata con sentenza n. 28/2015, a seguito di suo arresto in flagranza di reato.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso il difensore di D.N., adducendo due motivi a sostegno dell’impugnazione.

In primo luogo lamentava, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., motivazione incongrua sulle circostanze giustificative della revoca.

In secondo luogo, in relazione all’art. 606, comma 1, lett b) c.p.p., lamentava violazione di legge con riferimento agli artt. 56 e 58 d. lgs. n. 274 del 2000.

Premesso che la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità può essere disposta solo in ipotesi di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro, la Prima Sezione della Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, disattende la doglianza insita nel primo motivo, affermando che “la revoca di tale pena sostitutiva può essere disposta non soltanto in caso di diretta violazione degli obblighi connessi in senso stretto allo svolgimento del lavoro, ma anche in ordine a quei comportamenti colpevoli dell’agente, i quali, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono inevitabilmente sulla prestazione stessa, determinando la pratica impossibilità di proseguire la sua effettuazione concordata con l’ente pubblico”.

E questo è esattamente quanto accaduto nel caso di specie, ove D.N., ponendo in essere un comportamento di rilevanza penale che ne ha cagionato l’arresto in flagranza, “si è concretamente e volontariamente posto nell’impossibilità di adempiere la prestazione a favore della collettività, con conseguente ascrivibilità a lui dell’interruzione della prestazione stessa”.

Quanto, invece, al secondo motivo di gravame, la Suprema Corte di Cassazione lo ritiene fondato, ritenendo che il giudice dell’esecuzione aveva errato nel ripristinare, a seguito della revoca, l’originaria pena in modo integrale.

Questo il principio di diritto affermato dalla Prima Sezione con la sentenza n. 46551 del 2017: “In riferimento alla fattispecie di cui all’art. 73, comma 5 bis, dpr n. 309 del 1990 l’attività imposta quale oggetto del lavoro di pubblica utilità, che risulti essere stata regolarmente svolta dal condannato, anche se per un tempo circoscritto rispetto all’intero, e sia poi stata seguita dalla revoca del provvedimento di sostituzione, è da qualificarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione, con l’effetto che l’atto di revoca deve detrarre il relativo periodo dalla durata della pena detentiva originariamente inflitta al fine della determinazione della pena residua”.

I Giudici della Suprema Corte, infatti – considerato il carattere fortemente omogeneo delle rispettive normative – ritengono applicabile anche al caso di revoca ex art. 73, comma 5 bis dpr 309 del 1990, quanto già espresso in tema di revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9 bis d. lgs. 285 del 1992 e ex art. 187, comma 8 bis, d. lgs. 285 del 1992, che comporta il rispristino della sola pena residua calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività.

In conclusione, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in epigrafe, “non apparirebbe, quindi, ragionevole gravare il condannato anche dell’efficacia ex tunc della revoca della pena sostitutiva, con integrale rispristino di quella originaria, effetto, del resto, non espressamente previsto dall’ordinamento e tale da vanificare il lavoro sostitutivo regolarmente svolto e da escludere qualsiasi effetto del rapporto fra pena originaria e pena sostitutiva”.

Testo della Sentenza n 46551/2017

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