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Locazione, riconvenzionale, maggiorazioni canoni

Locazione, riconvenzionale, maggiorazioni canoni
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile
Sentenza 11 febbraio – 10 aprile 2014, n. 8405
Presidente Berruti – Relatore Vincenti

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha esaminato un caso interessante sulla locazione.

Secondo Piazza Cavour, “la Corte territoriale avrebbe errato nell’equiparare la questione della legittimazione passiva sulla domanda riconvenzionale ad una eccezione in senso proprio, non rilevabile d’ufficio e soggetta a decadenze e preclusioni.
Il giudice di appello avrebbe poi errato nell’affermare la qualità di locatrice di essa ricorrente per tutto il corso del rapporto di locazione, anziché per il solo periodo in cui ella sarebbe stata, semmai, effettivamente titolare del rapporto medesimo, avendo le conduttrici mancato di provare la “durata dei rispettivi periodi locativi

 

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La Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto, anche in forza di un travisamento degli esiti istruttori, che la legittimazione passiva rispetto alla domanda riconvenzionale di restituzione di indebito derivava dalla qualità di locatrice e non già dalla effettiva ricezione delle somme; la stessa Corte avrebbe, poi, reso una pronuncia “oltre le stesse richieste delle conduttrici e senza alcuna prova” in relazione alla percezione dei canoni ultra legali per tutto il periodo del rapporto di locazione.

Il giudice del gravame sarebbe, infine, incorso in un vizio di motivazione quanto al fatto, controverso e decisivo, per cui essa ricorrente avrebbe rivestito la qualità di locatrice per tutto il corso del rapporto e come tale avrebbe percepito i canoni locatizi.

Infine, la Corte si sofferma anche su un altro importante aspetto tralasciato dal giudice territoriale e, pertanto, precisa che “il riconoscimento in favore delle conduttrici delle differenze pecuniarie relativi ai canoni maggiorati rispetto alla misura legale anche successivamente alla data di proposizione della domanda riconvenzionale con la quale veniva fatta valere detta pretesa contrasta con il principio – enunciato da Cass., 9 giugno 2004, n. 10970 – secondo cui “la domanda accessoria di ripetizione di indebito, svolta dal conduttore nel giudizio diretto alla determinazione della misura legale del canone locatizio, richiede tra i suoi elementi costitutivi sia l’accertamento del corrispettivo dovuto sia l’avvenuto pagamento, a detto titolo, di somme in eccedenza; ne consegue che deve considerarsi domanda nuova, e come tale inammissibile (ma riproponibile in un separato giudizio), la richiesta di condanna del locatore alla restituzione dell’ulteriore indebito per le somme versategli nel corso del giudizio, in quanto si fonda su presupposti di fatto diversi da quelli prospettati con la domanda originaria, e comporta un mutamento del fatto costitutivo del diritto fatto valere. Né può estendersi analogicamente a tale fattispecie la possibilità, consentita dall’art. 664, primo comma, cod. proc. civ., a chi propone domanda di risoluzione del contratto di locazione per morosità, di ampliare la domanda originariamente proposta fino ad ottenere oltre al pagamento dei canoni già scaduti, anche il pagamento delle somme dovute dal conduttore per i canoni insoluti e da scadere, che configura una delle ipotesi eccezionali di condanna in futuro, delle quali non è consentito allargare per analogia l’area oltre le ipotesi espressamente previste. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha escluso la possibilità di richiedere la condanna in futuro in relazione alla domanda di condanna alla restituzione delle indebite maggiorazioni di un canone di locazione superiori all’equo canone)“.

Dunque, “la Corte territoriale avrebbe, dunque, dovuto limitare la condanna della conduttrice al pagamento delle differenze pecuniarie relative ai canoni maggiorati rispetto alla misura legale sino al momento di proposizione della domanda delle conduttrici e cioè al 27 maggio 2002“.

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