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Non sempre si configura il tentativo per gli atti sessuali non consumati

La suprema corte ha avuto modo di ribadire un principio più volte espresso in materia di atti sessuali o meglio di come non si configura il tentativo anche nelle ipotesi in cui il reato di fatto non si é consumato.

Secondo la corte in caso di atti sessuali (che nel caso di specie si riferisce al toccamento degli organi genitali) si considera consumato il reato anche nel caso in cui il tentativo di compierli imposto con la forza dall’agente non va del tutto a buon fine per la reazione della persona offesa.

Il caso trattato dai giudici con l’ermellino riguardava un insegnante che é stato condannato per atti sessuali su minore sia in primo che in secondo grado.

Piú nello specifico, l’uomo aveva costretto con la forza uno dei suoi studenti, durante una gita scolastica, a subire toccamenti verso alcune parti del suo corpo (anche tentando di avvicinare il proprio organo genitale).

A causa della reazione dello studente il reato, secondo la difesa, non si sarebbe consumato e, pertanto, propose ricorso in Cassazione avverso la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’imputato da parte della Corte d’Appello di Napoli, lamentando una errata valutazione da parte di giudici di merito di alcuni elementi fondamentali per la decisione che avrebbero permesso una migliore valutazione riguardo la condotta tenuta dall’uomo e che avrebbero permesso di riconfigurare la stessa entro le ipotesi del tentativo.

Con la sentenza 29479/12 la Cassazione si pronuncia sul citato ricorso e lo giudica inammissibile, poiché i motivi prospettati nello stesso, sono attinenti piú che altro al merito e, pertanto, non possono essere sottoposto al vaglio del giudizio di legittimità.

Per giurisprudenza consolidata il giudizio di legittimità non puó ricostruire i fatti contestati dall’imputato, perché tale compito è assegnato ai primi due gradi di giudizio.

Tale principio, attuato nel caso de quo, rende inammissibile il ricorso anche per il fatto che l’attenta analisi della sentenza emessa dalla Corte territoriale ha motivato adeguatamente e senza contraddizioni le dichiarazioni rese dal minore in sede di incidente probatorio e sulla ricostruzione del fatto che ne è derivata (considerandole attendibili) .

A parere dei massimi giudici, l’azione del ricorrente è stata valutata correttamente inquadrandola nell’ambito del reato consumato nonostante non sia stata raggiunta dalle mani della persona offesa la zona dei genitali, perché anche un contatto superficiale o fugace che non abbia attinto zone erogene integra il reato in parola se è derivato dalla costrizione imposta dall’agente ed è stato evitato solo per fattori indipendenti dalla sua volontà, quale la reazione della vittima.

Per la Cassazione la sentenza pronunciata nella fase di merito non é censurabile in quanto nella fattispecie concreta i giudici hanno correttamente accertato la sussistenza sia dell’elemento soggettivo ovvero l’appagamento degli istinti sessuali del ricorrente sia anche quello oggettivo consistente nella violazione della libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale della persona offesa.

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