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Salute, risarcimento danni, negligenza, medico e consenso informato

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Salute, risarcimento danni, negligenza, medico e consenso informato
Suprema Corte di Cassazione Quarta Sezione Penale
Sentenza 9 maggio – 17 ottobre 2013, n. 42656

Responsabilita’ del medico · salute · intervento chirurgico · consenso informato · complicazioni · civile · risarcimento danni · negligenza · dolo · colpa grave

Con la sentenza in commento la Cassazione ha nuovamente trattato il caso del consenso informato e, nel caso di specie, ha affermato che “la sottoscrizione da parte della paziente del consenso informato, non libera da responsabilità derivante da fatto proprio colposo dell’operatore.”

Già ne avevamo discusso in occasione della Sentenza del 31 luglio 2013, n. 18341 in cui gli ermellini però, oltre agli aspetti riguardante il consenso informato, si soffermavano principalmente su di un altra questione ovvero il nesso causale tra la condotta del personale medico e i danni subiti e, nell’occasione sostenevano che “non assume rilievo decisivo l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata circa l’impossibilità di escludere “quantomeno il ragionevole dubbio sul collegamento dei gravi danni del bambino alla condotta di quel personale”, non influenzando detta affermazione quelle precedenti della Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza della prova del nesso causale;”

Nella motivazioni della sentenza in esame che riguardano anche il consenso informato si legge “Sostiene ancora il M. di essersi trovato a fronteggiare una situazione di particolare complessità tecnica e che la valutazione della sua responsabilità doveva essere effettuata in coordinamento con l’art. 2236 c.c. che, per le ipotesi di danno provocato dal prestatore d’opera qualora la prestazione richieda la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore sia tenuto al risarcimento nei soli casi di dolo o colpa grave. Il motivo, peraltro assai genericamente formulato, è infondato, considerato da un lato che è solo una mera enunciazione che il M. si sia trovato a fronteggiare una situazione di particolare complessità tecnica, dall’altro che l'(eventuale) maggiore complessità dell’intervento era stato determinato dalle stesse scelte “inopportune” dell’imputato che, peraltro, come sottolineato dai giudici di appello, aveva proceduto alla estrazione del fibroma ampliando una delle vie di ingresso dei trocar laterali, anziché praticare un taglio sufficiente al passaggio del fibroma sulla linea mediana, due centimetri sopra la sinfisi pubica (dato che una minilaparatomia sarebbe stata comunque meno invasiva, anche esteticamente, di quella poi in concreto resasi necessaria per bloccare l’emorragia) – cfr. p. 9 dell’impugnata sentenza.

La Corte continua affermando che “è incontestabile che l’attività medico chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso” del paziente, che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il medico, di regola ed al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. In questa prospettiva, il “consenso”, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere “informato”, cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti negativi della terapia o dell’intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l’indicazione della gravità degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost.”

Pertanto, “la mancanza del consenso (opportunamente informato) del malato o la sua invalidità per altre ragioni, determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo, ma la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta (vuoi omissiva, vuoi commissiva) dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attività sia stata prestata con o in assenza di consenso. Cosicché il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Dunque il consenso informato, anche se corretto e adeguato e corrisposto dalla reale ed integrale comprensione del paziente, non vale ad escludere la colpa del medico che abbia operato negligentemente o imperitamente ovvero in violazione delle leges artis. Ne consegue che a nulla rileva ex se, ai fini dell’esclusione della responsabilità, l’eventuale adeguatezza della comunicazione ed illustrazione dei rischi connessi all’intervento al paziente che si risolse, ciononostante, ad affrontarlo (cfr. Sez. 4, n. 4541 del 2013, Falasco (PC) c. Carlino).

Il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

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Ideatore e fondatore di questo blog, iscritto all'Ordine degli Avvocati di Palmi e all'Ilustre Colegio de Abogados de Madrid; Sono appassionato di diritto e di fotografia e il mio motto è ... " il talento non è mai stato d'ostacolo al successo... "
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