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Sentenza – Ingiuria, dire porco al marito non costituisce reato se c’è di mezzo un’altra donna

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Sentenza – Ingiuria, dire porco al marito non costituisce reato se c’è di mezzo un’altra donna
Suprema Corte di Cassazione Penale Quinta Sezione
Sentenza 30 ottobre – 9 dicembre 2013, n. 49512
Presidente Dubolino – Relatore Palla

Fatto e diritto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia ricorre avverso la sentenza 14.12.12 del Giudice di pace di Troina con la quale C.D. assolta dal reato di ingiuria ascrittole “per la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art.599 comma 2 c.p.”.
Deduce il p.m. ricorrente violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. per avere il giudice illogicamente e contraddittoriamente ritenuto l’operatività della scriminante di cui all’art. 599 cpv. c.p. laddove invece, avendo entrambe le parti in causa confermato di essere legalmente separate dal 2006 e di vivere in due unità abitative che, sebbene contigue tra loro, erano materialmente divise – con conseguente naturale affievolimento dell’obbligo della fedeltà -, il comportamento di T.
D. S., ex coniuge della C., consistito nel portare nella propria abitazione la propria compagna, non poteva costituire un fatto ingiusto rilevante ai fini del riconoscimento della scriminante in argomento.
Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.
Il giudice di pace, dopo aver evidenziato la risalenza dei rancore che animava i rapporti tra gli ex coniugi e la materiale divisione in due unità abitative della casa coniugale, ha correttamente ritenuto scriminato il comportamento ingiurioso dell’imputata – che sporgendosi dalla finestra aveva apostrofato il T. con l’epiteto di “porco” che portava “tutte le prostitute a casa” – posto in essere alla vista dell’ex coniuge e della sua compagna S.B., ritenendo sussistere l’esimente della provocazione per avere l’imputata reagito, irata, al comportamento del T. che aveva condotto all’interno della propria abitazione un’estranea, contravvenendo in tal modo all’accordo di non ospitare estranei con cui si intrattenevano relazioni nelle rispettive abitazioni, comportamento quindi da definire quale “fatto ingiusto” perché contrario alle regole della lealtà familiare.
Per l’applicabilità dell’esimente prevista dal comma 2 dell’art. 599 c.p., infatti, è sufficiente che la reazione sia determinata dal fatto ingiusto altrui e l’ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi, cioè limitatamente ad un fatto che abbia un’intrinseca illegittimità, ma con criteri più ampi, anche quando cioè esso sia lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza (Cass., sez. V, 11 marzo 2009, n. 21455) e nella specie il comportamento tenuto dal T., essendo consistito nella violazione della regola – stabilita di comune accordo dagli ex coniugi – di non ospitare persone, nelle rispettive abitazioni, con cui si intrattenevano relazioni sentimentali, ha concretato gli estremi della “ingiustizia” che ha reso applicabile al fatto ingiurioso posto in essere dalla C. l’esimente di cui al comma 2 dell’art.599 c.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia.

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