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Sentenza – Pubblica Amministrazione condannata ad un facere

Corte di Cassazione - Sentenza di 9366 del 17 aprile 2013

Sentenza – Pubblica Amministrazione condannata ad un facere
Suprema Corte di Cassazione Civile Sezioni Unite
Sentenza del 6 Settembre 2013, n. 20571

…omissis…

1.- La Corte d’appello ha affermato la propria giurisdizione sul rilievo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’inosservanza da parte della pubblica amministrazione di regole tecniche, ovvero di canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata innanzi al giudice ordinario sia quando si richieda la condanna della p.a. ad un tacere sia quando si agisca per il risarcimento del danno, giacchè la domanda non investe allora scelte e atti autoritativi dell’amministrazione, bensì un’attività materiale, soggetta al rispetto del principio generale del neminem laedere: com’era appunto nel caso in esame.

Ha poi ritenuto di dover contemperare, in applicazione analogica dell’art. 844 c.c., il diritto del privato al godimento pieno della sua abitazione, con le correlative esigenze di riposo e di quiete influenti anche sulla salute, con le esigenze della scuola pubblica materna ed elementare (nella specie frequentata da 150 bambini), rappresentanti valori tutelati tutti dalla Costituzione.

2.- Il Comune ricorrente se ne duole denunciando violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E, ed ogni possibile tipo di vizio della motivazione su fatto controverso e decisivo.

Sostiene che la Corte d’appello, ordinando al Comune ed al Ministero di non consentire per più di un’ora e mezza al giorno (e non nelle prime ore della mattina) l’uso per il gioco dei bambini dell’area esterna di pertinenza della scuola, s’è arrogata il potere di disciplinare l’uso del patrimonio indisponibile del Comune, sostituendosi allo stesso nell’apprezzamento dell’interesse pubblico e nel contemperamento di tale interesse con quello del privato; e finendo col disciplinare attività formative ed educative di esclusiva competenza dell’autorità scolastica.

Afferma, inoltre, che la conclusione è priva di supporto logico, per avere la Corte d’appello espressamente riconosciuto la rilevanza del gioco all’aria aperta per lo sviluppo psichico dei bambini della scuola materna ed elementare e per le esigenze della resa del servizio pubblico in questione.

Il Ministero assume che siano state violate le regole su riparto della giurisdizione sul presupposto di un’indimostrata parità dei diritti di godimento della proprietà con il superiore interesse pubblicistico al normale svolgimento dell’attività didattica.

3.- Con sentenza n. 10186/1998, pronunciata in fattispecie relativa ad immissione di rumori, queste sezioni unite hanno ritenuto inadeguata a risolvere i conflitti di interessi nel campo delle immissioni rumorose un’interpretazione dell’art. 844 c.c., che limiti la tutela in relazione ai soli pregiudizi recati alla proprietà.

S’è in quell’occasione osservato che l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare (Cass., Sez. 2^, 23 marzo 1996, n. 2598; Cass., Sez. 2^, 4 agosto 1995, n. 8602). Nondimeno l’azione inibitoria ex art. 844 c.c., può essere esperita dal soggetto leso per conseguire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l’azione per la responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c., nonchè la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 cod. civ. (Cass., Sez. Un. 9 aprile 1973, n. 999). La questione della lesione del diritto alla salute presuppone una domanda autonoma (Cass., Sez. 3^, 20 marzo 1995, n. 3223), ma con la stesso atto si possono proporre le distinte domande, dirette ad ottenere la tutela dei differenti diritti soggettivi (proprietà e salute), che si assumono lesi (Cass., Sez. Un., 29 luglio 1995, n. 8300).

Benchè, dunque, la modalità principe della tutela della salute garantita dall’art. 32 Cost., sia, in ambito civilistico, quella risarcitoria di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c., è non di meno possibile, in funzione della protezione di quell’interesse e quando ne sussistano i presupposti, domandare anche la tutela inibitoria di cui all’art. 844 c.c..

3.1.- Nel caso in esame l’attore aveva chiesto che fossero inibite le immissioni intollerabili e che gli fosse risarcito il danno da lesione della salute, dalle immissioni appunto derivato. S’è trattato, a ben vedere, di una richiesta di tutela che, in relazione al medesimo fatto pregiudizievole (di carattere permanente in quanto quotidianamente rinnovantesi), si atteggiava come risarcitoria quanto al passato e come inibitoria quanto al futuro. E concerneva, inoltre, la tutela della salute (costituente un diritto non suscettibile di affievolimento: cfr., ex multis, Cass., sez. un., n. 4908/2006 e, in altro campo, n. 2867/2009) in relazione ad un attività materiale pregiudizievole qualificabile come illecita, in quanto consistente in immissioni eccedenti il limite della normale tollerabilità.

Si rende dunque applicabile il principio secondo il quale l’inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella gestione (e manutenzione) dei beni che ad essa appartengono, (delle regole tecniche, ovvero) dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della p.a. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove miri alla condanna della stessa ad un facere (o ad un non facere), giacchè la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (cfr., ex coeteris, Cass., sez. un., nn. 599/2005, 20117/2005, 25221/2006, 26108/2007, 25982/2010, 5926/2011, 4848/2013, quest’ultima relativa ad un caso di immissioni acustiche provenienti da un parco giochi).

Non si afferma d’altronde che sia mai stato indicato da alcuno l’atto amministrativo inciso dall’emesso ordine di non fare, che non costituiva dunque oggetto del giudizio, per essersi fatta valere in causa unicamente l’illiceità della condotta dell’ente pubblico, suscettibile di incidere sulla salute e sui diritti patrimoniali del terzo (cfr. la citata Cass., sez. un., n. 20117/2005); mentre l’ordine inibitorio, lungi dal fissare le modalità di esercizio del servizio pubblico scolastico, s’è limitato ad inibire l’occupazione per scopi ludici degli spazi esterni di pertinenza della scuola nelle prime ore della mattina ed oltre il tempo ritenuto compatibile col diritto del vicino.

3.2.- Il ricorso è conclusivamente respinto, con la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e condanna le amministrazioni controricorrenti alle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00, per compensi, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 11 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2013

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