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Civile, motivazione apparente – Sentenza Cassazione 2014

Sentenza – Va cassata la sentenza con motivazione apparente
Suprema Corte di Cassazione Sezione II Civile
Sentenza 7 novembre 2013 – 25 febbraio 2014, n. 4488
Presidente Bursese – Relatore Falaschi

Svolgimento del processo

p.1. L.P. e A.C. hanno proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Clinica Mediterranea, la Regione Campania, l’A.S.L. Napoli X Centro (già ASL NA X), R.A. e la s.p.a. Allianz (già Ras s.p.a.) e la s.p.a. Ina Assitalia (già Assitalia s.p.a.), avverso la sentenza del 22 giungo 2009, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata inter partes dal Tribunale di Napoli.
p.2. Il Tribunale era stato adito nel febbraio del 2000 da essi ricorrenti contro la detta Clinica, la Regione e l’allora ASL NA X, per ottenere la dichiarazione di responsabilità e la conseguente condanna dei medesimi al risarcimento dei danni sofferti dal L. e dalla A. in relazione al rapporto di coniugio in relazione ad un intervento cui il medesimo si era sottoposto in regime di convenzionamento il 6 ottobre del 1996, che non solo aveva dato i risultati sperati, ma aveva provocato una sintomatologia che successivamente nel marzo del 1999 aveva determinato l’asportazione del testicolo sinistro, e, nel contraddittorio del R. , quale sanitario che aveva eseguito l’intervento e della Ras, società assicuratrice, chiamati in causa dalla Clinica Mediterranea, nonché dell’Assitalia, chiamata in garanzia dal R. , con sentenza dell’ottobre del 2004 rigettava le domande dei qui ricorrenti, dichiarava non luogo a provvedere sulle domande di rivalsa della Clinica Mediterranea nei confronti del R. e della Ras e dal R. nei confronti dell’Assitalia, con gravame delle spese sui ricorrenti a favore della Regione e dell’ASL e con compensazione riguardo agli altri rapporti processuali.
p.3. Con la sentenza qui impugnata la Corte territoriale ha rigettato l’appello della A. ed ha accolto per quanto di ragione l’appello del L. , condannando il R. e la Clinica Mediterranea, solidalmente, al pagamento in suo favore della somma di Euro 38.978,75 oltre accessori, ha condannato l’Assitalia a tenere indenne il R. dalle conseguenze della soccombenza e la RAS a tenere indenne la Clinica Mediterranea dalle stesse conseguenze, ha dichiarato compensate le spese di entrambi i gradi fra i qui ricorrenti e la Clinica Mediteranea ed il R. , ha compensato le spese dei due gradi nel rapporto fra il R. e l’Assitalia e nel rapporto fra la Clinica e la Ras, ha condannato i coniugi alle spese del grado a favore della regione dell’ASL, nel resto confermando la sentenza di rime cure.
p.2. Al ricorso del L. e del’A. hanno resistito con separati controricorsi la Clinica Mediterranea, svolgendo altresì ricorso incidentale, la Allianz s.p.a., l’INA Assitalia e la Regione Campania. Al ricorso incidentale della Clinica Mediterranea hanno resistito con controricorso i ricorrenti principali.
p.3. Hanno depositato memorie i ricorrenti principali, la ricorrente incidentale e la Allianz.

Motivi della decisione

p.1. Il ricorso incidentale dev’essere deciso congiuntamente a quello principale, in seno al quale è stato proposto.
p.2. Il ricorso principale si articola per 241 pagine.
In una prima parte, che si dipana dalla pagina 25 alla pagina 102 sono esposti motivi che riguardano i “danni subiti” dal L. .
In una seconda parte, che va dalla pagina 103 alla metà della pagina 167, sono esposti motivi che riguardano i “danni subiti” dall’A. .
In una terza parte, che va dalla metà della pagina 167 all’inizio della pagina 213, sono esposti motivi che riguardano la responsabilità della Regione e dell’ASL.
In una quarta parte, che va dalla pagina 213 all’inizio della pagina 225, sono esposti motivi che riguardano le statuizioni sulle spese fra i ricorrenti principali e la Clinica Mediterranea ed il R. .
In una quinta parte sono esposti i motivi che riguardano le statuizioni sulle spese fra i ricorrenti principali e la Regione e l’ASL.
p.3. I motivi esposti nella prima parte del ricorso principale sono preceduti, dopo un breve riferimento all’avere la Corte territoriale riconosciuto, sulla base della c.t.u. espletata in appello di una responsabilità solidale del dottor R. e della Clinica Mediterranea, discendente da una colposa esecuzione della prestazione medica preoperatoria (per omissione del consenso informato e per l’omesso approfondimento della migliore strategia terapeutica), operatoria e postoperatoria, dalla riassuntiva esposizione delle varie voci di danno liquidate a favore del L. .
Segue un richiamo ad alcune sentenze di questa Corte in punto di personalizzazione della liquidazione del danno e di valutazione di tutte le conseguenze dannose. Quindi si enuncia l’intenzione di procedere all’esposizione dei distinti motivi inerenti il danno sofferto dal L. ed in primo luogo, sotto la rubrica I.A), intestata “Sul danno non patrimoniale permanente di natura biologica”, di una serie di motivi che sono ad esso relativi e che si dichiara riguardare la sentenza impugnata, là dove essa ha liquidato Euro 26.186,00 “a titolo di danno biologico permanente, affermando soltanto che tale importo sarebbe all’attualità e che avrebbe preso le mosse dalla percentuale fissata dal CTU(13-14%) e dalle tabelle”. Quindi, con l’intento di elencare riassuntivamente tutto ciò che poi si esporrà con i vari motivi si dice testualmente quanto segue (p. 31): “Sul punto, sussiste, dunque, un’apparente o, in subordine, insufficiente ed illogica motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi del’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., ed i particolare degli artt. 1223, 1224, 2043, 2059, 2056, 1226, 2697, 2727, 2729 c.c. e art. 2, 3, 4, 13, 29, 30, 31, 32, 35, 111, 6 co., Cost., nonché degli artt. 112, 113, 115, 116, 132, 4 co., c.p.c. e 118, co. 1 disp. att. c.p.c., nonché dei principi generali dell’ordinamento e della giurisprudenza in materia di valutazione e liquidazione integrale all’attualità, secondo equità circostanziata, del danno non patrimoniale e permanente di natura biologica”.
p.3.1. Con un primo motivo – indicato come 1.A.1) – si deduce, senza riferimenti al paradigma dell’art. 360 c.p.c., “apparente o, in subordine, insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla valutazione, personalizzazione e quantificazione del danno non patrimoniale permanente di natura biologica”.
L’illustrazione, che procede da pagina 31 alla metà della pagina 39 è conclusa da un “quesito 1.A.1) su motivo ex art. 360 co. 1 n. 5” e, dunque, dovrebbe intendesi che questo motivo è articolato ai sensi di tale numero dell’art. 360 c.p.c..
Il “quesito” ha il seguente tenore: “Sul punto controverso relativo alla valutazione e liquidazione del danno non patrimoniale permanente di natura biologica, la Corte di appello, a fronte della espressa richiesta del signor L.P. di ristoro integrale dei danni patiti e delle precise e decisive deduzione al riguardo, e benché nell’impugnata sentenza (la cui parte emotiva è stata trascritta integralmente nelle pagine 14-25 del presente atto) abbia affermato in astratto che nel pregiudizio biologico confluiscano tutte le voci del danno non patrimoniale, si è limitata a qualificare tale pregiudizio in Euro 26.186 asserendo soltanto che detta somma sarebbe all’attualità e che scaturirebbe dall’applicazione della percentuale fissata dal CTU in 2 grado nel 13-14% e delle ccdd. tabelle attuariali, senza esplicitare l’iter logico seguito, i calcoli posti in essere, la percentuale di postumi prescelta (13 o 14%?), quale precisa tabella (con l’espressa indicazione dei relativi criteri) avrebbe applicato e la personalizzazione effettuata, addivenendo addirittura alla liquidazione di una somma inferiore a quella “tabellata”, nonché senza (contraddittoriamente) esprimersi sulla valutazione in concreto di tutti gli altri pregiudizi non patrimoniali che, in teoria aveva invece considerato conglobati del danno biologico. La motivazione sul punto è perciò apparente (o, in subordine, insufficiente) e, quindi inidonea a sorreggere la decisione sulla comunque riduttiva valutazione e liquidazione del danno biologico permanente standardizzato patito dal Sig. L.P. , ed inoltre è apparente (o, in subordine insufficiente) ed illogica, e dunque inadeguata a fondare la pronuncia in ordine alla (comunque omessa) personalizzazione e, quindi, valutazione e liquidazione integrale del concreto danno biologico pluridimensionale permanente subito dal medesimo”.
p.3.2. Il Collegio rileva che la lettura del sopra riportato quesito evidenzia non già una censura relativa alla ricostruzione della quaestio facti, bensì la prospettazione di due distinte quaestiones iuris: a) la prima afferente all’esistenza di una motivazione apparente e, quindi, inesistente, resa dalla Corte di merito sulla quantificazione del danno alla persona subito dal L. , qualificato, secondo la vecchia terminologia, come “biologico”; b) la seconda afferente, in via evidentemente alternativa, alla inidoneità della motivazione su detta quantificazione ad assolvere all’onere del giudice di merito di liquidare il danno de quo in base al principio della c.d. personalizzazione della liquidazione del danno, sia per l’assenza di riferimenti ad esso, sia per l’omessa considerazione di non meglio specificate “precise e decisive deduzioni al riguardo”, che, evidentemente, avrebbero dovuto, nell’assunto del L. , giuocare ai fini della liquidazione e, quindi, del potere del giudice di merito di applicare la norma che preside alla liquidazione del danno, cioè l’art. 1226 c.c..
Il “quesito”, dunque, in realtà propone due censure, che gli fanno assumere il carattere di due distinti quesiti di diritto, perché si sostanziano in una violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c., evidentemente nel testo applicabile al processo, che è quello anteriore alla modifica operata dalla L. n. 69 del 2009, e in una violazione dell’art. 1226 c.c..
Ora, ancorché nella intestazione del motivo sopra riferita non si evochi la denuncia della violazione di dette norme e si usi una formulazione che, come s’è detto, sottende un motivo ai sensi del n. 5 del’art. 360 c.p.c., va considerato che nella premessa di cui alla pagina 31 è evocato sia l’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., sia l’art. 1226 c.c., onde la lettura del “quesito” con correlazione a tali norme risulta agevolmente possibile.
p.3.2.1. Tanto premesso e procedendo, dunque, allo scrutinio del motivo così apprezzato, si rileva che esso si correla alla seguente motivazione enunciata dalla Corte territoriale: “Il c.t.u. ha all’uopo accertato quanto segue: In merito a riferimenti tabellari, ricordo che per la perdita di un testicolo in età post-puberale con funzionalità normale del testicolo superstite, a seconda dell’età, la tabella delle menomazioni dell’integrità psicofisica allegata al D.M. 3/7/03 considera il range 5/8%. Tenuto conto del peggioramento della preesistente infertilità derivato dalla perdita iatrogena del testicolo, considerati i valori attribuiti, nelle guide-baremes di impiego corrente nella prassi medico-forense, alla sterilità… ovvero alla perdita della normale capacità fecondante, il danno permanente complessivo è prospettabile nella misura del 13/14 per cento. Premesso dunque che nella liquidazione del danno biologico, da effettuarsi con criteri equitativi di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c., è prassi consentita l’applicazione dei criteri predeterminati e standardizzati come le cosiddette tabelle, da considerarsi come parametri uniformi per la generalità delle persone (cfr. Cass. 1.6.04 n. 10482), ne consegue che, per tale voce di danno, va liquidata al L. la somma di Euro 26.186,00 all’attualità”.
p.3.2.2. In relazione a tale motivazione il primo motivo, come sopra qualificato, è fondato quanto alla prima censura, che nella illustrazione viene svolta assumendosi che nella sua motivazione la Corte territoriale non avrebbe “affatto specificato il percorso logico seguito ed i calcoli effettuati, nonché le basi di computo e gli elementi per giungere alla determinazione equitativa” dell’importo liquidato, che, pertanto, sarebbe stato “apoditticamente quantificato e non consente, perciò, alcun effettivo controllo di legittimità”. Ciò, perché non si comprenderebbe “quale percentuale di danno sia stata applicata (il 13 o il 14%), né quali tabelle siano state considerate, di talché non è neppure possibile capire se la somma finale sia stata effettivamente attualizzata, se la stessa corrisponda pedissequamente a quella, standardizzata, che sarebbe prevista dalle ccdd. Tabelle per una percentuale di postumi in relazione all’età del danneggiato, ovvero se su tale importo sia stato fatto un (doveroso) adeguamento al caso concreto e, quindi, se il danno si stato personalizzato, tenendo conto si dei concreti postumi in senso stretto patiti, sia di tutte le altre componenti del c.d. danno biologico pluridimensionale, e ciò soprattutto alla luce del fatto che la Corte non ha poi liquidato alcunché a titolo di danno non patrimoniale c.d. esistenziale, asserendo illogicamente che quest’ultimo, essendo assorbito dal danno biologico (e quindi già valutato), non potrebbe essere autonomamente considerato, altrimenti vi sarebbe una duplicazione di risarcimento (cfr. pag. 18 dell’impugnata sentenza, la cui parte motiva è stata integralmente riportata nella pagg. 14-25 del presente atto)”.
Quanto sostenuto nel motivo, là dove evidenzia che la motivazione sopra riportata sarebbe del tutto apparente, sì da non consentire di percepirne l’effettività, appare fondato.
In effetti, anche a voler ritenere che la Corte territoriale abbia inteso fare proprie le valutazioni del c.t.u. che ha riportato tra virgolette, si deve rilevare che tale passo, per come è riportato, di per sé risulta inidoneo ad evidenziare per relationem un percorso logico della successiva motivazione: ciò perché in esso si fa riferimento sia ai valori di cui al D.M. 3 luglio 2003, sia a quelle di non meglio individuate “baremes di impiego comune nella prassi medico-forense”, peraltro con un riferimento alla “sterilità” seguito [naturalmente per come il passo è riportato] da puntini sospensivi e, quindi, da un “ovvero alla perdita della normale capacità fecondante”, onde il passo della relazione, considerato come tale e, quindi, prescindendo da come esso si collochi nella relazione e anche nel passo compreso fra i puntini sospensivi, e, dunque, in quella sede avesse un senso logico, rimane privo, se collocato nell’economia della motivazione della sentenza, di efficacia persuasiva sul pano logico, se non altro perché non si sa a quali baremes abbia fatto riferimento.
In realtà, manca nel passo motivazionale che segue quello della relazione del c.t.u., qualsiasi assunzione espressa di esso come base per l’affermazione che in esso si fa, manca qualsiasi riferimento che consenta di identificare le non meglio specificate tabelle con le non meglio individuate baremes (tanto più se si considera che il precedente evocato si riferiva, per come si legge nella sua motivazione a non meglio individuate tabelle in uso presso il Tribunale di Palermo), nonché qualsiasi riferimento esplicativo e manca soprattutto alcuna enunciazione giustificativa di come e perché la liquidazione porti all’importo di Euro 26.186,00 all’attualità ed in particolare circa la rispondenza di essa ad una certa percentuale di invalidità e, in particolare, a quella compresa fra il 13 ed il 14% evocata nel passo della relazione del c.t.u..
In tale situazione non è dato comprendere né quali parametri abbia assunto la Corte nella sua motivazione né come e perché sia arrivata alla quantificazione.
Tali lacune rendono la motivazione meramente apparente, perché tale è una motivazione che non permetta di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato, sì che ne riesce integrata una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto al giudice dall’art. 132 n. 4 c.p.c. di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, atteso che le brevi proposizioni che si sono ricordate sono assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di evidenziare una motivazione percepibile come tale, cioè come ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendo.
p.3.2.3. In accoglimento della prima censura prospettata con il primo motivo la sentenza dev’essere conseguentemente cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello partenopea in diversa composizione, che provvedere ad enunciare sulla base di quanto risultante in atti una effettiva motivazione in ordine al danno derivante dalla perdita del testicolo da parte del L. .
p.3.3. La seconda censura resta a questo punto assorbita.
Essa, peraltro, sarebbe stata inammissibile, per due distinte ragioni.
p.3.3.1. La prima pertiene alla mancata indicazione specifica degli atti processuali sui quali si fonda.
Invero, considerato che essa si fonda – come si dichiara all’inizio della pagina 33 – sulla mancanza di motivazione da parte della sentenza impugnata “sullo scostamento tra quanto liquidato e quanto preteso dal L. mediante specifiche allegazioni e controdeduzioni alla CTU espletata” – sulla “impugnazione relativamente al quantum” della c.t.u. di appello all’udienza del 15 maggio 2008, sul contenuto della stessa c.t.u. e sul contenuto della comparsa conclusionale, si rileva che di tali atti processuali manca l’indicazione specifica prescritta dall’art. 366 n. 6 c.p.c., sia pure sotto distinti profili.
In particolare:
a) del contenuto della “impugnazione” che sarebbe avvenuta all’udienza del 15 magio 2008 nulla si riferisce, sicché la Corte dovrebbe cercare nel contenuto del verbale quanto potrebbe avere integrato nelle intenzioni del L. la contestazione;
b) del detto verbale non si fornisce l’indicazione specifica del se e dove sia esaminabile in questo giudizio di legittimità ed in particolare, tenuto conto della prescrizione dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c. al diverso effetto della procedibilità del ricorso sul punto, non si indica se la produzione del verbale è stata fatta in copia con il ricorso oppure – come ammette Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 – se, ferma comunque, la necessità di fornire l’indicazione in tal senso agli effetti dell’adempimento dell’art. 366 n. 6 c.p.c., si è inteso fare riferimento alla presenza dell’originale nel fascicolo d’ufficio;
c) della c.t.u. – in disparte la mancata riproduzione delle parti, eventualmente diverse da quella trascritta nella sentenza e riportata nell’esposizione del fatto con la riproduzione della motivazione della sentenza impugnata, alle quali si era riferita la non meglio specificata contestazione svolta all’indicata udienza – parimenti non si fornisce l’indicazione specifica sul se e dove essa sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità, nei termini alternativi di cui sì è detto alla lettera precedente, indicando cioè se essa è stata prodotta con il ricorso ovvero se si sia inteso fare riferimento alla sua eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio;
d) della comparsa conclusionale d’appello, che viene ampiamente riprodotta nel suo contenuto, ma della quale non si dice se e dove sia esaminabile in questo giudizio di legittimità in quanto prodotta o presente nel fascicolo d’ufficio, sempre secondo l’alternativa, rilevante, però, ai solo effetti della procedibilità di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c..
Nella memoria i ricorrenti, in replica ad un’eccezione di improcedibilità in relazione a tale norma, proposta dalla Allianz, pretendono di replicare ad essa assumendo “di avere richiesto la trasmissione del fascicolo d’ufficio (nel quale è contenuta la relazione del consulente d’ufficio ed i verbali di udienza), depositando la copia della richiesta restituita dalla Corte di Appello e di avere indicato, nel ricorso, gli atti ed i documenti del fascicolo di parte che hanno tempestivamente depositato con il ricorso”. E, quindi, assumono di avere rispettato la giurisprudenza di cui a Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 ed evocano anche Cass. n. 10338 del 2013. Senonché, nessuna individuazione della indicazione nel ricorso cui si allude viene fornita, onde l’assunto è privo di fondamento, in disparte che contenuto dell’onere di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. è anche la diretta trascrizione del contenuto della parte dell’atto processuale su cui il motivo si fonda ovvero l’enunciazione di essa in modo indiretto, con precisazione della parte dell’atto in cui l’enunciazione indiretta troverebbe riscontro. Contenuto che, come sì è visto, nel ricorso sussiste solo per la conclusionale e che fa parte dell’onere di indicazione specifica (da ultimo, si veda Cass. n. 7455 del 2013).
p.3.3.2. La censura in discorso è poi inammissibile, in quanto – posto che nulla si precisa sulla contestazione svolta asseritamente all’udienza del 15 maggio 2008 e considerato che essa avrebbe dovuto essere necessariamente specifica – si fonda sul contenuto delle critiche enunciate nella conclusionale, ma, in tal modo, viene in evidenza il consolidato principio di diritto secondo cui “Le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice – perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale”. (ex multis, Cass. n. 9517 del 2002; n. 19128 del 2006; n. 7535 del 2013; e da ultimo Cass. (ord.) n. 20636 de 2013, nel senso che “Le contestazioni difensive della consulenza tecnica d’ufficio espletata dalla Corte d’appello in giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione e di occupazione devono essere sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione, risultando comunque tardiva la loro deduzione svolta soltanto in sede di comparsa conclusionale e non innanzi al collegio, quando è ancora possibile disporre una riconvocazione del consulente tecnico o un supplemento delle indagini peritali”. Principio che si spiega in ragione della circostanza che, integrando le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio eccezioni rispetto al suo contenuto, esse sono soggette al termine di preclusione di cui al secondo comma dell’art. 157 c.p.c., cioè debbono dedursi nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso. Sicché, i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare le critiche che si leggono nella conclusionale alla prima udienza successiva al deposito della relazione, ch’essi stessi hanno indicato, senza, però fornire alcuna specificazione del tenore della loro contestazione, il che non consente alla Corte di valutare se le critiche svolte nella conclusionale fossero, sebbene anche sotto un profilo più ampio ed argomentativo, quelle già svolte in quel’udienza.
§4. Il secondo motivo – indicato come 1.A.2 e svolto ai sensi del n. 3 del’art. 360 c.p.c. – a questo punto resta assorbito, perché svolgendo una critica subordinata rispetto alle due censure articolate nel primo, argomenta che, supponendo che la liquidazione fatta dalla Corte territoriale si sia ispirata alle Tabelle Milanesi, imputa alla sentenza stessa di non avere attualizzato l’importo al momento della pronuncia. Una volta cassata la sentenza sul punto in cui ha proceduto alla liquidazione e dovendo la Corte di rinvio nuovamente provvedere, la caducazione della liquidazione rende superfluo esaminare la questione proposta con l’indicata supposizione.
§5. Anche il terzo motivo – indicato come LA.3) e svolto ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. – resta assorbito per effetto dell’accoglimento della prima censura del primo motivo, giacché, prospettando che la Corte territoriale nel liquidare la somma di cui sì è detto a titolo di danno “biologico”, avrebbe omesso di considerare tutte le conseguenze dannose derivanti dalla vicenda sulla persona del L. , al di là della mera menomazione fisica conseguente: anche in tal caso, dovendo la Corte territoriale provvedere nuovamente a motivare ai fini della quantificazione del danno alla persona sofferto dal L. , dovrà necessariamente riesaminare quanto si prospetta con il motivo. In proposito, va avvertito che la Corte territoriale nel procedere alla liquidazione bene dovrà astenersi dall’usare il concetto di danno biologico che ha usato nella sua apparente motivazione e dovrà in concreto ispirarsi ai concetti sulla individuazione del danno non patrimoniale espressi da Cass. sez. un. n. 26972 del 2008 e dalle altre sentenze coeve, onde le considerazioni espresse con il motivo bene potranno esserle prospettate in sede di rinvio.
p.6. Con un quarto motivo – indicato come 1.B.1.) – si deduce “apparente o, in subordine, insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla valutazione, personalizzazione e quantificazione del danno non patrimoniale temporaneo di natura biologica”.
Il motivo si riferisce alla motivazione con cui la sentenza impugnata ha liquidato il danno da invalidità temporanea totale e quello da invalidità temporanea parziale ritenendo congrua la determinazione effettuatane dal consulente di primo grado.
p.6.1. Il motivo è inammissibile innanzitutto per inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c., atteso che si fonda sul contenuto della detta consulenza, su quello della consulenza tecnica di parte (evocata nella conclusionale) e su quello della conclusionale di appello, nella quale si dice – riportandone il contenuto in parte qua – che erano state svolte controdeduzioni rispetto a detta consulenza, ma omette sia di indicare se e dove la consulenza e la conclusionale siano state prodotte, e come, in questo giudizio di legittimità, sicché risulta omessa l’indicazione specifica di detti atti processuali.
Inoltre, essendo stata la consulenza tecnica espletata in primo grado, sarebbe stato onere dei ricorrenti individuare in primo luogo il momento processuale nel quale in primo grado avevano formulato le contestazioni dopo il deposito della consulenza (secondo i principi della giurisprudenza richiamata in precedenza), evidenziare che esse erano state mantenute in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado e, quindi, erano state riproposte ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (essendo rimaste assorbite dal rigetto della domanda nell’alt) in appello. Nulla di tutto ciò si coglie nell’illustrazione del motivo, onde non è dato sapere se la Corte territoriale abbia – come si sostiene in essa – ignorato contestazioni che erano state tempestivamente prospettate in primo grado e, quindi reiterate in appello, non potendo esse certamente essere prospettate solo con la conclusionale e potendo essere con essa argomentate solo se legittimamente entrate nel quid disputandum in appello.
Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.
p.7. Con un quinto motivo – indicato come 1.B.2. e dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. – si prospetta che le somme liquidate per le due invalidità temporanee risulterebbero inferiori di Euro 70 a quanto sarebbe stato dovuto in forza delle Tabelle Milanesi del 1 gennaio 2008 aggiornate alla data della pronuncia.
p.7.1. Anche questo motivo presenta la ragione di inammissibilità ex art. 366 n. 6 c.p.c. indicata a proposito del motivo precedente, atteso che si fonda sulla liquidazione operata dal c.t.u. in primo grado nella sua consulenza, ma di essa non fornisce l’indicazione specifica, sì che non è possibile confrontare il criterio prescelto dal c.t.u. e fatto proprio dalla sentenza impugnata con quello delle dette Tabelle, circostanza essenziale per comprendere se esse fossero state applicate da quel c.t.u. e, dunque, si imponesse il coefficiente rivalutativo ipotizzato nel ricorso.
Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.
p.8. Con un sesto motivo – indicato come 1.B.3) – si deduce, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., violazione “degli artt. 1223, 1224, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c., nonché degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., e quindi dei principi generali dell’ordinamento e della giurisprudenza in materia di personalizzazione del danno non patrimoniale temporaneo di natura biologica “pluridimensionale”, ossia comprensivo di tutte le voci di danno non patrimoniale e incidenti, seppur temporaneamente, sulla qualità della vita in ogni ambito”.
Il motivo si fonda sul contenuto della c.t.u. di secondo grado, sull’impugnazione delle sue conclusioni all’udienza del 15 maggio 2009 e sulla conclusionale d’appello, ma nuovamente non fornisce l’indicazione specifica riguardo a tali atti processuali nei termini richiesti dalla giurisprudenza della Corte, di cui a Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, in quanto non indica se e dove la c.t.u. e la conclusionale siano esaminabili in questa sede e nemmeno riproduce il contenuto della contestazione fatta alla detta udienza.
Inoltre, si ripropone il problema della inammissibilità delle contestazioni svolte nella conclusionale in mancanza di dimostrazione della specificità contestazione della c.t.u. nella detta udienza: ciò negli stessi termini di cui al paragrafo 3.3.2.
p.9. Con un settimo motivo si deduce “apparente o, in subordine, insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla valutazione, personalizzazione e quantificazione del danno non patrimoniale temporaneo permanente di natura morale”.
p.9.1. Il motivo potrebbe essere dichiarato assorbito, perché, avendo la Corte considerato quello che tradizionalmente si denomina “danno morale” “parte integrante del danno biologico” ed avendolo la Corte liquidato a parte perché “sussistente in base a dati di comune esperienza attesa la articolare natura delle conseguenze subite dall’attuale appellante”, si dovrebbe pensare che esso costituisca una parte della sentenza dipendente dalla liquidazione del “danno biologico”, sicché, una volta caduta detta parte, essa cadrebbe in conseguenza ai sensi dell’art. 336, primo comma, c.p.c., tanto più in ragione della sostanziale apoditticità della motivazione.
Il giudice di rinvio dovrebbe, dunque, statuire nuovamente sul punto dopo aver provveduto a seguito della cassazione disposta in relazione al primo motivo.
p.9.1. Peraltro, il carattere del tutto sfuggente ed inconsistente della motivazione e, dunque, l’esistenza di un evidente dubbio sul modo di procedere della Corte di merito e alla sua individuazione nei termini appena indicati, consiglia di escluderne l’assorbimento.
Tanto premesso, il motivo appare manifestamente fondato nuovamente per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., evocato a premessa alla pagina 80 e, dunque, connotante il motivo al di là della formale evocazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., anche sulla scorta del tenore del quesito, che non pone una c.d. chiara indicazione, ma un problema giuridico.
La sentenza si intende cassata anche sul punto ed il giudice di rinvio dovrà procedere ad una nuova decisione sulla voce di danno de qua, intesa come ricompresa nel concetto unitario di danno non patrimoniale di cui alle citate sentenze delle Sezioni Unite, fornendo un’adeguata motivazione circa la quantificazione che vorrà farne.
p.10. L’ottavo motivo resta assorbito per l’accoglimento del motivo precedente.
p.11. Il nono motivo – indicato come 1.D.1) – è inammissibile per inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c., in quanto il “quesito” alla pagina 99 non presenta le caratteristiche della c.d. “chiara indicazione”, giacché non evoca un fatto controverso, ma un concetto giuridico, quello della compromissione temporanea e permanente della capacità lavorativa.
Inoltre, la sua illustrazione difetta di specificità (Cass. n. 4741 del 2005) ed è articolata in modo assolutamente apodittico e senza indicare che cosa nel giudizio di merito potesse configurarsi come prova. Inoltre, si evoca genericamente una presunzione senza che se ne indichino i caratteri alla stregua dell’art. 2729 c.c..
p.12. Il decimo motivo – indicato come 1.D.2) – merita, in disparte l’inidoneità del quesito del tutto astratto, le stesse valutazioni di inammissibilità del precedente.
p.13. L’undicesimo motivo – indicato alla pagina 106 come II.A) e dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. – denuncia nella sua intestazione la violazione di numerose norme, così preannunciando una serie di distinte censure, ma la sua illustrazione si conclude con un unico quesito che si articola dalla pagina 128 alla pagina 135 e che per la sua stessa lunghezza, nella sua enunciazione non si articola in quesiti riferibili alla denunciata violazione delle varie norme indicate.
Dunque viola l’art. 366-bis c.p.c. Inoltre si fonda su una serie di documenti, dei quali non si fornisce l’indicazione specifica e dunque viola anche l’art. 366 n. 6 c.p.c..
p.14. Il dodicesimo motivo – indicato, a pag. 135, sub II.B) e dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., perché si basa sulla documentazione evocata dal precedente motivo parimenti non indicata specificamente, si conclude con un “quesito” e non con la chiara indicazione, dato che nemmeno indica il fatto controverso.
p.15. Il tredicesimo motivo – indicato a p. 148 come II.C) e concernente vizio ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. – si conclude con un quesito che va dalle ultime tre righe della pagina 161 fino a metà della pagina 167 e che, all’evidenza non può essere un quesito, m semmai un’argomentazione espositiva, che nemmeno viene raccordata alle congerie di norme indicate nella intestazione. Si aggiunga che la prova da parte della A. della capacità di procreare era fatto costituivo del diritto risarcitorio fatto valere.
p.16. Il quattordicesimo motivo – indicato alla pagina 169 come III.A) e dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. – si conclude con un unico preteso quesito che si articola dalla pagina 186 alla metà della pagina 189 e che merita considerazioni non dissimili da quelle enunciate a proposito del motivo precedente, cioè che non si tratta di quesito, data la sua lunghezza ed il suo carattere illustrativo e non propositivo dei un interrogativo in iure. Inoltre, nuovamente non vi si coglie un distinguo con riferimento alla congerie di norme di cui si denuncia la violazione. È dunque inammissibile.
p.17. Il quindicesimo motivo – indicato alla pagina 189 come III.B) e dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. – si conclude con un unico preteso quesito che si articola dalla pagina 198 alla 201 ed anch’esso è inammissibile per considerazioni non dissimili da quelle enunciate a proposito del motivo precedente, cioè che non si tratta di quesito, data la sua lunghezza ed il suo carattere illustrativo e non propositivo di un interrogativo in iure. Inoltre, nuovamente non vi si coglie un distinguo con riferimento alla congerie di norme di cui si denuncia la violazione. È dunque inammissibile.
p.18. Il sedicesimo motivo – indicato come III.C) alla pagina 201 ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – non si conclude con una chiara indicazione.
p.19. Il diciassettesimo motivo – indicato alla pagina 214 come IV.A) e dedotto ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. – risulta assorbito riguardo al rapporto processuale fra il ricorrente L. , che solo riguarda, e la Clinica Mediterranea ed il R. , perché la cassazione della sentenza travolge la statuizione di compensazione impugnata riguardo a detto rapporto.
p.20. Anche il diciottesimo motivo – indicato alla pagina 220 come IV.B) – resta assorbito per analoghe ragioni.
p.21. Il diciannovesimo motivo – indicato alla p. 226 come V.A.1) – è privo di fondamento, perché dall’esposizione del motivo di appello non emerge in alcun modo che si fosse impugnata la liquidazione delle spese da parte del giudice di primo grado, onde non v’è stata alcuna omissione di pronuncia.
p.22. Il ventesimo motivo – indicato alla p. 229 come V.A.2) e dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – ripropone la stessa censura di cui al motivo precedente e, a parte l’intrinseca contraddittorietà rispetto alla prospettazione ivi convenuta, anche qui non evidenzia affatto che vi fosse motivo di appello sull’eccessività delle spese.
p.23. Il ventunesimo motivo – indicato alla pag. 232 come V.B.1) e dedotto ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. – è infondato, perché assume erronea la liquidazione delle spese a favore di Regione e Asl sulla base di un valore della controversia chiaramente erroneo.
p.24. Il ventiduesimo motivo – indicato alla pag. 234 V.B.2) e in cui si deduce la stessa problematica ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – merita analoghe considerazioni di infondatezza.
p.25. Venendo al ricorso incidentale della Clinica Mediterranea esso prospetta tre motivi.
I primi due sono rivolti contro il ricorrente L. , in quanto il primo è volto a contestare la responsabilità verso il medesimo pertengono nell’an ed il secondo la mancata differenziazione delle responsabilità verso di lui con il R. .
Essi sono inammissibili per assoluta genericità dei quesiti ed anche per la loro assoluta genericità.
Il terzo è rivolto contro la RAS ed avendo natura di impugnazione incidentale tardiva contro parte diversa da quella ricorrente principale è ammissibile ai sensi dell’art. 334 c.p.c. (Cass. n. 24372 del 2006), ma è, tuttavia, inammissibile per la genericità del quesito e ai sensi dell’art. 336 n. 6, facendo riferimento alla comparsa di costituzione RAS nel giudizio di primo grado e nel giudizio di appello senza fornire l’indicazione specifica.
Il ricorso incidentale è dichiarato, dunque, inammissibile.
p.26. Conclusivamente le statuizioni sono quelle indicate nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso principale. Accoglie il settimo motivo di tale ricorso. Dichiara assorbiti il secondo, il terzo, l’ottavo, il diciassettesimo e il diciottesimo motivo. Rigetta il diciannovesimo, il ventesimo, il ventunesimo motivo ed il ventiduesimo. Dichiara inammissibili gli altri motivi del ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione anche per le spese nel rapporto processuale fra il ricorrente L. ed i resistenti Clinica Mediterranea, R. e Allianz s.p.a. Compensa le spese riguardo a tutti gli altri rapporti processuali.

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