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Sentenza – Avvocato, cliente, non rintracciabile, pagamento, erario

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Sentenza – Avvocato, cliente, non rintracciabile, pagamento, erario
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Civile – 2
Ordinanza 7 febbraio – 7 aprile 2014, n. 8111
Presidente Piccialli – Relatore Proto

 Rilevato in fatto

L’avvocato D.L. era nominato difensore di ufficio di tale F.A.S.K. , cittadino egiziano, tratto a giudizio davanti al Giudice di pace di Padova in procedimento penale.

Esaurita l’attività difensiva, l’avvocato chiedeva la liquidazione del compenso ai sensi dell’art. 117 D.P.R. 115/2002 affermando di non avere potuto esperire la procedura di recupero del credito per l’irreperibilità di fatto del suo assistito.

Il Giudice di Pace con provvedimento del 4/10/2010 rigettava la richiesta ritenendo che la mera irreperibilità di fatto non consentisse la liquidazione del compenso in mancanza della dimostrazione dell’inutile esperimento della procedura per il recupero del credito; il Giudice di Pace rilevava inoltre che le informative sulla domiciliazione erano state richieste solo per la domiciliazione nel territorio italiano e non per la domiciliazione nella Repubblica Araba d’Egitto.

Avverso il provvedimento l’Avvocato D. ha proposto opposizione al Coordinatore dell’Ufficio del Giudice di Pace di Padova ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) nel testo vigente prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011.

Il Coordinatore dell’Ufficio con ordinanza depositata il 19/10/2010 e comunicata in pari data, rigettava l’opposizione ritenendo che l’irreperibilità di fatto dell’extracomunitario con dati anagrafici conosciuti, ancorché dichiaratosi in Italia senza fissa dimora, non integri quell’irreperibilità formale che la legge richiede per ottenere la liquidazione a carico dell’erario.

L’avvocato D. , rappresentato e difeso dall’avv. Zenatto, ha proposto ricorso affidato a due motivi.

Il contraddittorio è stato integrato nei confronti del Ministero della Giustizia, parte necessaria del procedimento in quanto per le liquidazioni inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell’erario, anche quest’ultimo, identificato nel Ministero della Giustizia, è parte necessaria, come titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento, che grava sul bilancio del predetto Ministero, ex art. 185 T.U. 115/02 (v. Cass. S.U. 29/5/2012 n. 8516). Si è costituita, per il Ministero, l’Avvocatura Generale dello Stato, mentre sono rimasti intimati F.A.S.K. e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 170 comma 2 D.P.R. 115/2002 con riferimento all’art. 29 L. 794/1942 in quanto il Giudice di Pace ha deciso sull’opposizione senza fissare una udienza di comparizione delle parti davanti a sé, come invece prescritto dall’art. 29 L. 794/1942, richiamato dall’art. 170 D.P.R. 115/2002 e così procedendo, ha deciso in assenza di contraddittorio.
1.1 Il motivo è fondato: l’atto di opposizione è stato depositato prima dell’entrata in vigore del Dlgs. N. 150 del 2011 (che rende applicabile, salvo le diverse disposizioni dell’art. 15, il rito sommario di cognizione e abroga i commi secondo e terzo dell’art. 170 del DPRll5/2002) e la disciplina processuale vigente ratione temporis all’art. 29 della L. n. 794/1942, prevedeva (come del resto anche quella attuale), la fissazione di una udienza di comparizione delle parti e la notificazione del decreto a cura della parte istante.

Il Giudice di Pace ha pronunciato senza disporre la comparizione delle parti e ha pertanto violato la norma processuale richiamata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117 D.P.R. 115/2002 con riferimento all’interpretazione della norma da parte del Giudice di Pace che ha ritenuto condizione necessaria per la liquidazione del compenso ai sensi della richiamata norma, una irreperibilità formale ex art. 157 e 159 c.p.p., e insufficiente l’irreperibilità di fatto dello straniero extracomunitario senza fissa dimora.

2.1 Il motivo è fondato nei limiti di cui infra.

Il Giudice di Pace ha richiamato l’art. 159 c.p.p. e ha ritenuto che per la liquidazione dell’onorario al difensore di ufficio di imputato irreperibile, sia necessario il formale provvedimento di irreperibilità adottato ai sensi dell’art. 159 c.p.p..

Questa interpretazione della norma sopra richiamata non può essere condivisa alla luce della recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20/7/2010 n. 17021)che qui si condivide, secondo la quale l’art. 117 D.P.R. 115/2002 non specifica la significazione del termine “irreperibile” e non richiama espressamente gli artt. 159 e 160 c.p.c., sicché, non chiarisce se “irreperibile” è solo il soggetto che tale sia stato dichiarato nel corso del procedimento penale con apposito decreto del giudice, ovvero anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità.
Soccorre, quindi, la ratio sottesa al combinato disposto degli art. 116 e 117 D.P.R. n. 115/2002 cit. per la quale il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell’onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell’erario solo per l’assunzione officiosa dell’incarico professionale, se tali procedure non sono possibili perché il debitore non è rintracciabile, è, appunto, irreperibile, non può esigersi che il difensore esperisca alcuna attività in tal senso, questa essendo del tutto vanificata da tale condizione del debitore medesimo, e le spese, in tal caso, vanno poste a carico dell’erario, che “ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile”.

Ne discende che la condizione di “irreperibilità” afferisce ad una situazione sostanziale, di fatto, che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare procedura alcuna per il recupero del credito professionale.

Questa Corte, nel richiamato precedente ha inoltre osservato che a tale conclusione induce anche la considerazione che la irreperibilità deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa, e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso, e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 c.p.p.; la diversa tesi comporterebbe la conclusione, gravemente indiziata di illegittimità costituzionale, che se l’indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto. Non si tratta, quindi, di apprezzare la diversità tra gli istituti di cui all’art. 159 c.p.c. e all’art. 161 c.p.c., comma 4, ma, invece di accertare se il debitore fosse sostanzialmente irrintracciabile, anche in mancanza di un formale decreto ex art. 160 c.p.p., sicché non era esigibile da parte del difensore istante alcuna previa procedura intesa al recupero del credito professionale, tenuto conto anche della sostanziale equiparazione quoad effectum tra la irreperibilità formalmente dichiarata ex art. 159 c.p.p. e quella presunta ex lege ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4 (in tal senso v. anche Cass. pen. n. 32284 del 2003).

Questi principi non entrano in conflitto con quelli espressi da Cass. 9/6/2010 n. 13875 per la quale la disciplina prevista dall’art. 117, per l’ipotesi dell’imputato o condannato irreperibile, deve ritenersi eccezione ad una regola generale, come tale di stretta esegesi e non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica. Con l’interpretazione qui sostenuta non si estende l’art. 117 ad ipotesi estranee al concetto di irreperibilità; nel caso deciso con la sentenza testé richiamata l’avvocato, che aveva assistito un imputato di bancarotta fraudolenta, aveva trascurato di insinuarsi tempestivamente nello stato passivo del fallimento, e non aveva atteso l’esaurimento della procedura fallimentare per poi iniziare la procedura esecutiva individuale così che si giustificava l’affermazione secondo la quale per regola generale il difensore d’ufficio non può ottenere la liquidazione dell’onorario a carico dell’erario senza aver dimostrato di aver esperito inutili tentativi per il recupero del proprio credito professionale. La sentenza n. 13875 del 2010 contiene l’affermazione secondo la quale l’ipotesi prevista dall’art. 117 deve ritenersi eccezione a una regola generale e come tale di stretta esegesi e non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica, però non afferma che sia necessaria una irreperibilità dichiarata formalmente; anche nella giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte, in particolare, nella sentenza della quarta Sezione n. 4153 del 2007, si è al riguardo affermato il principio di diritto per cui “la condizione di irreperibilità del patrocinato alla quale il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117 subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell’Erario, afferisce ad una situazione sostanziale e di fatto – indipendente dalla pronunzia processuale di irreperibilità – che, rendendo il debitore non rintracciabile al momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale”; questo principio è stato poi richiamato anche da Cass. civ. 1721/2010 già citata e in questa sede deve essere riaffermato ai sensi dell’art. 384 c.p.c. affinché a questo principio si uniformi il giudice del rinvio.

La condizione di irreperibilità in senso sostanziale e di fatto non coincide, peraltro, con la circostanza che lo straniero sia senza fissa dimora in Italia, così che resta a carico del difensore di ufficio che chieda la liquidazione del suo compenso per la difesa dell’imputato straniero i cui dati anagrafici siano conosciuti con sicurezza (pertanto senza necessità di particolari ricerche o attività che non siano esigibili da un normale creditore), l’onere di provare che questo sia irreperibile anche nello Stato di provenienza e, in caso contrario, che sia impedito il recupero del credito all’estero.

Resta riservato al giudice del rinvio l’accertamento di merito sull’assolvimento di tale onere probatorio.

3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato e con rinvio al Giudice di Pace di Padova, in persona di diverso giudice il quale procederà a nuovo esame della opposizione alla luce degli enunciati principi di diritto.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso per quanto in motivazione, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Giudice di Pace di Padova in persona di diverso giudice.

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