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Sentenza – Folgorato, ubriaco, proprietario, risarcimento, danno

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Sentenza – Folgorato, ubriaco, drogato, risarcimento, danno
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Civile – 3
Ordinanza 7 novembre 2013 – 22 gennaio 2014, n. 1305
Presidente Segreto – Relatore Giacalone

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa è stata depositata la seguente relazione:
“1. – La sentenza impugnata (Corte d’App. L’Aquila, 13/06/2011) ha, per quanto qui rileva, accolto l’appello proposto da G.D.C. – genitore convivente di P.M.D.C. deceduto per elettrofolgorazione – avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Chieti, che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni subiti per la perdita del figlio, nei confronti di M.D.F. Fulvio, proprietario della lancia idropulitrice usata dalla vittima e causa della sua morte. La Corte Territoriale ha ritenuto dover applicare la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. e, sulla base degli elementi costitutivi emersi nel corso del processo, concludere per una responsabilità oggettiva del D.F., condannandolo al risarcimento dei danni.
2. – Ricorre per Cassazione il D.F. con tre motivi di ricorso; resiste con controricorso il D.C.. Le censure lamentate dal ricorrente sono
2.1 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato che il dissenso del D.F. all’uso della macchina da parte del
D.C. non aveva avuto alcun effetto sulla determinazione dell’evento letale, in quanto dalla deposizione del teste A.D.F. sarebbe emerse che la vittima apprese la cosa contro la volontà del custode;
2.2 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto esternare le ragioni per le quali alla sentenza di patteggiamento (con cui si condannava il D.F. per omicidio colposo, in sede penale) doveva riconoscersi valenza indiziaria della responsabilità dell’odierno ricorrente;
2.3 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2697 c.c. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di merito valutato la condotta della vittima, posto in uno stato di intossicazione, costituendo questo un suo atto volontario idoneo ad assumere efficacia concausale del decesso.
3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio. Tutti i motivi dedotti dall’odierno ricorrente – che possono essere trattati congiuntamente data l’intima connessione, essendo relativi alla ricostruzione dell’evento lesivo – implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, senza tenere presente il consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui, in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all’intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004; n. 376/2005; n. 4279/2008).
La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione ritenendo, da un lato, mancante il caso fortuito, consistente, nel caso in esame, nella condotta della vittima che si limitò a prendere in mano la lancia idropulitrice e, dall’altro, errata l’affermazione del giudice di primo grado, che aveva attribuito rilievo, in termini di interruzione del nesso di causalità psicologica, al dissenso del D.F.. La Corte d’Appello, inoltre, circa l’esclusione del concorso del fatto colposo della vittima, che al momento del decesso era in stato di intossicazione etilica e per abuso di droghe, motiva evidenziando come, ai fini dell’art. 205 1 c.c., non rilevano, gli stati soggettivi e i requisiti psicologici imputabili sia al danneggiante che al danneggiato. Inoltre, legittimamente si è tratto ulteriore riscontro ed indizio della responsabilità dell’appellato per l’illecito dedotto, dalla sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. di condanna del D.F. per omicidio colposo, in conformità all’orientamento di questa S.C. secondo cui il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento ove il procedimento penale sia stato definito ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. n. 22020/2007; n. 132/2008).
4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
Non sono state presentate memorie né conclusioni scritte. Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00=. di cui Euro 40.00,00= per compensi, oltre accessori di legge.

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