In evidenza

Sentenza – Lavoro subordinato, omessa registrazione, sanzione

Sentenza – Lavoro subordinato, omessa registrazione, sanzione
Suprema Corte di Cassazione
Sentenza 25 febbraio 2014, n. 4462

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 17.3.08 la Commissione tributaria regionale di Bologna rigettava l’appello, proposto dalla S.n.c. Shot di Della B. M. & C. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Rimini, contro la pronuncia con cui la Commissione tributaria provinciale di Rimini aveva solo parzialmente accolto il ricorso della predetta società contro l’avviso di irrogazione di sanzioni relative all’omessa registrazione sui libri paga e matricola della dipendente M. A. R., disponendo il ricalcolo delle sanzioni limitatamente al periodo compreso fra il 16.6.02 e il 26.8.02.
Per la cassazione della decisione d’appello ricorre la S.n.c. Shot di Della B. & C. affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1- Con il primo motivo si denuncia difetto di giurisdizione in quanto la Corte cost., con sentenza n. 130/08, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 d.lgs. n. 546/1992 nella parte in cui include nella giurisdizione della Commissioni tributarie anche le controversie, come quella di specie, aventi ad oggetto la cognizione su sanzioni amministrative di natura non tributaria comunque irrogate da uffici finanziari, poiché tale giurisdizione è consentita soltanto se ha natura tributaria il rapporto sottostante.
Il motivo è infondato.
È pur vero (cfr., ex aliis, Cass. S.U. n. 19495 del 16.7.08) che il principio della perpetuano iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione; tuttavia ciò vale purché sulla giurisdizione non si sia formato il giudicato (o non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti).
Nel caso in esame, avendo il giudice di primo grado pronunciato nel merito, implicitamente affermando la propria giurisdizione, senza che quest’ultima sia stata contestata in appello, trova applicazione l’altro principio, sempre affermato da questa Corte Suprema, secondo il quale la relativa questione è ormai coperta da giudicato implicito (cfr. Cass. n. 19475/12; Cass. S.U. n. 24883/08; Cass. n. 19792/2001; Cass. S.U. n.. 27531/2008).
2- Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2700, 2727 e 2729 c.c., anche in riferimento all’art. 24 Cost., non avendo i giudici di merito confermato anche sul punto della data di assunzione della lavoratrice quanto emerso dal verbale di accertamento ispettivo dell’INPS: in tal modo hanno trascurato che i verbali ispettivi o formano piena prova relativamente all’intero accertamento o non lo sono per nulla, a maggior ragione quando il datore di lavoro vi abbia fatto acquiescenza senza riserve, come nel caso in esame.
Il motivo è infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai limzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata certamente non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (cfr., ex aliis, Cass. S.U. n. 12545/1992 e Cass. n. 17355/2009).
In particolare, per quanto concerne la verità di dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade (Cass. n. 1786/2000, n. 1786, n. 6110/1998; n. 3973/1998; n. 6847/1987).
Dunque, sussistendo soltanto nei limiti anzidetti l’idoneità probatoria dei verbali ispettivi, non può pretendersi – contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente – che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali debbano essere accolte o disattese nella loro interezza, senza alcuna possibilità di quel differenziato vaglio critico da parte del giudice che, invece, è stato compiuto in prime cure (circa la decorrenza dell’assunzione) e confermato dall’impugnata sentenza.
Per il resto, le censure di parte ricorrente finiscono con il trasmodare in critiche all’apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, il che non è consentito in sede di legittimità.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Torna all’articolo

Invia un articolo