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Sentenza – Licenziamento, prova, giusta causa, stupefacenti

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Sentenza – Licenziamento, prova, giusta causa, stupefacenti
Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Sentenza 6 febbraio – 26 maggio 2014, n. 11715
Presidente Stile – Relatore Tria

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di AMA – Azienda Municipale Ambiente s.p.a. (d’ora in poi: AMA) avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 7 febbraio 2008, che, in accoglimento della domanda di G.G. , ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente il 7 febbraio 2007 e, per l’effetto, ha condannato la suddetta società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondergli l’importo delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi e agli accessori di legge.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il Tribunale ha rilevato che il licenziamento in oggetto è stato motivato dal consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore, accertato con sentenza penale di condanna della Corte d’appello di Roma del 28 giugno 2006 per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti, nonché dalla mancata disponibilità manifestata dall’interessato ad effettuare un programma di riabilitazione, cui era stato avviato dalla datrice di lavoro ai sensi dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE e che tali circostanze hanno indotto l’AMA a ritenere il dipendente sostanzialmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni di autista di mezzi pesanti e a licenziarlo, data l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti;
b) la prospettazione della società appellante muove dal presupposto della sussistenza dello stato di tossicodipendenza del lavoratore in epoca prossima all’intimazione del licenziamento;
c) tale presupposto, però, è rimasto del tutto indimostrato nel giudizio, mentre era onere della società provarne la sussistenza, perché esso costituiva il giustificato motivo oggettivo del recesso;
d) infatti, il G. , dopo essere stato tratto in arresto per possesso di sostanze stupefacenti ed essere stato cautelativamente sospeso dal servizio, chiese nel luglio 2006 di essere riammesso in servizio perché la pena detentiva di tre anni di reclusione inflittagli era stata in parte già espiata agli arresti domiciliari e per il resto era stata sostituita dall’obbligo di firma;
e) in risposta a tale richiesta l’AMA, nel settembre 2006, contattò il lavoratore invitandolo ad un colloquio con un assistente sociale della cooperativa sociale MAGLIANA 80;
f) nel corso dell’incontro il G. dichiarò di non avere bisogno della struttura di sostegno avendo ormai superato lo stato di tossicodipendente;
g) quattro mesi dopo il suddetto incontro venne intimato il licenziamento, per le anzidette ragioni;
h) è incontestato che l’unica prova dello stato di tossicodipendenza è costituita dalle dichiarazioni autoaccusatorie rese dal lavoratore in sede penale, supportate da quelle della sua domestica, mentre è certo che non è stato eseguito alcun accertamento sanitario per verificare lo stato di tossicodipendenza (che è condizione di operatività dell’art. 44 del CCNL cit.) né al momento dell’arresto, né all’epoca dell’invito a sottoporsi al programma di recupero, né in prossimità del licenziamento;
i) a tale riguardo, anche se all’epoca non era prevista per legge la possibilità di sottoporre il dipendente a specifici accertamenti di tipo tossicologico, l’AMA avrebbe comunque potuto avvalersi degli accertamenti previsti dagli artt. 16 e 17 d.lgs. n. 626 del 1994, effettuando esami clinici, biologici e indagini diagnostiche “mirati al rischio” della tossicodipendenza;
l) in questa situazione non si vede perché si dovrebbe attribuire valenza probatoria alle dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’interessato in sede penale (costituenti tesi difensiva, a fronte dell’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di spaccio) – richiamate nel provvedimento di licenziamento – escludendo qualsiasi rilevanza alle dichiarazioni rese dal lavoratore in merito all’avvenuto superamento di ogni problematica relativa all’uso di stupefacenti;
m) l’AMA, cui incombeva l’onere di provare i presupposti di fatto giustificativi del licenziamento, ha sostanzialmente addossato al lavoratore le conseguenze del difetto di prova derivante dal mancato accertamento sanitario, sostenendo che l’interessato non ha dimostrato il superamento dello stato di tossicodipendenza;
n) invece, è stata la società a non fornire la prova di entrambe le circostanze giustificative del licenziamento, cioè: l’attualità dello stato di tossicodipendenza al momento del licenziamento e il rifiuto del lavoratore di sottoporsi al programma di recupero cui era stato avviato su iniziativa dell’AMA, rifiuto che avrebbe potuto considerarsi illegittimo solo a condizione dell’avvenuto accertamento in sede sanitaria dello stato di tossicodipendenza;
o) neppure può condividersi la tesi dell’AMA secondo cui, pur se i primi due commi dell’art. 125 del d.P.R. n. 308 del 1990 non erano all’epoca dei fatti ancora applicabili – in assenza del decreto ministeriale attuativo – comunque si poteva fare applicazione del successivo comma 3, in base al quale il datore di lavoro è tenuto a far cessare l’espletamento di mansioni che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi, ove sia accertato, nel corso del rapporto di lavoro, lo stato di tossicodipendenza del lavoratore che le esercita;
p) infatti, la disposizione del comma 3 presuppone l’operatività di quelle dei due commi precedenti, cioè: la individuazione delle categorie dei destinatari e l’effettuazione dell’accertamento da parte delle competenti strutture sanitarie;
q) in ogni caso, il comma 3 non prevede il licenziamento, ma solo la rimozione, sicché, anche volendo aderire alla tesi interpretativa dell’AMA, sarebbe stato onere della società stessa di dimostrare di avere tentato di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle cui era addetto, mentre l’AMA ha sottolineato di non aver effettuato alcuna ricerca in tal senso, sostenendo di considerare lo stato di tossicodipendenza di per sé radicalmente ostativo alla conservazione del posto di lavoro;
r) infine, è inammissibile la richiesta subordinata relativa alla detraibilità dell’aliunde perceptum perché è stata prospettata in modo generico, senza l’allegazione di fatti specifici, tali da consentire l’esercizio del potere officioso del giudice ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ..
2- Il ricorso di AMA – Azienda Municipale Ambiente s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, G.G. .

Motivi della decisione

I – Sintesi dei motivi di ricorso.
1.- Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, dell’art. 125 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
Si rileva che la Corte d’appello – al pari del giudice di primo grado – ha ravvisato il giustificato motivo oggettivo del licenziamento nello stato di tossicodipendenza del lavoratore, così incorrendo in un errore di diritto.
Infatti, come si desume dal provvedimento di risoluzione del rapporto, tale giustificato motivo era, invece, costituito dalla situazione di impossibilità oggettiva di continuare ad assegnare al dipendente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via (proprie della sua qualifica di autista inquadrato nel IV livello del CCNL FEDERAMBIENTE) nella quale l’azienda si venuta a trovare dopo avere preso visione degli atti e della sentenza del procedimento penale a carico del lavoratore, ove risultava che egli era un consumatore di cocaina, circostanza confermata nell’atto introduttivo del presente giudizio.
L’AMA, non potendo all’epoca chiedere al lavoratore di sottoporsi agli accertamenti sanitari diretti specificamente a verificarne lo stato di tossicodipendenza – non essendo stata ancora emanata la normativa attuativa dei primi due commi dell’art. 125 d.P.R. n. 309 del 1990 – non era in condizione di conoscere se la sua abitudine al consumo di sostanze stupefacenti era persistente, mentre doveva avere la certezza che non vi fosse alcun pericolo nel mettere alla guida degli automezzi aziendali il lavoratore.
Invero, l’azienda non poteva chiedere al dipendente di sottoporsi ad accertamenti sanitari tossicologici (in conformità con l’art. 32 Cost. e con il d.P.R. n. 309 del 1990) e, d’altra parte, l’interessato si era limitato a dichiarare di non avere bisogno della terapia di recupero senza produrre l’esito di accertamenti sanitari specifici idonei a supportare la sua tesi dell’avvenuto effettivo recupero della piena idoneità psico-fisica.
Al tale riguardo la ricorrente sostiene che sia “completamente errata in diritto” l’affermazione della Corte romana secondo cui l’AMA avrebbe potuto avvalersi degli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 62 del 1994 per far controllare dal medico competente la idoneità o meno alle mansioni derivante dalla tossicodipendenza.
All’epoca, infatti, i medici competenti non erano abilitati ad effettuare esami “mirati” alla valutazione della idoneità del lavoratore alla mansione, in quanto la relativa competenza era attribuita esclusivamente alle strutture sanitarie pubbliche di cui all’art. 5 della legge n. 300 del 1970.1 medici competenti non potevano effettuare esami tossicologici o altri esami volti a rilevare la sussistenza dello stato di tossicodipendenza e anche per gli autisti i protocolli sanitari non consentivano alcun accertamento del suddetto tipo.
In questa situazione, l’azienda non aveva altra scelta che quella di proporre al lavoratore di avvalersi della disciplina prevista dall’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE.
Il G. ha rifiutato tale proposta, come era suo diritto, ma non ha prodotto l’esito di esami tossicologici in grado di dimostrare l’avvenuto recupero, sicché l’azienda, anche per non rischiare di essere esposta a gravi responsabilità in base all’art. 2049 cod. civ., non ha avuto altra scelta che quella del licenziamento, stante la perdurante situazione di incertezza in merito alla persistente abitudine del dipendente di consumare cocaina.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa “un motivo” (recte: punto) decisivo del giudizio.
Si contesta il punto della decisione nel quale la Corte d’appello ha fatto riferimento alla mancata applicazione degli artt. 16 e 17 d.lgs. n. 626 del 1994 (impropriamente, come si è detto nel primo motivo), ritenendo inidonea la scelta dell’AMA di fare applicazione dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE, al fine di ottenere, con il consenso dell’interessato, l’accertamento delle effettive condizioni psico-fisiche del dipendente.
1.3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966.
Si sostiene che la Corte territoriale abbia violato i criteri di distribuzione dell’onere della prova dettati dal combinato disposto delle suindicate disposizioni.
Infatti, nella specie, il giustificato motivo oggettivo di licenziamento deve ravvisarsi nella condizione di oggettiva impossibilità della utilizzazione del lavoratore nelle sue mansioni di autista che si è venuta a creare dopo che l’AMA è venuta a conoscenza del fatto che il dipendente era un consumatore abituale di cocaina e non ha avuto dal lavoratore né la collaborazione a sottoporsi al percorso riabilitativo offertogli né la produzione di esami tossicologici idonei a dimostrare che tale situazione era venuta meno.
Del resto, l’azienda dopo essere venuta a conoscenza dello stato di tossicodipendente o di consumatore di cocaina del lavoratore certamente non avrebbe potuto riammetterlo in servizio con le mansioni che svolgeva in precedenza, in quanto ciò sarebbe stato contrario al principio generale di responsabilità di cui all’art. 2049 cod. civ..
Ne consegue che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, era onere del lavoratore eccepire e dimostrare l’insussistenza della condizione di non conoscenza o conoscibilità da parte dell’azienda della sua condizione di consumatore di droga, che è alla base dell’impossibilità oggettiva della utilizzazione del lavoratore, costituente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
1.4.- Con il quarto motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 420, 421 e 210 cod. proc. civ.; b) omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Si sottolinea che la Corte romana non ha offerto alcuna motivazione circa l’inammissibilità o P irrilevanza della richiesta della esibizione delle denunce dei redditi del lavoratore per gli anni intercorsi tra il licenziamento e la riammissione in servizio, effettuata dall’AMA al fine di ottenere che il risarcimento del danno riconosciuto al lavoratore fosse decurtato dell’aliunde perceptum.
Si sostiene che la suddetta richiesta di esibizione è uno strumento di prova posto a disposizione della parte per accertare l’effettiva entità del danno patito dal lavoratore, sicché il giudice “non ha piena discrezionalità” in ordine alla sua ammissione, in quanto non gli si chiede di ricorrere ai suoi poteri officiosi ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., ma solo di valutare la rilevanza della richiesta stessa ai fini dell’ammissibilità in base all’art. 420 cod. proc. civ..
II – Esame delle censure.
2.- I primi tre motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
2.1.- Va, infatti, osservato che dalla sentenza impugnata risulta, con evidenza, che la Corte d’appello, nell’esaminare la fattispecie, è partita da un presupposto erroneo, non avendo considerato che per lo svolgimento delle mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via (proprie dalla qualifica del G. , di autista inquadrato nel IV livello del CCNL FEDERAMBIENTE) non si trattava di stabilire se il lavoratore era “tossicodipendente”, ma di avere la certezza che egli avesse dismesso la abitudine al consumo di stupefacenti – anche al di sotto della soglia della “dipendenza”- abitudine che era stata pacificamente accertata nella sentenza penale di condanna.
Del resto, ai fini della configurazione del reato di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (ovvero “in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti”, secondo il testo introdotto dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, attualmente vigente ma non applicabile nella specie) previsto dall’art. 187 del codice della strada (di cui al d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) non si richiede lo stato di tossicodipendenza, ma semplicemente quello di assunzione di stupefacenti e/o sostanze psicotrope, nel presupposto di evitare che ci si metta consapevolmente alla guida nello stato di alterazione psico-fisica prodotto dall’assunzione – anche sono sporadica – di sostanze che menomano la concentrazione e prontezza di riflessi.
Ne consegue che nel caso in cui un lavoratore dipendente nell’esercizio delle proprie mansioni di autista – oltre tutto di mezzi pesanti, come nella specie – si ponga alla guida trovandosi nel suddetto stato di alterazione e cagioni dei danni a terzi, la datrice di lavoro può essere chiamata a risponderne ex art. 2049 cod. civ..
Né va omesso di considerare – come significativa linea di tendenza legislativa – che sia pure con una normativa inapplicabile nella specie (di cui alla citata legge n. 120 del 2010, entrata in vigore il 13 agosto 2010) è stato introdotto, tramite modifica del citato art. 187 cod. strada, un inasprimento sanzionatorio della guida in condizioni alterate dall’uso di stupefacenti, ove ascrivibile a soggetti appartenenti a particolari categorie di conducenti, ritenute “a rischio elevato”, tra i quali rientrano le “persone che esercitano professionalmente l’attività di trasporto di persone o cose, conducenti di mezzi pesanti o autobus”.
2.2.- In questa situazione, la Corte d’appello, ha, in un primo luogo, rilevato che il licenziamento in oggetto è stato motivato: a) dal “consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore”, accertato con sentenza penale di condanna della Corte d’appello di Roma del 28 giugno 2006 per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti; b) nonché dalla mancata disponibilità manifestata dall’interessato ad effettuare un programma di riabilitazione, cui era stato avviato dalla datrice di lavoro ai sensi dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE; c) dal fatto che tali circostanze hanno indotto l’AMA a ritenere il dipendente sostanzialmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni di autista di mezzi pesanti e a licenziarlo, data l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti.
Ma da questa esatta ricostruzione la Corte territoriale si è poi discostata affermando che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento era costituito dalla sussistenza dello “stato di tossicodipendenza” del lavoratore in epoca prossima all’intimazione del licenziamento medesimo che la società non ha dimostrato, pur avendone l’onere.
Viceversa, il giustificato motivo oggettivo del recesso datoriale era costituito non dalla sussistenza dello stato di tossicodipendenza, ma dall’incertezza in merito alla persistenza dell’abitudine di consumare stupefacenti, quale risultante dalla sentenza penale e dalla conseguente dichiarata impossibilità di adibizione del dipendente a mansioni diverse, da quelle, di per sé pericolose, di autista di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via.
Il lavoratore avrebbe potuto contestare entrambi questi elementi: a) dimostrando, con la produzione dell’esito di esami tossicologici ad hoc, il proprio avvenuto pieno recupero; b) offrendo la sua collaborazione per il repechage ed, eventualmente, dichiarandosi disponibile a svolgere anche mansioni diverse, anche inferiori, nel caso di persistente consumo di droghe (vedi, sul punto, fra le altre: (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3040; Cass. 18 marzo 2010, n. 6559; Cass. 20 gennaio 2003, n. 777; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134; Cass. 22 ottobre 2009, n. 22417; Cass. 12 giugno 2002, n. 8396).
Il G. , invece, nel corso del colloquio con un assistente sociale della cooperativa sociale MAGLIANA 80 cui è stato invitato dall’AMA, si è limitato a “dichiarare” di “essere in piena ripresa”, grazie all’aiuto dei genitori, e a rifiutare il programma di recupero offertogli (vedi pag. 4 del controricorso), senza produrre alcuna prova al riguardo e senza fare altro.
La Corte romana – sempre sulla base del suddetto erroneo presupposto, di sovrapporre i differenti concetti di tossicodipendenza (che è la “condizione di dipendenza fisica e psicologica dall’uso di sostanze stupefacenti”) e di “consumo di stupefacenti” (da sola sufficiente per inibire la guida di veicoli su strada) – ha dato rilievo prevalente a tale ultima dichiarazione, benché vaga e priva di alcuna dimostrazione, rispetto a quella risultante dalla sentenza penale di condanna (suffragata dalla testimonianza della domestica del G. ) e poi ha affermato che l’AMA aveva l’onere di effettuare gli esami clinici, senza considerare che all’epoca non vi era alcuna specifica normativa al riguardo, il lavoratore inoltre era sospeso dal servizio e l’art. 32 Cost., come regola, vieta di effettuare esami clinici su altri senza il loro consenso.
Ne consegue che, appare del tutto ultroneo il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla possibilità dell’AMA di avvalersi degli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 62 del 1994 per far controllare dal medico competente la idoneità o meno alle mansioni derivante dalla “tossicodipendenza”, in quanto all’epoca dei fatti i medici competenti non erano abilitati ad effettuare esami “mirati” alla valutazione della idoneità del lavoratore alla mansione, essendo la relativa competenza attribuita esclusivamente alle strutture sanitarie pubbliche di cui all’art. 5 della legge n. 300 del 1970 e non consentendo i protocolli sanitari ai medici competenti la possibilità di effettuare esami tossicologici o altri esami volti a rilevare la sussistenza dello stato di “tossicodipendenza” o di consumo di sostanze stupefacenti, neppure per gli autisti.
Sicché, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, l’azienda non aveva altra l scelta che quella di proporre al lavoratore di avvalersi della disciplina prevista dall’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE.
Le suesposte ragioni portano all’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso, con conseguente assorbimento del quarto motivo.
III – Conclusioni.
3- In sintesi, i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento del quarto motivo.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:
“nella valutazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento di un lavoratore avente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto di rifiuti sulla pubblica via, il quale, con sentenza penale di condanna per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti sia risultato consumatore di sostanze stupefacenti, è necessario – nella situazione normativa antecedente l’emanazione della disciplina attuativa dei primi due commi dell’art. 125 del d.P.R. n. 308 del 1990 – che il lavoratore fornisca piena prova, attraverso la produzione dell’esito di esami tossicologici ad hoc – del proprio avvenuto pieno recupero, con la conseguente dismissione dell’abitudine al consumo di sostanze stupefacenti, la quale – anche al di sotto della soglia della tossicodipendenza- è da sola sufficiente ad inibire la guida di veicoli su strada (ex art. 187 del codice della strada) e ad esporre il datore di lavoro al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni cagionati a terzi”.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

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