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Sentenza – Testamento, badante, circonvenzione di incapace

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Sentenza – Testamento, badante, circonvenzione di incapace
Suprema Corte di Cassazione II Sezione Penale
Sentenza 12 giugno – 3 luglio 2014, n. 28907
Presidente Prestipino – Relatore Rago

Fatto

1. Con sentenza del 04/10/2012, la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza con la quale, in data 22/10/2010, il giudice monocratico del tribunale della medesima città aveva ritenuto S.K. colpevole del reato di cui all’art. 643 cod. pen. “poiché, per procurare a sé un profitto, abusava dello stato di infermità psichica di So.Ma. , sebbene non interdetta o inabilitata, inducendola a compiere un testamento olografo, in data 11/07/2004, a ridosso del suo decesso avvenuto il 28/07/2004, che faceva pubblicare con atto notaio Michele Conso in data 17/09/2004”.
2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. omessa motivazione in ordine all’induzione: la ricorrente sostiene che la Corte avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine all’elemento costitutivo del reato addebitatole ossia all’induzione.
Invero, dal dibattimento non solo non era emerso alcun dato dal quale evincere una positiva condotta d’induzione ma addirittura erano emersi una serie di elementi tali da spiegare le ragioni per le quali la sign.ra So. avesse deciso di diseredare i propri nipoti e beneficiare l’imputata che l’accudiva.
Era, infatti, emerso che: a) la moglie del nipote, la Dott.ssa Rocchi, aveva sottoposto la So. ad un trattamento farmacologico a base di potenti neurolettici che la suddetta So. rifiutava temendo per la propria salute; b) in concomitanza con l’inizio della suddetta terapia, i nipoti prelevarono denaro dal conto corrente della So. per complessivi Euro 146.000,00; c) i nipoti avevano manifestato il proposito di ricoverarla in un ospizio, la qual cosa era rifiutata dalla So. che temeva di essere abbandonata; d) la So. era una donna dal carattere autoritario che ben difficilmente avrebbe potuto essere indotta dalla badante a redigere un testamento in suo favore; e) le perizie grafologiche avevano concluso per la piena capacità d’intendere e volere.
2.2. illogicità della motivazione in ordine allo stato di incapacità d’intendere e volere: la ricorrente sostiene che la Corte aveva ritenuto che la So. non fosse compus sui nel momento in cui redasse il testamento, sia per l’età avanzata, sia perché più testimoni l’avevano descritta come poco lucida.
Sennonché la suddetta conclusione si basava su un compendio probatorio quantomeno contraddittorio perché: a) vi erano stati i testi K. , P. e I. – particolarmente qualificati, essendo tutti medici di professione – che avevano dichiarato che la So. era lucida e, fino all’ultimo, perfettamente in grado d’intendere e volere: non era chiaro il motivo per cui la Corte non le aveva tenute in considerazione e perché erano state preferite le testimonianze favorevoli alla tesi accusatoria; b) non era stato chiarito se la So. fosse poco lucida perché sottoposta agli effetti dei farmaci che le facevano assumere, oppure perché era veramente incapace d’intendere e volere; c) le gravi patologie da cui era affetta la parte offesa ed elencate dalla Corte erano di natura fisica e non incidevano sulla capacità intellettiva; d) i giudici di merito erroneamente non avevano ritenuto disporre una perizia medico legale sullo stato psichico della parte offesa, tanto più che agli atti vi erano le perizie grafologiche che avevano concluso per la capacità d’intendere della So..

Diritto

1. In punto di diritto, preliminarmente, è opportuno riassumere, brevemente, alcuni notori principi ai quali occorre attenersi, posto che la ricorrente ha svolto tutte le sue censure sostenendo che: a) la So. non era incapace; b) non vi era la prova che essa ricorrente avesse indotto la parte offesa a redigere testamento in suo favore.
1.1. L’art. 643 c.p., inserito fra i delitti contro il patrimonio mediante frode, tutela il patrimonio del minorato ossia di colui che, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trovi in una minorata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali.
La legge individua tre categorie di soggetti passivi: 1) i minori; 2) l’infermo psichico; 3) il deficiente psichico.
La condotta penalmente rilevante dell’agente è varia e si realizza quando:
nei confronti dei minori, abusi dei loro “bisogni, passioni o inesperienza”;
nei confronti dell’infermo psichico o del deficiente psichico, abusi del loro stato.
Il fatto che la legge distingua fra infermo psichico e deficiente psichico e non consideri necessario che il soggetto passivo si trovi nella condizione per essere interdetto o inabilitato, induce a ritenere che:
infermità psichica: per tale deve intendersi ogni alterazione psichica derivante sia da un vero e proprio processo morboso (quindi catalogabile fra le malattie psichiatriche) sia da una condizione che, sebbene non patologica, menomi le facoltà intellettive o volitive;
deficienza psichica: è questa un’alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave della infermità, tuttavia, è comunque idonea a porre il soggetto passivo in uno stato di minorata capacità in quanto le sue capacità intellettive, volitive o affettive, fanno scemare o diminuire il pensiero critico. Rientrano in tale categoria, fra l’altro, ad es., l’emarginazione ambientale (Cass. 20/3/1979, Tintinaglia), la fragilità e la debolezza di carattere (Cass. 9/10/1973, Ced 126922).
Peraltro, il minimo comun denominatore che si può rinvenire nelle due predette situazioni, consiste nel fatto che, in tanto il reato può essere configurato in quanto si dimostri l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente nel senso che deve trattarsi di un rapporto in cui l’agente abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima a causa del fatto che costei si trova, per determinate situazioni da verificare caso per caso, in una minorata situazione e, quindi, incapace di opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica. Tale situazione di minorata capacità dev’essere oggettiva e riconoscibile da parte di tutti in modo che, chiunque possa abusarne per raggiungere il suoi fini illeciti (Cass. 15/10/1987, Rv 175682).
1.2. L’art. 643 c.p., infine, al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacità di cui si è detto) altri due elementi oggettivi:
l’induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un’apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione [Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331] che si ponga, in relazione all’atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto;
l’abuso dello stato di vulnerabilità. L’abuso si verifica quando l’agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sé o ad altri un profitto.
2. illogicità della motivazione in ordine allo stato di incapacità d’intendere e volere: la Corte territoriale, ha ritenuto che la sig.ra So. , si trovasse nelle condizioni per essere circonvenuta, sulla base della seguente motivazione (pag. 2-3): “Quanto alla cartella clinica, rileva la Corte che, se in essa è stato annotato che la paziente aveva un atteggiamento ed un linguaggio nella norma, dandosi atto altresì del miglioramento avvenuto nel corso del ricovero, in forza del quale la paziente appare vigile, collaborante e risponde alle domande, deve rilevarsi altresì che l’atto documenta una situazione generale scaduta, con diagnosi di encefalopatia multinfartuale con insufficienza vascolare acuta, miocardioscelorosi ed anemia diseritropoietica multifattoriale, tanto che la paziente è impossibilitata alla deambulazione, le sollecitazioni alle quali risponde sono semplici (20/2/04) e non sempre presenti in quanto in alcune occasioni la paziente appare soporosa (diario clinico del 16/2/04) e l’anamnesi stessa viene raccolta con l’ausilio della badante. Appare quindi provata la presenza, a carico della p.o., di gravi patologie che ne compromettono in modo evidente le funzioni vitali, ella non cammina, per raccontare la propria storia clinica ha bisogno della badante, e la reattività di cui si parla nei motivi d’appello è limitata, come si legge testualmente sulla cartella clinica, alle sollecitazioni più semplici e comunque non è certamente tale da far ritenere superate le gravissime patologie della quali l’anziana era portatrice. Nulla peraltro si rinviene in atti che consenta di ritenere non regolare l’attività medica in essa documenta, essendo stata indicata sia la data che la descrizione dell’esito sia della visita neurologica che di quella del fisiatra (nella quale si parla di disorientamento spazio-temporale della paziente), entrambe complete della sottoscrizione dei due sanitari che vi hanno proceduto. Pertanto le perplessità, peraltro piuttosto fumose, delle testi K. e della I. , sebbene si tratti di medici, non trovano riscontro negli atti”.
La ricorrente, in questo grado di giudizio, come si è detto, ha sostenuto: a) che non vi fosse la prova dello stato d’incapacità della parte offesa; b) che alcuni testi avevano affermato che la So. era perfettamente capace d’intendere e volere; c) che le malattie evidenziate dalla Corte erano solo di natura fisica e quindi non incidenti sulla capacità intellettiva e volitiva.
Orbene, la motivazione supra riportata per esteso, smentisce quanto affermato dalla ricorrente atteso che:
a) la cartella clinica, redatta da medici ospedalieri in occasione del ricovero della parte offesa dall’8 al 24/02/2004, e, quindi, pochi mesi prima del decesso avvenuto nel luglio del 2004, attesta, come ha correttamente rilevato la Corte, una “situazione generale scaduta” che aveva compromesso non solo le funzioni fisiche (deambulazione) ma anche quelle intellettive e volitive come si desume agevolmente dalla circostanza che era stata diagnosticata una encefalopatia multinfartuale con insufficienza vascolare acuta che, notoriamente, indica non un semplice mal di testa – come ha impropriamente sostenuto la ricorrente cercando di minimizzare – ma la circostanza che la So. era stata colpita da multipli fatti ischemici (rectius: mancata irrorazione di sangue in più distretti encefalici) che le avevano causato un danno dell’encefalo con conseguente disturbo cognitivo come desumibile da quanto riportato nella stessa cartella clinica;
b) non è vero che la Corte non aveva valutato e preso in esame le testimonianze favorevoli: al contrario, da quanto risulta testualmente dalla sentenza (pag. 4 quanto ai testi K. e I. e pag. 5, quanto ai testi R. , A. e P. ), le suddette testimonianze sono state prese in considerazione ma non giudicate tali da poter contraddire un quadro clinico e testimoniale che deponeva in senso diametralmente opposto (cfr pag. 5 – 6): sul punto la motivazione è ineccepibile sicché la doglianza della ricorrente, non avendo evidenziato vizi motivazionali di alcun genere (se non una inesistente omessa motivazione) va disattesa;
c) infine, quanto alla circostanza secondo la quale non era stato chiarito se la So. fosse poco lucida perché sottoposta agli effetti dei farmaci che le facevano assumere, oppure perché era veramente incapace d’intendere e volere, va rilevato che si tratta di una questione che è stata ampiamente dibattuta in entrambi i gradi del giudizio di merito e la motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale (pag. 4 ss), a confutazione della medesima censura dedotta e reiterata in questo grado di giudizio, non si presta ad alcun rilievo, essendo logica, congrua ed aderente agli evidenziati elementi fattuali: la doglianza, quindi, va ritenuta nulla più che un tentativo di ottenere, in modo surrettizio, una nuova ma inammissibile valutazione del merito della vicenda.
Si può, quindi, affermare che dalla sentenza impugnata emerge a tutto tondo lo stato di deficienza psichica della parte offesa e, quindi, deve ritenersi provato uno degli elementi costitutivi del reato.
3. OMESSA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALL’INDUZIONE: Con il secondo motivo, la ricorrente ha molto insistito sulla mancata prova dell’elemento materiale dell’induzione.
In punto di fatto, la Corte territoriale ha accertato che:
– la sign.ra So. redasse il testamento olografo in data 11/07/2004 e cioè diciassette giorni prima del decesso;
– la parte offesa, nel momento in cui compì il suddetto atto dispositivo, aveva novantacinque anni e, soprattutto, sia per condizioni fisiche che psichiche deteriorate, si trovava in uno stato di deficienza psichica (supra p.2);
– la tesi difensiva secondo la quale la sign.ra So. temeva di essere abbandonata dai nipoti – e, quindi, di aver redatto un testamento a favore della badante per far loro un “dispetto” o comunque punirli per il disinteresse manifestato nei suoi confronti – doveva ritenersi infondato sulla base “delle deposizioni dei vicini e dei portieri che smentiscono che i nipoti avessero abbandonato la loro congiunta” (pag. 5 sentenza impugnata);
– la possessività che la parte offesa nutriva nei confronti dell’imputata, era spiegabile, sulla base della testimonianza del teste D.S. , non come manifestazione di affetto ma come l’atteggiamento tipico che una persona autoritaria (come veniva descritta la So. ) mostrava nei confronti di un subalterno (l’imputata) sicché la suddetta testimonianza doveva essere interpretata “in modo inequivocabile (come) l’assenza di qualsiasi intendimento da parte della parte offesa di beneficiare la badante in luogo dei congiunti” (pag. 6 sentenza).
Alla stregua dei suddetti fatti, la Corte, quanto al requisito dell’induzione, ha quindi, così concluso: “Rimane invece la peculiare condotta di una persona di 95 anni che, a diciassette giorni dalla morte, scrive con notevolissime difficoltà evidenti dal testo, un testamento quasi illeggibile a favore di un’estranea rispetto ai propri familiari, estranea da lei considerata subalterna, come descrive il teste D.S. .
Tale condotta, in una persona non più in grado di autodeterminarsi, per età, avanzatissima, e condizioni di salute, gravissime, si spiega solo in chiave accusatoria, e cioè con un’attività dell’imputato che è intervenuta in proprio favore sulla condotta della p.o., necessariamente acritica.
Ritiene infatti sul punto la giurisprudenza che non occorra al fine della configurabilità del reato in contestazione, una condotta tipica o specifica dell’autore del fatto, bastando, ai fini della sussistenza dell’elemento dell’induzione, che la proposta al compimento dell’atto provenga dal colpevole ed è sufficiente che questi abbia rafforzato, profittando delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo, una decisione pregiudizievole dal medesimo già adottata” (pag. 6).
La suddetta motivazione non si presta alla censura dedotta dalla ricorrente in questa sede perché la Corte ha evidenziato una serie di elementi fattuali che, letti e valutati unitariamente, sono idonei a far ritenere provata l’induzione attraverso un procedimento di natura presuntiva così come ritenuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nelle ipotesi in cui parte offesa del delitto di cui all’art. 643 c.p., sia una persona affetta da una grave forma di deficienza psichica (anche a causa dell’età avanzata) che la privi gravemente della capacità di discernimento e di autodeterminazione, e il soggetto attivo non abbia nei suoi confronti alcun particolare legame di natura parentale, affettivo o amicale, l’induzione può essere desunta in via presuntiva potendo consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività da parte dell’agente (come ad es. una semplice richiesta) alla quale la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi e la porti, quindi, a compiere, su indicazione dell’agente, atti che, privi di alcuna causale, in condizioni normali non avrebbe compiuto e che siano a sé pregiudizievoli e a lui favorevoli: in terminis Cass. 18583/2009 Rv. 244546; Cass. sez II, udienza 26/05/2009, Voglino; Cass. 4816/2010 Rv. 246279.
4. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese a favore della costituita parte civile non avendo la medesima depositato la nota spese.

P.Q.M.

RIGETTA il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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