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Testo sentenza, locazione, errore, occupazione senza titolo, sfratto per morosità

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Testo sentenza, locazione, errore, occupazione senza titolo, sfratto per morosità
Corte di Cassazione VI Sezione Civile – 3
sentenza 3 luglio – 23 ottobre 2014, n. 22531
Presidente Vivaldi – Relatore Frasca

Svolgimento del processo

p.1. Il Comune di Cammarata ha proposto ricorso per cassazione contro L.V. avverso la sentenza del 20 ottobre 2011, con la quale la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Agrigento il 3 giugno 2008 ha rigettato la domanda proposta da esso ricorrente contro il L. il 12 ottobre 2007 con una citazione per convalida di sfratto per morosità.
p.2. L’appello è stato accolto sul rilievo che la domanda introdotta dal Comune con quello speciale procedimento aveva avuto ad oggetto una pretesa di restituzione di un immobile perché detenuto dal L. senza titolo. Domanda che era diversa dalla domanda di sfratto per morosità, in quanto non basata sulla richiesta di risoluzione di un contratto locativo, onde il procedimento per convalida era stato promosso al di fuori dei suoi presupposti.
p.3. Il L. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e dei principi in tela di qualificazione giuridica della domanda giudiziali violazione e falsa applicazione degli artt. 657, 658 e 667 del c.p.c.; nonché del principio costituzionalizzato del c.d. “giusto processo”; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
Vi si censura la motivazione con ci la Corte territoriale, dopo avere disatteso il motivo di appello con cui il L. aveva insistito nell’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo al Comune, reputando che quest’ultimo era subentrato nella proprietà dell’immobile all’E.S.A. e fosse legittimato a proporre sia le azioni reali che quelle personali a difesa del proprio diritto, ha ritenuto che l’appello fosse fondato “nel merito” così esprimendosi:
“Con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’attore investiva l’organo giudicante premettendo che l’immobile per cui è causa era occupato da L.V. , sin dal 1996, senza alcun titolo e senza alcuna autorizzazione comunale. Proseguiva lamentando che, nonostante l’occupante avesse il godimento dell’immobile, non aveva mai corrisposto alcuna somma all’ente proprietario, per ci risultava debitore nei confronti del Comune di Cammarata della somma di Euro 3872,96, oltre interessi. Instava, pertanto, per la convalida dello sfratto, per la condanna del L. al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino al rilascio. Dalla esposizione giuridica dei fatti contenuta in citazione, la richiesta di rilascio dell’immobile si fonda sulla mancanza di un valido titolo contrattuale che legittimi il godimento e l’uso del bene da parte del convenuto, che non a caso viene qualificato come occupante. Ora, la domanda di restituzione di un immobile detenuto senza titolo che si fonda sulla responsabilità extracontrattuale del detentore in quanto gode abusivamente di un bene senza alcuna legittimazione, è certamente diversa dalla domanda di sfratto per morosità, che è basata sulla risoluzione per inadempimento di un contratto locativo”.
Dopo tale motivazione nella pagina 6, la sentenza argomenta della diversità fra l’azione di sfratto per morosità esercitabile ai sensi dell’art. 658 c.p.c. e quella di rilascio per occupazione senza titolo e, quindi, conclude affermando che “Invero, lo speciale procedimento di convalida di sfratto per morosità, previsto dall’art. 658 c.p.c., concludendosi necessariamente con una pronuncia di risoluzione del vincolo contrattuale, presuppone necessariamente l’esistenza di un contratto di locazione del quale si chiede la cessazione per l’insolvenza del conduttore e non è utilizzabile per far valere ragioni di credito inerenti ad un rapporto ritenuto inesistente al momento dell’intimazione, come nella specie”.
p.2. La critica alla riportata motivazione viene svolta assumendosi con un’esposizione inutilmente lunga che la Corte territoriale avrebbe: a) per un verso operato la qualificazione della domanda per come proposta con l’intimazione di sfratto come domanda di rilascio per occupazione senza titolo senza considerare che il L. non aveva con l’appello contestato la qualificazione del rapporto come locativo che era stata data espressamente dalla sentenza del Tribunale, che aveva dichiarato risolto; b) per altro verso e comunque ignorato che, quand’anche la domanda proposta con l’intimazione di sfratto fosse stata irritualmente formulata per chiedere il rilascio dell’immobile in quanto occupato senza titolo, tuttavia nelle note depositate all’udienza del 5 agosto 2008, dopo il passaggio della controversia alla trattazione con il rito a cognizione piena a seguito di provvedimento ai sensi dell’art. 667 c.p.c. del 14 novembre 2007, il Comune aveva legittimamente modificato la “causa petendi” della sua originaria domanda chiedendo la pronuncia della risoluzione del contratto per inadempimento.
Il Collegio osserva che il primo profilo di censura, pur deducendo confusamente un’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel procedere alla qualificazione della domanda contro quella che era stata fatta dal Tribunale, risulta fondato sulla base di considerazioni che questa Corte deve fare in iure in via preliminare allo scrutino della pretesa ultrapetizione e che evidenziano esse stesse a monte, rispetto ad essa ed alla sua effettiva ricorrenza, l’illegittimità della sentenza impugnata con riferimento alla statuizione censurata dal ricorrente di rigetto dall’azione qualificata come di rilascio per occupazione senza titolo.
Va ricordato, infatti, che “In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto. (Sulla base di tali principi la Suprema Corte, investita della denuncia di violazione del divieto di domande nuove in appello, ha rilevato d’ufficio che l’introduzione di detta domanda era, in realtà avvenuta in primo grado e che il giudice d’appello, cui la relativa questione era stata devoluta, non ne aveva rilevato la fondatezza)”, (così Cass. n. 6935 del 2007; in senso conforme: Cass. n. 10841 del 2011; n. 3437 del 2014).
Nel caso di specie il Comune, censurando la sentenza impugnata per avere, piuttosto che in violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ritenuto di dover qualificare diversamente la domanda rispetto alla qualificazione datale dalla sentenza di primo grado, in violazione della formazione di un giudicato interno formatosi riguardo ad essa in mancanza di impugnazione da parte del L. di detta qualificazione, si duole della statuizione con cui, a seguito della pretesa illegittima operazione di qualificazione la Corte territoriale, ha rigettato la domanda reputando che il fatto della proposizione della domanda così qualificata con il procedimento per convalida di sfratto fosse ragione sufficiente per il rigetto della domanda stessa.
La censura del ricorrente riguarda tale risultato finale in quanto determinato da un errore di qualificazione della domanda, ma consente alla Corte, investita del problema della qualificazione, di valutare comunque in iure se, pur assunta la detta qualificazione, detto risultato sia corretto.
Ebbene nel caso di specie il ragionamento che ha portato la Corte territoriale a tale conclusione di rigetto risulta comunque erroneo in iure a monte rispetto all’operata qualificazione ed a prescindere dalla sua eventuale legittimità. Tanto questa Corte può rilevare sulla base del ricordato principio di diritto.
L’errore si rinviene nella circostanza che la Corte territoriale, una volta compiuta l’operazione di qualificazione, ha considerato la circostanza a monte della proposizione della domanda per come qualificata come determinativa della non decidibilità nel merito, ma giustificativa della sa reiezione, in quanto il Comune l’aveva proposta con le forme del procedimento per convalida di sfratto, che non consentivano di proporla con riferimento a quella qualificazione, ritenuta giusta dalla stessa Corte.
hi tal modo la Corte territoriale ha fatto discendere dall’erroneo utilizzo a suo dire della forma di esercizio speciale dell’azione con il procedimento per convalida, la conseguenza del rigetto nel merito della domanda per come qualificata. Ha cioè considerato come ragione di rigetto nel merito un errore di proposizione della domanda con il rito speciale e, dunque, una ragione di mero rito.
Viceversa, essendosi ormai il procedimento trasformato in procedimento a cognizione piena, la decisione sulla domanda per come qualificata dalla Corte sarebbe dovuta avvenire con lo scrutinio dei suoi eventuali presupposti di fondatezza.
La Corte doveva cioè esaminare se l’occupazione del L. fosse nei confronti del Comune, peraltro ritenuto subentrare all’E.S.A., assistita o meno da un titolo ad esso opponibile nella sua veste di proprietario dell’immobile.
Al contrario la Corte territoriale ha rigettato la domanda pur qualificata di occupazione senza titolo in ragione del solo suo esercizio erroneo con un atto introduttivo nelle forme del procedimento per convalida. La riprova è che nessun riferimento si fa allo svolgimento della domanda a seguito della trasformazione del rito ed alla sa incidenza.
La Corte ha deciso la causa dando rilievo solo all’erronea instaurazione del procedimento per convalida, completamente disinteressandosi del se un’occupazione senza titolo vi fosse, anche soltanto sopravvenuta ad una situazione di detenzione legittima originaria.
È appena il caso di rilevare che a essa si allude, dopo la parte di motivazione sopra riportata, così scrivendosi anodinamente: “E ciò anche a volere tacere che il L. detiene l’immobile legittimamente e cioè in forza di una scrittura privata dell’I settembre 1974, stipulata con LESA, dante causa del Comune, che è quindi subentrato nel rapporto preesistente”.
Senonché tale affermazione, proprio per la sua anodinia, non può essere considerata come affermazione dell’esclusione dell’occupazione senza titolo per ragioni sopravvenute, dato che fa riferimento solo alla causa di insorgenza della detenzione originaria, ma nulla dice circa la idoneità a giustificare la conservazione della detenzione di fronte al Comune, riconosciuto come titolare della proprietà del bene.
Onde non può dirsi che il rigetto della domanda sia avvenuto anche perché è stata esclusa l’occupazione senza titolo.
In ogni caso si deve, per completezza, aggiungere che, avendo la motivazione della sentenza dato rilievo ad una ragione di rito, l’eventuale configurabilità di questa motivazione come aggiuntiva motivazione di merito, nemmeno avrebbe rappresentato statuizione impugnabile in questa sede, giusta il principio di diritto di ci a Cass. sez. un. n. 3840 del 2007. Si tratterebbe, infatti, di statuizione resa in carenza di potestas iudicandi, una volta affermata la ragione di rigetto in rito.
Il principio di diritto che giustifica l’accoglimento per quanto di ragione del primo motivo è il seguente: “ove il giudice d’appello ritenga che l’azione esercitata in primo grado sia stata esercitata erroneamente con le forme del procedimento per convalida di sfratto per morosità, in quanto la domanda prospettava un’azione di rilascio per occupazione senza titolo e non un’azione di risoluzione per inadempimento di una locazione, non può per ciò solo, cioè per l’erronea attivazione del procedimento speciale, rigettare la domanda qualificata come occupazione senza titolo, ma deve deciderla esaminando se ne ricorrano i presupposti giustificativi e, quindi, valutare se l’occupazione senza titolo sussista oppure no”.
p.3. La sentenza impugnata dev’essere cassata e la Corte territoriale procederà a decidere la domanda di occupazione senza titolo esaminando se di tale occupazione ricorrano o meno i presupposti e ciò anche con riferimento alla vicende successive all’occupazione e, quindi, alla sua insorgenza.
p.4. Gli altri motivi restano assorbiti.
p.5. Il giudice di rinvio provvederà sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Palermo, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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