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Testo sentenza, omicidio preterintenzionale, dolo diretto, aggravanti, attenuanti

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Testo sentenza, omicidio preterintenzionale, dolo diretto, aggravanti, attenuanti
Corte di Cassazione, sez. I Penale
Sentenza 25 febbraio 2014 – 6 febbraio 2015, n. 5676
Presidente Cortese – Relatore Tardio

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 18 giugno 2012, il G.u.p. del Tribunale per i minorenni di Milano, all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato V.M.L.E. responsabile del reato di omicidio, aggravato dalla circostanza dei futili motivi, in danno di C.L. , commesso in (OMISSIS) , colpendolo in sequenza per due volte con un frammento di bottiglia rotta e provocandogli una lesione all’arteria carotide comune e una duplice lacerazione della vena giugulare interna, che a loro volta avevano prodotto una profusa emorragia esterna e un danno multi-organo con arresto delle funzioni vitali, e lo ha condannato, applicata la diminuente per la minore età, riconosciute le attenuanti generiche in ragione di prevalenza sulla contestata aggravante e operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni dieci di reclusione, oltre alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
2. La Corte di appello di Milano – sezione minori, con sentenza del 13 dicembre 2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena ad anni nove di reclusione, maggiormente valorizzando la incidenza delle riconosciute attenuanti generiche.
3. Il fatto si era verificato nel primo pomeriggio del 10 agosto 2011, all’esito di una discussione intercorsa tra l’imputato e la vittima, in dipendenza della intenzione manifestata dalla seconda di recarsi a XXXXXXXX con P.A. , suo amico, pure presente, e della insistenza del primo, apparentemente ubriaco, nel dire che “non andava bene”, passando dalle parole a uno scambio di colpi a mani nude, all’uso dei sassi e poi a quello della bottiglia di vetro, che, lasciata cadere dalla vittima, colpita con un sasso, era stata raccolta dall’imputato, spaccata contro un gradino e il suo collo utilizzato come arma per colpire la vittima nella fossa iliaca di sinistra e nel collo ed essere infine conficcato nella regione cervicale settore antero-laterale della stessa, con esito letale.
A tale ricostruzione il Giudice di primo grado aveva proceduto attraverso la diffusa analisi delle dichiarazioni rese dalle persone presenti al fatto, P.A. , Ca.Mi. e S.J.L. , dalla testimone occasionale M.M. , che aveva percorso il viale XXXXXXX, luogo dell’azione, durante le sue fasi conclusive, e dallo stesso imputato, prima in sede di spontanee dichiarazioni ai Carabinieri di XXXXXXXX, poi nel corso del suo interrogatorio al Pubblico Ministero e in sede di udienza di convalida del suo fermo al G.i.p., e attraverso la valorizzazione degli esiti dell’esame autoptico e degli accertamenti di natura chimico-tossicologica, specificamente riportando in sentenza e illustrando i dati fattuali acquisiti e le deduzioni difensive.
4. La Corte di appello riportava integralmente la motivazione della sentenza di primo grado, che condivideva, sintetizzava le doglianze poste dall’imputato a fondamento del suo appello, e, in risposta alle stesse e a ragione della decisione:
– rilevava che la rappresentata condizione psico-fisica dell’imputato e della vittima al momento del fatto non aveva rilievo ai fini della decisione, non impedendo l’azione esercitata dall’alcool o da stupefacenti, assunti volontariamente, di ravvisare gli estremi del dolo diretto;
– escludeva la fondatezza della tesi difensiva volta a ricondurre il fatto/reato nella cornice dell’art. 584 cod. pen., poiché, richiamati i principi fissati da questa Corte, con riguardo all’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale, e rilevato che l’assenza del dolo omicidiario non poteva trarsi dalle dichiarazioni delle persone presenti, assunte a sommarie informazioni, rilevava che il fine perseguito dall’agente era dimostrato dal frammento di bottiglia utilizzato, dalla reiterazione dei colpi inferti, dalla loro direzione verso zone corporee vitali e dalle zone concretamente attinte, e sottolineava che, anche accedendo alla tesi difensiva della unicità dell’azione lesiva, che giudicava infondata, la valutazione in ordine alla sussistenza del delitto di omicidio volontario non subiva alcuna modifica tenuto conto delle modalità e delle caratteristiche dell’azione dell’imputato, come descritta concordemente dai testi e ammessa dal medesimo;
– rappresentava che non sussistevano le condizioni per sospendere il processo e disporre la messa alla prova dell’imputato, non ravvisandosi elementi per un positivo giudizio prognostico sulla sua rieducazione;
– riteneva che, alla stregua dei criteri dettati dall’art. 133 cod. pen. e delle emergenze della relazione USSM in ordine alla buona condotta dell’imputato, potesse essere accolto, almeno parzialmente, il motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio, ulteriormente valorizzando l’incidenza delle riconosciute attenuanti generiche.
5. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per mezzo del suo difensore, avv. Michele D’Angelo, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia mancanza e manifesta illogicità della motivazione sotto i profili della qualificazione del fatto, della formale violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e della graduazione della pena.
5.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, nel ritenere integrato il dolo omicidiario, che suppone la rappresentazione e la volizione di tutti gli elementi costitutivi dell’omicidio volontario (condotta, evento e causalità materiale), non ha tenuto conto dei principi in tema di qualificazione del reato a forma libera, valorizzando esclusivamente gli effetti prodotti dall’azione criminosa, senza valutare il comportamento complessivo di esso ricorrente e della vittima nel contesto in cui è maturato l’alterco/scontro tra loro, il crescendo di toni e violenza, la loro posizione reciproca e la loro condizione psico-fisica.
La sentenza impugnata è incorsa in incongruenze argomentative anche nella valutazione dei dati probatori obiettivi (quali il contenuto della consulenza medico-legale e il mancato ritrovamento del collo di bottiglia rotto), che ha sminuito o valorizzato eccessivamente sulla base di mere congetture e di letture non univoche delle emergenze acquisite.
Avrebbe sicuramente assunto concreto rilievo l’esame dello strumento lesivo utilizzato (presunto collo di bottiglia), e mai reperito, come evidenziato anche dal medico-legale, che non ha potuto stabilire l’effettiva successione temporale di due differenti momenti lesivi, che neppure ha escluso, mentre la Corte di appello, pur in mancanza di alcuna certezza sul punto, ha ritenuto di affermare la volontà omicida e di privilegiare le argomentazioni del primo Giudice quanto alla duplicità dei colpi in zona cervicale rispetto alla tesi difensiva della unicità dell’azione lesiva.
5.2. Né si è considerato, ad avviso del ricorrente, che le modalità dello scontro, il crescendo di toni e atti violenti posti in essere sia da esso ricorrente sia dalla vittima e la circostanza che il vetro è stato reperito sul posto, quando lo scontro era già al massimo livello di tensione, dovevano essere ritenuti sintomatici della insussistenza della direzione teleologia della sua condotta verso la morte della vittima, come percepito anche dai testi, e fondare la diversa ipotesi criminosa di cui all’art. 584 cod. pen.
5.3. La sentenza è censurabile anche in ordine al trattamento sanzionatorio, poiché il particolare stato psico-fisico dell’imputato e della vittima e la condizione emotiva del primo al momento del fatto dovevano giustificare, infine, una più ampia valorizzazione delle attenuanti generiche.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. Le doglianze sviluppate con l’unico motivo attengono, sotto un primo aspetto, al denunciato vizio motivazionale che connota lo sviluppo argomentativo della decisione impugnata nella disposta conferma della sussistenza dal punto di vista probatorio, già ritenuta dal primo Giudice, dei dati necessari per l’integrazione del dolo omicidiario, inteso come rappresentazione e volizione, in capo al ricorrente, degli elementi costitutivi della fattispecie tipica dell’omicidio volontario ascritto ai sensi dell’art. 575 cod. pen., individuabili nella condotta, nell’evento e nella causalità materiale.
Il dedotto vizio, nella prospettazione difensiva, è rilevabile sotto plurimi profili, correlati alla contestata esclusiva valorizzazione degli effetti dell’azione criminosa, senza la valutazione del comportamento complessivo dell’imputato e della vittima nel contesto in cui è maturato l’alterco/scontro fra essi, il crescendo dei toni e di violenza che lo ha connotato, il rapido passaggio dalle aggressioni verbali alle aggressioni fisiche e all’uso di strumenti atti a offendere, la posizione reciproca e la condizione psico-fisica degli stessi; alla lettura del contenuto della consulenza medico-legale e all’apprezzamento delle espressioni tecniche utilizzate dal perito e delle dichiarazioni dei testi; al mancato ritrovamento dello strumento lesivo, identificato nel presunto collo di bottiglia, utilizzato dall’imputato nell’ultima fase dello scontro, e non conosciuto nelle sue potenzialità/caratteristiche morfologiche; alla disamina dell’unicità dell’azione lesiva e alla riconducibilità a unico intervento con corpo tagliente dei due rilevati differenti momenti lesivi.
Tali profili, rimarcati come dimostrativi della non coerenza della scelta interpretativa dei Giudici del merito di ritenere che la condotta del ricorrente sia stata teleologicamente diretta verso la morte della vittima, sono funzionali, posta l’ammessa volontarietà dell’azione del medesimo volta a percuotere e a ferire, alla tesi difensiva che la morte della vittima abbia costituito un evento non voluto e il reato debba essere qualificato ai sensi dell’art. 584 cod. pen..
2.1. L’infondatezza delle mosse censure consegue al rilievo che la valutazione organica delle risultanze processuali, che si assume illogica e manchevole, quanto alla qualificazione del reato, e formalmente contrastante con le regole inferenziali, di cui all’art. 192 cod. proc. pen., preposte alla formazione del convincimento del giudice, è stata correttamente ed esaustivamente condotta nel giudizio di merito secondo un iter logico-argomentativo che, coerente in diritto ai principi costantemente affermati da questa Corte e non incongruo ai dati fattuali disponibili e utilizzati, ha fornito una persuasiva disamina della vicenda, dando conto delle linee interpretative seguite e rappresentando le ragioni significative della decisione adottata a fronte del compiuto vaglio delle deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello.
La Corte di merito, infatti, procedendo dalla preliminare analisi della tesi difensiva posta a fondamento della chiesta riconduzione del fatto/reato, ascritto all’imputato quale omicidio volontario, nella cornice dell’art. 584 cod. pen., ha ritenuto non fondata tale tesi, escludendo, in continuità argomentativa con la decisione del G.u.p., la configurabilità nel caso di specie di un omicidio preterintenzionale.
2.2. Richiamato il condiviso orientamento di legittimità sul tema dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale, costituito – nel rispetto dei principi di imputabilità del reato e della corretta interpretazione degli artt. 43 e 584 cod. pen. e in coerenza con la ratio dell’istituto – dal dolo di percosse o lesioni, assorbendo la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato (Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, dep. 15/10/2012, P.C. in proc. Perini e altri, Rv. 253357), la Corte ha rimarcato che l’intento diretto a percuotere la vittima o a causarle solo lesioni (sì che l’evento morte, pur legato da nesso di causalità alla condotta dell’agente, non sia voluto), deve essere accertato, quando la lesione, che lo ha prodotto, sia stata arrecata per mezzo di oggetto atto a produrlo, avendo essenziale riguardo al tipo di oggetto utilizzato, alla reiterazione eventuale e alla direzione della condotta lesiva, alla parte corporea sede di organi vitali avuta di mira e/o concretamente attinta.
Tale percorso metodologico è del tutto coerente con la costante affermazione di questa Corte, che rimette l’accertamento dell’elemento psicologico in cui risiede il criterio distintivo tra l’omicidio volontario (in cui la volontà dell’agente è costituita dall’animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale) e l’omicidio preterintenzionale (in cui la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, che si determina per fattori esterni) alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (tra le altre, Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, dep. 21/09/2007, Zheng, Rv. 237685; Sez. 1, n. 30304 del 30/06/2009, dep. 21/07/2009, Montagnoli, Rv. 244743; Sez. 1, n. 40202 del 13/10/2010, dep. 15/11/2010, Gesuito, Rv. 248438; Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011, dep. 05/10/2011, S. e altri, Rv. 250935), e demanda al giudice di attenersi – al fine di valutare l’esistenza del dolo omicidiario e di verificare se l’evento sia stato escluso o sia stato visto dall’agente come possibile, come probabile o come certa conseguenza diretta della sua azione – a una indagine sintomatica, e cioè agli elementi fattuali indicativi all’esterno della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima secondo le regole di esperienza e l’id quod plerumque accidit (tra le altre, Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, non massimata sul punto; Sez. 1, n. 13596 del 28/09/2011, dep. 12/04/2012, Corodda, non massimata sul punto), quali, in via esemplificativa, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi (Sez. 1, n. 15023 del 14/02/2006, dep. 02/05/2006, Piras, Rv. 234129, che espressamente riconduce l’omicidio ai reati a forma libera, intesi come fattispecie casualmente orientate), e ancora la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscono l’azione cruenta (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, dep. 16/07/2007, Marin, Rv. 237177), e ulteriormente la micidialità del mezzo usato, la reiterazione delle lesività, la mancanza di motivazioni alternative dell’azione (Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 05/02/2009, De Montis, Rv. 243370).
2.3. Nella svolta disamina secondo l’indicato percorso, la Corte di merito, che ha anche ritenuto prive di rilievo ai fini della decisione le ripercorse considerazioni espresse dalla difesa in ordine alla condizione psicofisica dell’imputato e della vittima al momento del fatto, e ha escluso che le richiamate e illustrate dichiarazioni dei testimoni avessero offerto elementi di supporto alla tesi difensiva, ha apprezzato la correttezza delle argomentazione del G.u.p., che aveva individuato il dolo omicidiario diretto escludente la preterintenzionalità, inducendolo da fatti certi, specificatamente indicati (ripetitività dei colpi, loro direzione, violenza crescente con cui sono stati inferti, forza impressa a quello mortale, capacità lesiva del mezzo usato, maggiore di quella di un normale coltello).
La Corte, soffermandosi, poi, sulla questione della reiterazione e della direzione dei colpi inferti con il coccio della bottiglia di vetro rotta al momento, ha motivatamente illustrato gli esiti lesivi individuati dalla consulenza medicolegale in sede latero-cervicale sinistra e nella zona iliaca sinistra, e ha criticamente ripercorso le deduzioni difensive afferenti all’azione lesiva che aveva interessato la regione cervicale antero-laterale, dando circostanziate e ragionevoli risposte, anche sulla base della stessa fotografia richiamata dalla difesa, a conforto della sua tesi, e degli esiti della consulenza medico-legale.
Né la Corte ha prescisso dall’avvertire che anche l’ipotesi della unicità dell’azione lesiva all’origine delle lesioni al collo della vittima, che sarebbe stata comunque in rapporto di continenza con la contestazione originaria, non incideva sulla valutazione relativa alla sussistenza del delitto così come qualificato, considerate le modalità e le caratteristiche dell’azione posta in essere dall’imputato (in particolare “la predisposizione di un mezzo di immediata e certa lesività, ottenuto frantumando la bottiglia” e “l’aver attinto il C. , oltre che in sede addominale sinistra, al collo, in una zona notoriamente vulnerabile e vitale”), deponenti conclusivamente per la certa conferma del dolo diretto del ricorrente sotto la forma del dolo alternativo.
2.4. In tale articolato contesto, ancorato alle risultanze ragionate delle evidenze disponibili ed esente da vizi logici e giuridici, non possono trovare accoglimento le già sintetizzate censure difensive, che, dissentendo dall’articolato ragionamento probatorio svolto e senza correlarsi con i suoi esaustivi passaggi motivi, oppongono infondate deduzioni di dissenso quanto alla completezza dell’analisi svolta e alla coerenza delle ragioni della decisione rispetto agli elementi tecnici, fattuali e probatori utilizzati, e, con doglianze appuntate sul significato e sulla interpretazione di alcuni di detti elementi (come la ribadita unicità dell’azione lesiva, le espressioni del consulente medico-legale, la potenzialità lesiva del moncone della bottiglia di vetro), già oggetto di esplicito apprezzamento del loro contenuto e della loro non illogica coordinazione con gli altri dati disponibili, corrispondono anche agli esiti di un sovrapposto discorso giustificativo della decisione, non fondatamente proponibile in sede di legittimità.
3. È infondata anche la censura che attiene, nell’ambito dello stesso primo motivo, al trattamento sanzionatorio contestato sotto il profilo della omessa considerazione della condizione emotiva del ricorrente al momento del fatto in vista di una maggiore valorizzazione delle attenuanti generiche.
Si rileva in fatto che, rispetto alla decisione di primo grado, che aveva concesso all’imputato le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, riducendo nel calcolo intermedio la pena da anni diciotto ad anni quindici di reclusione, la Corte di appello, ulteriormente valorizzando l’incidenza di dette attenuanti in considerazione delle emergenze della relazione USSM circa la buona condotta dell’appellante, dallo stesso rappresentata con i motivi di appello, ha ridotto nel calcolo intermedio la pena da anni diciotto ad anni tredici e mesi sei di reclusione.
Tale valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, congruamente e logicamente esercitato, si sottrae alle deduzioni svolte, che infondatamente oppongono l’omessa considerazione della condizione del ricorrente sul piano emotivo, che, non prospettata alla Corte del gravame ai fini ora invocati, non può costituire ragione di censura della decisione che non l’ha presa in esame.
4. Alla luce delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso non segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in base al disposto di cui all’art. 29 d.lgs. 28 luglio 2009, n. 272, che esclude la condanna alle spese per i minori di anni diciotto all’epoca del fatto (tra le altre, Sez. 1, n. 48166 del 26/11/2008, dep. 24/12/2008, P., Rv. 242438; Sez. 1, n. 16674 del 10/12/2010, dep. 29/04/2011, V.C., non massimata; Sez. 1, n. 1898 del 30/06/2011, dep. 18/01/2012, I., Rv. 252179, non massimata sul punto).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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