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Abbonamenti telefonici e tributi, tutto alle SS. UU.

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Abbonamenti telefonici e tributi. Tutto alle Sezioni Unite
Cassazione Civile ordinanza n. 12056 del 17 maggio 2013

La Suprema Corte di Cassazione, in materia di tributi relativamente agli abbonamenti telefonici, (soprattutto riguardo ai cellulari), secondo quanto si legge nella sentenza che di seguito si riporta, afferma che “non trova disciplina nelle norme sulle “stazioni radioelettriche” ovvero, in base a quanto emerge dal punto 7 della sentenza, la Corte definisce la questione oggetto d’analisi rilevando “che la indicata soluzione della controversia si pone in insanabile contrasto con il precedente di questa stessa Sezione tributaria richiamato al paragrafo 3 della motivazione, e che la questione di diritto da risolvere appare di particolare importanza in considerazione del rilevante interesse economico per le entrate tributarie dello Stato, appare necessario investire della questione il Primo presidente per le valutazioni di competenza in ordine alla opportunità che sul ricorso pronuncino le Sezioni Unite della Corte di cassazione“.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 3826/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI Omissis in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SANTAMAURA 49, presso lo studio dell’avvocato Omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato Omissis giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 14/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2012 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato Omissis che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato Omissis che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 14.10.2011 n. 116 la Commissione tributaria della regione Veneto ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio di Belluno della Agenzia delle Entrate e dichiarato obbligata l’Amministrazione finanziaria a rimborsare al Comune di Omissis le somme dallo stesso indebitamente versate per gli anni 2006-2008 a titolo di tassa sulle concessioni governative ai sensi dell’art. 21 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972.

I Giudici di appello ritenevano insussistente il presupposto impositivo individuato nel “contratto di abbonamento sostitutivo della licenza” stipulato dall’utente con il gestore erogatore del servizio radiomobile pubblico di terrestre di comunicazione, in quanto:

– la norma del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che originariamente prevedeva tale equiparazione ed al quale si riferiva l’art. 21 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, era stata espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218;

– in ogni caso l’art. 21 Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, doveva ritenersi implicitamente abrogato dalla nuova normativa introdotta dal D.Lgs. n. 259 del 2003, Codice delle comunicazione che aveva ridisciplinato la intera materia dei servizi di comunicazioni, dovendo altresì escludersi una reviviscenza del predetto art. 21 Tariffa determinata dalla L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) che aveva integrato tale disposizione estendendo la esenzione dalla tassa anche ai non udenti;

– la applicazione della tassa in questione nei confronti dei Comuni verrebbe a confliggere con il principio di equiordinazione degli enti istituzionali nei quali si articola la Repubblica, come stabilito dall’art. 114 Cost., non potendosi operarsi discriminazioni ai fini dell’assoggettamento al tributo tra le Amministrazioni statali e gli enti pubblici locali, tenuto conto da un lato, che il TUIR esenta i Comuni dalla imposta sui redditi, e che entrambe le figure soggettive in questione vengono ricondotte dal D.Lgs. n. 165 del 2001, nella categoria delle Amministrazioni pubbliche.

2.1 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia della Entrate deducendo con due mezzi di impugnazione:

– violazione o falsa applicazione dell’art. 21 Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, D.M. 13 febbraio 1990, n. 33,artt. 2 e 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 202, D.P.R. n. 641 del 1972, art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 203, D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 25 e 160: la modifica introdotta dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) dell’originario “regime concessorio” nel nuovo “sistema autorizzatorio” non avrebbe inciso in alcun modo sul presupposto impositivo che deve essere rinvenuto nel “contratto di abbonamento” con il gestore del servizio, come previsto dal D.M. 13 febbraio 1990, n. 33, art. 3, (recante “regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”) e dal D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 202, (recante “Provvedimenti urgenti per la finanza pubblica”), tenuto conto che il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160 (rubricato “Licenze di utilizzo”), ha sostanzialmente recepito il contenuto dell’abrogato D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318;

– violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 641 del 1972, artt. 1 e 13 bis, art. 21 Tariffa, art. 114 Cost.: non può darsi piena equiparazione dei Comuni allo Stato, con conseguente esenzione anche degli enti locali dalla tassa sulle concessioni governative, in quanto nello Stato, a differenza degli enti locali, vi è piena coincidenza tra titolarità della situazione giuridica soggettiva e potere di autorizzarne l’esercizio, con la conseguenza che nei confronti delle Amministrazioni statali non potrebbe verificarsi in nessun caso il presupposto impositivo, mentre per tutti gli altri enti pubblici la esenzione d’imposta può essere fondata soltanto su espressa previsione normativa (come nelle specifiche ipotesi contemplate dal D.P.R. n. 641 del 1972, art. 13 bis).

2.2 Ha resistito l’ente locale, notificando controricorso e depositando memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con i quali sostiene che la “telefonia mobile” non trova disciplina nelle norme sulle “stazioni radioelettriche” – ed in particolare nel D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160 – che concernono soltanto le attività specificamente indicate nel Titolo V del D.Lgs. n. 259 del 2003, (stazioni radioelettriche destinate ai servizi radioelettrici mobili marittimi ed aeronautici; stazioni radioelettriche a bordo di navi da pesca e da diporto), e prospettando la illegittimità costituzionale della norma istitutiva della tassa di concessione governativa per ingiustificato trattamento differenziato delle situazioni in cui versano gli utilizzatori del servizio radiomobile terrestre di conversazione, secondo che siano titolari di “contratto di abbonamento” (assoggettati a tassa) ovvero titolari di “scheda prepagata ricaricabile” (non assoggettati a tassa).

I precedenti della Corte.

3. In ordine alle medesime questioni si è pronunciata questa Corte con la recente sentenza della Sez. V in data 14.12.2012 n. 23052, ritenendo fondati i motivi di ricorsi dedotti dalla Agenzia delle Entrate sulla base delle ragioni in diritto che si vanno di seguito a riassumere:

– le tasse di concessione governativa sono disciplinate dal D.P.R. n. 641 del 1972, che all’art. 1 assoggetta alla tassa “i provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa”: in particolare l’art. 21 della Tariffa individua l’atto oggetto della tassa nella “Licenza o documento sostitutivo per l’impiego delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, ed D.L. 1 maggio 1973, n. 51, art. 3, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 202)”;

– il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, stabiliva che “Presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l’esercizio deve essere conservata l’apposita licenza rilasciata dalla Amministrazione delle poste e telecomunicazioni”: tale norma è stata reiterata nell’art. 160 del nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche;

– a seguito della entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003) il settore delle comunicazioni è stato privatizzato e la fornitura di servizi di comunicazione elettronica è stata qualificata come attività libera dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 3, comma 2, ma nel rispetto delle condizioni di legge, essendo tenuto il soggetto interessato allo svolgimento di tale attività a presentare dichiarazione di inizio della fornitura del servizio che è soggetto ad “autorizzazione generale” (dovendo essere verificata dalla Amministrazione statale la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge);

– dal quadro normativo “emerge che l’attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime autorizzatorio da parte della Pubblica amministrazione, con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio” e tanto consente di ritenere integrato il supposto d’imposta come originariamente considerato nella norma tariffaria, dovendo altresì ritenersi tuttora vigente la tassa in questione anche in considerazione della successiva modifica della nota all’art. 21 Tariffa disposta dalla Legge Finanziaria n. 244/2007 (che all’art. 1, comma 203, ha esteso il beneficio delle esenzione della tassa ai soggetti non udenti).

Motivi della decisione

4. Il Collegio non ritiene di aderire alla soluzione interpretativa fornita dal precedente richiamato, per le seguenti ragioni.

5. Occorre premettere che la voce tariffaria in questione ha per oggetto, secondo la previsione generale del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, art. 1, sulla disciplina delle tasse sulle concessioni governative (che assoggetta al tributo “i provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa”), la tassa di concessione governativa dovuta per la “licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”.

5.1 La tassa è stata introdotta dal D.L. 13 maggio 1991, n. 151, art. 3, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 202 (recante “Provvedimenti urgenti per la finanza pubblica”) che ha aggiunto alla Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, il numero d’ordine 131, specificando espressamente i referenti normativi del provvedimento di “licenza o documento sostitutivo” nel D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, e nel D.M. PP.TT. 13 febbraio 1990, n. 33, art. 3, e disponendo che l’importo, determinato in misura unica fissa in L. 25.000 per ogni mese di utenza, dovesse essere corrisposto “congiuntamente all’abbonamento”, in relazione al numero di mesi considerati in ciascuna bolletta (cfr. Nota 1 in calce al n. 131 Tariffa).

L’abbonamento in questione era quello che il singolo utente era tenuto a stipulare con l’ente che, al tempo, gestiva in concessione amministrativa (ai sensi del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 1, comma 1, art. 2, art. 3, comma 1, art. 183, comma 1) il “servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione” e che provvedeva alla assegnazione ed alla gestione del numero attributo alla apparecchiatura terminale acquistata dall’abbonato (in proprio o direttamente dalla società concessionaria), nonché al rilascio all’utente “del documento che attesta la sua condizione di abbonato al servizio” e che “sostituisce, a tutti gli effetti, la licenza di stazione radio”(cfr. D.M. PP.TT. n. 33 del 1990, artt. 1, 2 e 3 cit.).

La tassa ha successivamente trovato conferma nell’approvazione della nuova Tariffa (con il numero d’ordine 80) disposta con D.M. Finanze in data 20.8.1992, autorizzato con il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 10, conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359. La Tariffa è stata quindi modificata dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 61, conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427 che, in relazione al numero d’ordine n. 80, ha variato i referenti normativi inserendo, accanto al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, il D.L. n. 151 del 1991, art. 3, ed il D.M. PP.TT. 23 aprile 1993, (meramente integrativo del D.M. PP.TT. n. 33 del 1990) ed ha rideterminato, differenziandoli, gli importi della tassa, in lire 10.000 per le “utenze residenziali” ed in L. 25.000 per le “utenze affari”. La successiva Tariffa approvata con D.M. Finanze 28 dicembre 1995, autorizzato dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 146, ha modificato il numero d’ordine della tassa (ora n. 21) lasciando quali riferimenti normativi soltanto il predetto D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, ed il D.L. n. 151 del 1991. Il successivo D.M. Finanze 24.5.2005 non ha apportato modifiche, mentre con la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, si è provveduto a estendere la esenzione prevista dalla Nota 3, in calce alla voce tariffaria, a favore degli invalidi e non vedenti, anche ai non udenti.

5.2 Tanto premesso, in assenza di una specifica disciplina del servizio radiomobile pubblico terrestre contenuta nelle norme del D.P.R. n. 156 del 1973, risulta palese la ragione per cui “la licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione”, di cui al D.L. n. 151 del 1991, art. 3, conv. in L. n. 202 del 1991, sia stata – per obiettiva necessità- ricondotta dal Legislatore tributario alla previsione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, comma 1: dovendo, infatti, individuarsi la fonte legale della potestà amministrativa e dovendo conseguentemente essere inquadrato l’impiego di tali apparecchiature terminali tra le categorie generali di servizi di telecomunicazione del Testo Unico, la suddetta norma – contenuta tra le disposizioni di carattere generale dei servizi radioelettrici – era quella meglio deputata a corrispondere alla esigenza della individuazione dell’atto amministrativo da ricollegare alla tassa, rispondendo – sotto altro profilo – tale norma anche alla esigenza di non assoggettare al rilascio di uno specifico “provvedimento concessorio” anche il semplice impiego degli apparecchi terminali di telecomunicazione da parte degli utenti del “nuovo” servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (altrimenti ricompreso nel regime di riserva esclusiva dei servizi di telecomunicazione posta a favore dello Stato dal D.P.R. n. 156 del 1973), ritenendosi sufficiente, in considerazione della destinazione d’uso di tali apparecchi e della prevedibili diffusione generalizzata degli stessi, il rilascio della sola “licenza di esercizio”.

La norma di riferimento di cui al D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, Codice postale e delle telecomunicazioni (norma che prescriveva l’obbligo di conservazione, presso “ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l’esercizio”, della “apposita licenza” rilasciata dalla Amministrazione PP.TT. all’esercente la stazione radioelettrica, documento che poteva essere sostituito, in caso di stazioni riceventi del servizio di radiodiffusione dal “titolo di abbonamento”), infatti, era collocata nel TU sotto il Titolo IV “Dei Servizi Radioelettrici” (quali, secondo la definizione di legge: le radiodiffusioni; le trasmissioni, emissioni e ricezioni effettuate a mezzo di onde radioelettriche, con esclusione di quelle destinate ad integrare le reti telefoniche o telegrafiche ad uso pubblico: art. 314), ed in quanto disposizione di carattere generale trovava applicazione, tanto alle stazioni radioelettriche (definite come “uno o più trasmettitori o ricevitori od un complesso di trasmettitori e ricevitori, nonché gli apparecchi accessori necessari per effettuare un servizio di radiocomunicazione in un determinato punto”: art. 315) soggette a “concessione”, ai sensi del Capo II art. 322 (impianto ed esercizio di collegamenti in ponte radio ad uso privato), art. 330 (stazioni di radioamatore), art. 334 (stazioni di debole potenza), quanto a quelle per le quali era previsto l’obbligo di installazione (le stazioni radioelettriche a bordo delle navi mercantili, da pesca, da diporto, – alla cui installazione in caso di inerzia si provvedeva d’ufficio a spese del proprietario/detentore – che potevano essere esercitate mediante gestione diretta dagli armatori ovvero mediante apposita società concessionaria del servizio radiomobile di bordo: artt. 373, 374 e 379; nonché le stazioni radioelettriche a bordo di aeromobili) e che erano assoggettate, invece, soltanto al rilascio della “licenza di esercizio”.

L’inquadramento dell’impiego di apparecchi terminali nella disciplina delle stazioni radioelettriche del D.P.R. n. 156 del 1973 doveva, inoltre, essere integrato con le nuove disposizioni che – in conseguenza di convenzioni internazionali ed interventi degli organi comunitari – erano state adottate nello specifico settore dei servizi radiomobili di telecomunicazione, settore che aveva ricevuto soltanto in parte regolamentazione con il D.M. PP.TT. in data 13 febbraio 1990, n. 33, integrato dal D.M. in data 8 novembre 1993, n. 512, ed era stato tenuto distinto dalla disciplina regolamentare del servizio telefonico pubblico (D.M. PP.TT. in data 8 maggio 1997, n. 197).

Con il D.M. del 1990 che dettava le norme regolamentari del servizio radiomobile pubblico terrestre (servizio che “consente agli abbonati di svolgere conversazioni mediante l’impiego di apposite apparecchiature terminali, veicolari, portatili e estraibili, omologate dalla Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni secondo la disciplina in vigore”: art. 1 reg.), erano in particolare disciplinati gli obblighi ed i diritti che scaturivano dal contratto di abbonamento concluso con la società concessionaria del servizio (assegnazione e gestione del numero collegato all’apparecchio terminale; pagamento del canone in relazione alle tariffe ministeriali) e, con disposizione analoga a quella prevista dal T.U. n. 15 del 1973, art. 318, comma 2, per le stazioni riceventi del sevizio di radiodiffusione, veniva disposto che il documento attestante la qualità di abbonato, rilasciato dalla società concessionaria (id est il contratto di abbonamento), “sostituisce a tutti gli effetti la licenza di stazione radio” e “deve contenere gli estremi del tipo di apparato terminale e della relativa omologazione” (art. 3 reg.).

5.3 A tutte le indicate disposizioni normative si è inteso unitariamente riferire il Legislatore tributario, per la individuazione degli atti (“licenza o documento sostitutivo”) ai quali ricollegare il presupposto impositivo della voce tariffaria della tassa di concessione governativa, essendo indissolubilmente legato il “documento sostitutivo” al medesimo contenuto del provvedimento di “licenza di esercizio” rilasciato dalla Amministrazione delle PP.TT. (ora delle Comunicazioni).

Si rende pertanto necessario circoscrivere il campo di indagine alla verifica della sopravvivenza dell’originario provvedimento di licenza, indicato nel D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, (e del documento sostitutivo di tale provvedimento indicato nel D.M. n. 33 del 1990), dopo la riforma del settore dettata dal D.Lgs. n. 259 del 2003, con la quale è venuto meno il regime di esclusiva a favore dello Stato dei servizi di telecomunicazione.

5.4 Deve ritenersi palesemente infondata, al riguardo, la tesi difensiva della parte resistente, accolta dai Giudici di appello, secondo cui la abrogazione delD.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, disposta dal D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, comma 1, lett. q), (Codice delle comunicazioni elettroniche) che ha riformato il settore delle telecomunicazioni, avrebbe inciso, vanificandolo, sul presupposto impositivo della tassa.

Ed infatti se la originaria disciplina normativa è stata profondamente innovata dal predetto decreto legislativo per renderla compatibile con i principi del mercato comune, essendo stato sostituito il precedente regime di privativa legale regolato da provvedimenti concessori di pubblico servizio, con il nuovo regime di tipo autorizzatorio generale fondato sul principio generale della libera fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica (considerata attività di preminente interesse generale) e sul riconoscimento della garanzia dei diritti inderogabili all’uso dei mezzi di comunicazione, e dell’esercizio della iniziativa economica in regime di concorrenza sul mercato (D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 3), ed ancora se non vi è dubbio che, tanto in relazione alla attività, svolta dagli operatori del settore, ài fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico (art. 25), quanto alla attività di installazione ed esercizio di reti ed esercizio di reti o servizi di comunicazioni elettroniche ad uso privato (art. 107), quanto ancora all’impianto ed esercizio di stazioni radioelettriche richiedenti assegnazioni di frequenza (art. 126), alcun titolo amministrativo deve essere rilasciato, dalla Amministrazione pubblica, all’utente-consumatore il quale può utilizzare i servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico offerti sul mercato dagli operatori, limitandosi a concludere un contratto di diritto privato con il gestore della rete/fornitore del servizio, ebbene il venir meno del regime di privativa a favore dello Stato degli impianti e dei servizi di telecomunicazione non ha per ciò stesso privato la norma fiscale del suo oggetto, tenuto conto della integrale trasposizione, nel D.Lgs. n. 259 del 2003, art.160, delle medesime disposizioni del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, commi 1 e 2: sicchè alcuna soluzione di continuità si è verificata tra la abrogazione della precedente norma (disposta con l’art. 218, comma 1, lett. q), del medesimo decreto legislativo) e l’entrata in vigore della nuova, di contenuto dispositivo identico (salva la indispensabile sostituzione della “autorizzazione generale” all’originario riferimento alla “concessione”) quanto al previsto obbligo che tutte le stazioni radioelettriche siano munite di “licenza di esercizio” rilasciata dal Ministero, con la conseguenza che la indicazione esplicativa contenuta nella voce tariffaria deve intendersi ora riferita alla nuova norma del D.Lgs. n. 259 del 2003 (sostituito il Ministero dello Sviluppo Economico al Ministero delle Comunicazione che al primo è stato accorpato ex L. n. 244 del 2007): deve escludesi infatti che il riferimento della voce tariffaria al D.P.R. n. 156 del 1973,art. 318, integri, in difetto di elementi inequivoci che depongano in contrario, un rinvio meramente formale alla fonte normativa: il riferimento normativo, in quanto meramente esplicativo dell’oggetto della tassa – “licenza o documento sostitutivo della stessa per l’impiego di apparecchiature terminali…”-, assolve infatti ad una funzione meramente ricognitiva del provvedimento autorizzatorio – o documento sostitutivo – considerato ai fini della applicazione della tassa, risultando determinante in conseguenza, non la fonte-atto ma il contenuto precettivo della norma giuridica, richiamato dalla norma tributaria mediante rinvio materiale ricettizio. La competenza della Amministrazione statale al rilascio della “licenza di esercizio”, diversamente da quanto sostenuto dalle parti resistenti, non è affatto venuta meno a seguito dell’approvazione del D.Lgs. n. 259 del 2003, come è dato agevolmente desumere, oltre che dal citato art. 160 (collocato tra le disposizioni di carattere generale del Titolo IV “Impianti radioelettrici”), anche dalle altre disposizioni del decreto legislativo relative alla attività di fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico (art. 25co4, Titolo II, D.Lgs. n. 259 del 2003, secondo cui la “dichiarazione” che il soggetto interessato è tenuto a presentare, costituisce, dopo la verifica compiuta dal Ministero della sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, “titolo abilitativi)” all’esercizio della attività) ed alla attività di installazione ed esercizio delle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso privato (artt. 107col e 113, sotto il Titolo III al Capo I ed al Capo IV, D.Lgs. n. 259 del 2003: la dichiarazione delle specifiche tecniche che il soggetto interessato è tenuto a presentare al Ministero “tiene luogo della licenza di esercizio”; con riferimento alle stazioni radioelettriche che operino su frequenza assegnata l’art. 117 richiede un “apposito documento di esercizio rilasciato dal Ministero”).

La privatizzazione del settore delle telecomunicazioni non osta invero al mantenimento di un regime autorizzatorio. Occorre a tal fine tenere nettamente distinti i poteri amministrativi che trovavano titolo nella riserva esclusiva di attività (il diritto alla installazione ed esercizio dei servizi di telecomunicazione era oggetto di riserva originaria allo Stato) da quelli inerenti invece ad esigenze connesse alla tutela di interessi pubblici non riconducibili a detto regime di appartenenza, sicchè il venir meno, in conseguenza della riforma del D.Lgs. n. 259 del 2003, della norma attributiva del potere di adottare “provvedimenti di concessione di servizio” non comporta automaticamente anche la abrogazione delle norme che attribuiscono “poteri amministrativi di natura autorizzazione” (nella variegata tipologia che possono assumere gli stessi: permessi, nulla osta, autorizzazione, licenze) o certificativa (in esito a controlli o verifiche di conformità: omologazioni, approvazioni tecniche, certificazioni di qualità, ecc), come è dato indirettamente desumere anche dalla disposizione del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 1 comma 1, lett. p), che nella definizione di “libero uso” ricomprende “la facoltà di utilizzo di dispositivi od apparecchiature terminali di comunicazione elettronica senza necessità di autorizzazione generale” (ovvero senza necessità del provvedimento che ha sostituito la originaria concessione amministrativa), dovendo ritenersi, “a contrario”, che tale utilizzo non sia necessariamente esente anche da qualsiasi altro provvedimento di tipo autorizzativo.

L’indagine deve, pertanto, essere indirizzata alla individuazione del provvedimento di tipo autorizzatorio cui, ancora oggi, è eventualmente subordinato l’impiego delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico di comunicazione terrestre.

5.5 Il dato formale della pedissequa riproduzione delle disposizioni del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, nel testo del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160, non esaurisce tuttavia l’ambito della indagine che la Corte è chiamata a svolgere sul presupposto impositivo in quanto, se da un lato il Codice delle comunicazioni elettroniche sembra tralatiziamente riprodurre la stessa definizione di “stazione radioelettrica” contenuta nel vecchio TU del 1973 (cfr. D.Lgs. n. 259 del 2003,art. 1 comma 1 lett. nn). La distinta nozione di “apparato radio elettrico” – definito come “trasmettitore, ricevitore, ricetrasmettitore destinato ad essere applicato in una stazione radioelettrica” -, contenuta nel medesimo D.Lgs. n. 259 del 2003 non sembra porre difficoltà interpretative atteso che l’art. 1, comma 1, lett. c), precisa che “l’apparato radioelettrico può coincidere con la stazione stessa”), dall’altro non può prescindersi dalla verifica dell’attuale contenuto e funzione della predetta “licenza di esercizio”, in considerazione della complessa e separata vicenda normativa che ha avuto ad oggetto le “apparecchiature terminali di telecomunicazione” e che trova riscontro nello stesso D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2, comma 2, lett. b), secondo cui “non formano oggetto del Codice le disposizioni in materia di:… b) apparecchiature contemplate dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 1999, fatte salve le apparecchiature utilizzate dagli utenti della televisione digitale…” (dove le “apparecchiature” espressamente escluse dalla disciplina dettata dalle disposizioni del D.Lgs. n. 259 del 2003, altro non sono che le “apparecchiature terminali di telecomunicazione” predette).

5.6 La questione concerne la attuale demarcazione tra l’oggetto della “licenza di esercizio” D.Lgs. n. 259 del 2003, ex art. 160, comma 1, e l’oggetto invece delle “misure di controllo”, richieste per esigenze di omologazione delle apparecchiature terminali di telecomunicazione, in quanto ritenute “misure indispensabili per lo sviluppo di un mercato dei terminali competitivo di dimensioni comunitarie”, essendo richiesta a tali fine la prescrizione di requisiti essenziali e specifiche tecniche comuni volte a conformare le caratteristiche di tali apparecchi in relazione a standards di qualità, di efficienza delle prestazioni e di sicurezza (cfr. terzo considerando direttiva 91/263/CE del Consiglio in data 29.4.1991, attuata con D.Lgs. 12 novembre 1996, n. 614, sostituita dalla direttiva n. 98/13/CE del Parlamento e del Consiglio del 12.2.1998, relativa anche alle comunicazioni via satellite, abrogata e sostituita dalla direttiva 1999/5/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9.3.1999, attuata con D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269, e succ. mod.).

La direttiva comunitaria 1999/5 CE del 9.3.1999, che “istituisce un quadro normativo per l’immissione sul mercato, la libera circolazione e la messa in servizio nella Comunità delle apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di comunicazione” (art. 1 paragr. 1), ha in particolare distinto gli apparecchi in “apparecchiature terminali di telecomunicazione” (definite come “prodotto che consente la comunicazione o un suo componente essenziale, destinato ad essere connesso in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, ad interfacce di reti pubbliche di telecomunicazione, cioè a reti di telecomunicazione utilizzate, interamente o parzialmente, per fornire servizi di telecomunicazione accessibili al pubblicò”: D.Lgs. n. 269 del 2001, art. 1, comma 1, lett. b) ed in “apparecchiature radio” (prodotto o suo componente essenziale in grado di comunicare mediante la emissione ovvero al ricezione di onde radio, impiegando lo spettro attribuito alle radiocomunicazioni di Terra e spaziali: art. 1, comma 1, lett. c), prescrivendo i requisiti essenziali volti a garantire la sicurezza e la salute dell’utente, la protezione elettromagnetica e, per quanto interessa gli apparecchi terminali di telecomunicazione, anche le caratteristiche costruttive necessarie ad interagire tramite reti con altri apparecchi ed a realizzare collegamenti ad interfacce di tipo appropriato, nonchè a non danneggiare la rete o il suo funzionamento ed a non consentire un uso improprio della risorse di rete tale da determinare un deterioramento del servizio (D.Lgs. n. 269 del 2001, art.3).

La normativa comunitaria e quella statale di attuazione, contemplano espressamente il potere degli Stati membri di vigilare e controllare che gli apparecchi immessi sul mercato o messi in servizio per lo scopo cui sono destinati, siano conformi ai requisiti essenziali ed alle specifiche tecniche prescritti dalla stessa direttiva e dalle norme tecniche armonizzate (cfr. artt. 6 e 7 direttiva) fatto salvo il principio di libera circolazione degli apparecchi recanti la marcatura CE “che ne indica la conformità con tutte le disposizioni della presente direttiva” (cfr. art. 8 paragr. 1) e che viene apposta sotto la responsabilità del fabbricante o del suo rappresentante (cfr. art. 12 direttiva).

Vengono mantenuti, in ogni caso, agli Stati membri i poteri repressivi (divieto di immissione sul mercato, messa in servizio o circolazione; ritiro del prodotto dal mercato) conseguenti all’accertamento di non conformità del prodotto ai requisiti essenziali, con obbligo di immediata notifica del provvedimento adottato alla Commissione competente a valutare in contraddittorio la legittimità della misura repressiva applicata (cfr. “clausola di salvaguardia”, art. 9 direttiva), e viene riservato allo Stato membro il potere di autorizzare il gestore del servizio – nel caso in cui l’apparecchio, pur dichiarato conforme alla direttiva, provochi seri danni o disturbi alla rete od interferenze radio dannose – a rifiutare od interrompere il collegamento dell’utente – consumatore alla rete ovvero di ritirare (in caso di noleggio o comodato) l’apparecchio dal servizio (cfr. art. 7 paragr. 4 direttiva: anche in questo caso è previsto un procedimento avanti la Commissione per la verifica e risoluzione delle problematiche tecniche evidenziate dallo Stato membro).

5.7 La digressione normativa si è resa necessaria per valutare se, con riferimento agli apparecchi terminali di telecomunicazione pubblica terrestre, l’interesse pubblico cui provvedeva la originaria “licenza di esercizio”, prevista dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, e quindi dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art.160, abbia ancora – in conseguenza della descritta separata evoluzione della normativa sui “telefonini” – un proprio ambito ovvero debba ritenersi del tutto coincidente con l’interesse pubblico cui provvede la disciplina delle “attività di controllo” prevista dagli artt. 6, 7 e 9 della direttiva n. 5/1999 (ed alle corrispondenti norme di recepimento della direttiva: D.Lgs. n. 269 del 2001, artt. 6 e 7, e art. 9, comma 7). Qualora, infatti, si dovesse ritenere che gli apparecchi terminali di telecomunicazioni siano stati sottratti alla disciplina dei “servizi radioelettrici”, in virtù del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2, comma 2, lett. b), (“Non formano oggetto del Codice le disposizioni in materia di……apparecchiature contemplate dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE… “), e che l’interesse pubblico sotteso alla originaria licenza di esercizio coincide con quello considerato dalle norme comunitarie che disciplinano la attività di controllo degli Stati membri, allora, per ritenere tuttora operante il presupposto impositivo del tassa di concessione governativa, dovrebbe preliminarmente essere accertata la compatibilità della “licenza di esercizio” con la disciplina comunitaria dei controlli, al fine di verificare se l’originario riferimento, contenuto dalla voce tariffaria, alle disposizioni comuni alle “stazioni radioelettriche” – in quanto, al tempo, ritenute applicabili anche alle apparecchiature terminali di comunicazioni – e dunque al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che tale licenza prevede, debba attualmente intendersi riferito – a seguito della nuova disciplina normativa che ha enucleato tali apparecchi terminali dalle altre stazioni radioelettriche -, alle nuove norme comunitarie ed a quelle statali di recepimento che pur sempre quel “medesimo potere amministrativo” prevedono.

6. Ritiene il Collegio che non vi sia corrispondenza tra le norme comunitarie sopra indicate e le norme dei Testi Unici del 1976 (art. 318) e del 2003 (art. 160).

6.1 Entrambi i Testi Unici del 1973 e del 2003 non forniscono una definizione del contenuto del provvedimento di “licenza di esercizio” il cui ambito applicativo riesce tanto più di difficile individuazione in presenza di regimi che già richiedono un titolo amministrativo di legittimazione all’esercizio del diritto, rispettivamente, l’assenso di un “provvedimento concessorio” ed il rilascio di una “autorizzazione generale”.

La generica nozione giuridica di “licenza amministrativa” quale provvedimento – riconducibile nella generale categoria delle autorizzazioni amministrative- volto alla verifica/controllo preventivo di determinati presupposti o requisiti, non è sufficiente a fornire una giustificazione soddisfacente.

Occorre quindi prendere in esame le singole norme che prevedono tale provvedimento e verificare se è possibile individuarne l’oggetto.

Nel TU del 1973 le norme che richiamano tale provvedimento sono il ripetuto art. 318 (che dispone soltanto l’obbligo di conservazione di tale licenza di esercizio presso tutte le stazioni radioelettriche, senza quindi disvelarne la ratio), l’art. 373, u.c., (relativo all’impianto ed esercizio delle stazioni radioelettriche a bordo delle navi, non riservato con apposito contratto a società concessionarie: la norma dispone che “la concessione è accordata all’armatore mediante rilascio della licenza di esercizio”: in tal caso la licenza non diverge, quanto agli effetti giuridici, dalla concessione), l’art. 378 (che estende le norme relative ai collaudi ed alle ispezioni tecniche degli impianti a bordo di navi mercantili, al rilascio di licenze di esercizio di impianti a bordo di navi da pesca: in tal senso la norma sembra ricollegare la licenza al controllo tecnico positivo dell’impianto radioelettrico), gli artt. 387 – 394 (che prevedono 1-l’obbligo del rilascio di licenza di esercizio per le stazioni installate a bordo di aeromobili; 2 – la revoca o sospensione della licenza in caso di radiazione del velivolo dal registro aeronautico, ovvero in caso “la stazione non risponda alle condizioni contenute nella licenza stessa”; 3 – il divieto di involo per i velivoli sprovvisti di licenza di esercizio: anche in questo caso la licenza è collegata ad un preventivo accertamento dei requisiti tecnici), gli artt. 393 e 395 (il primo, specifica che “la licenza di esercizio…abilita le stazioni…ad effettuare solo le comunicazioni riguardanti la sicurezza e la regolarità del volo”, mentre il secondo dispone che “le stazioni radioelettriche installate a bordo di aeromobili civili non possono effettuare traffico di corrispondenza pubblica senza aver ottenuto apposita concessione”: in questo caso la differenza tra i due provvedimenti sembra da ricercarsi nello scopo della comunicazione, se effettuata per ragioni di necessità e di sicurezza non viene i questione il regime di appartenenza originario allo Stato e l’attività può essere esercitata su mera licenza).

Nel testo del nuovo TU del 2003 risulta sostanzialmente riprodotta la previgente disciplina di tipo autorizzatorio, mentre al provvedimento di concessione viene a sostituirsi il provvedimento di “autorizzazione generale”: l’art. art. 107, comma 1, dispone che per ottenere la autorizzazione generale il soggetto interessato deve presentare al Ministero “una dichiarazione di impegno ad osservare specifici obblighi… nonché il rispetto delle norme di sicurezza, di protezione ambientale, di salute della popolazione ed urbanistiche”, e l’art. 113 col stabilisce che tale dichiarazione “tiene luogo della licenza di esercizio”. Il medesimo art. 107, comma 7, dispone che per la stazioni radioelettriche a bordo di navi ed aeromobili l’interessato, sulla scorta del verbale di collaudo se prescritto (cfr. artt. 183, 189 e 194), richiede al Ministero la “licenza di esercizio” e “questa tiene luogo della autorizzazione generale”. Del tutto analoga alla disciplina del precedente TU del 1973 è poi quella dettata dal D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 201 e 206, per le stazioni radioelettriche installate a bordo di aeromobili.

6.2 Entrambi i Testi unici prevedono inoltre, con disposizioni sostanzialmente identiche, che rutti gli impianti – in concessione;

autorizzati – “devono rispondere alle norme tecniche vigenti in materia” ed essere costituiti da apparecchiature “omologate o autorizzate dalla Amministrazione delle PP.TT.” (D.P.R. n. 156 del 1973, art. 319) ovvero da apparecchiature “rispondenti alle vigenti norme” (D.Lgs. n. 259 del 2003, art.161). Analoghe disposizioni concernono il divieto di immettere od importare a fini di commercio, usare ed esercitare apparati od impianti non rispondenti alle norme stabilite per la prevenzione per la eliminazione di disturbi alle radiotrasmissioni e radioricezioni: l’immissione in commercio di tali materiali è subordinata al rilascio di una “certificazione” o di una “dichiarazione di rispondenza” (T.U. n. 176 del 1973, art. 398;

D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 210, che fa espressamente salvo quanto previsto dal D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269 cit.).

6.3 Dalla disamina delle norme richiamate emerge quanto segue:

– sia nel previgente D.P.R. n. 156 del 1973, che nel successivo D.Lgs. n. 259 del 2003, la licenza di esercizio, tanto nel caso di esercizio di stazioni radioelettriche in concessione/autorizzazione generale, quanto nel caso di obbligo legale di installazione ed esercizio di stazioni radioelettriche (a bordo di navi ed aeromobili), sembra assolvere alla medesima funzione di controllo tecnico preventivo avendo ad oggetto: 1 – la identificazione del tipo di apparato/stazione; 2 – la corrispondenza dell’apparato/stazione alle specifiche tecniche necessarie ed evitare disturbi od interferenze dannose alle radiotrasmissioni e ricezioni. Tale funzione di controllo tecnico non è venuta meno a seguito della liberalizzazione, che ha riguardato nel suo contenuto innovativo esclusivamente il regime di appartenenza del diritto di esercizio dei servizi di telecomunicazione, non più riservati originariamente in via esclusiva allo Stato. E’ vero che in taluni casi – D.P.R. n. 156 del 1973, art. 373, ed D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 107 – è stabilito che la licenza di esercizio sostituisce la concessione/autorizzazione generale, ma si tratta di ipotesi del tutto eccezionali, che accomunano i due provvedimenti (licenza e concessione/autorizzazione generale) soltanto “quoad effectum” e non fanno venire meno la differente funzione svolta dagli atti amministrativi in relazione al rispettivo oggetto, in quanto la concessione/autorizzazione generale ha per oggetto l’esercizio del servizio di telecomunicazione e la fornitura di reti di comunicazione – come emerge in modo inequivoco dal contenuto della dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25, comma 4, ed All. 9 che l’interessato deve presentare al Ministero per conseguire la autorizzazione generale, nonchè dalle condizioni alle quali può essere assoggettato il rilascio di detta autorizzazione ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 28 e 33, ed All. 1 Parte A, B e C-, mentre la licenza di esercizio implica una verifica – eventualmente a seguito di collaudo – della conformità tecnica della stazione/impianto radioelettrico (c.d. omologazione).

– il regolamento di cui al D.M. PP.TT. n. 33 del 1990 all’art. 1 – con espresso riferimento alle apparecchiature terminali di telecomunicazione – prevedeva l’utilizzo di apparecchi “omologati” dalla Amministrazione PP.TT.: di tale “omologazione” l’allora concessionario esclusivo del servizio radiomobile pubblico terrestre era tenuto a dare indicazione, unitamente alla identificazione del tipo di apparecchio terminale, nel contratto di abbonamento stipulato con l’utente (che teneva luogo della licenza di esercizio: art. 3).

Il regolamento sembra quindi ricondurre la “licenza di esercizio” proprio alla verifica ed “omologazione” tecnica della stazione radioelettrica. Non è dato, peraltro, individuare nel sistema normativo dei Testi Unici in esame un ambito di operatività della licenza di esercizio diverso da quello della verifica di conformità tecnica della stazione radioelettrica, intesa come impianto/apparecchiatura: la licenza di esercizio, infatti, viene rilasciata a seguito di dichiarazione di conformità alle norme tecniche ovvero in esito a collaudo dell’impianto, entrambi indirizzati al predetto accertamento di compatibilità tecnica dell’apparecchio alle caratteristiche ed ai requisiti previsti dalle norme tecniche T.U. del 1973, ex artt. 319 e 398, e D.Lgs. n. 259 del 2003, ex artt. 161 e 210;

– le specifiche tecniche ed i “requisiti essenziali” degli apparecchi terminali di telecomunicazione (e degli apparecchi radio) hanno ricevuto, successivamente, autonoma disciplina con le direttive comunitarie recepite negli ordinamenti degli Stati membri (attualmente: direttiva CE n. 5/1999 e D.Lgs. n. 269 del 2001): in particolare si è inteso provvedere a regolare lo specifico settore della “produzione, commercio ed uso delle apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di comunicazione” (direttiva n. 5/1999, ottavo considerando) in funzione del duplice scopo di obbligare i fabbricanti a costruire terminali “in modo da impedire che le reti subiscano danni” tali da determinare un “deterioramento del servizio” di comunicazione, e di condizionare i gestori di reti a costruire tali reti in modo da non obbligare i fabbricanti di terminali ad adottare misure tecniche sproporzionate per prevenire i predetti danni (direttiva n. 5/1999, ventunesimo considerando). Le norme tecniche che prescrivono i requisiti essenziali funzionali e strutturali degli apparecchi in questione (cfr. D.Lgs. n. 269 del 2001, art. 3, commi 1 e 2: le caratteristiche strutturali del prodotto costituiscono oggetto di progressiva elaborazione da parte della Commissione che si avvale del Comitato di regolamentazione istituito dall’art. 13 direttiva) vengono ad esplicitare proprio quelle prescrizioni tecniche alle quali già facevano riferimento in materia di stazioni radioelettriche i Testi Unici. Ne consegue che la disciplina dettata dalla direttiva n. 5/1999 viene logicamente a porsi in rapporto di specialità (e non di concorrenza) con quella di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 161 e 210, con l’ulteriore corollario che anche le disposizioni del sistema dei controlli di conformità tecnica previsti dalla direttiva comunitaria richiamata debbono ritenersi speciali rispetto a quelli generali contemplati dal nuovo Codice delle comunicazioni: tale conclusione trova pieno fondamento normativo negli D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 2, comma 2, lett. b) e art. 210, comma 1, (che espressamente escludono gli “apparecchi terminali di comunicazione” e gli apparecchi radio dall’ambito di applicazione delle norme del nuovo Codice), nonchè, corrispondentemente, nel D.Lgs. 9 maggio 2001, n. 269, artt. 2, comma 4, e art. 17, comma 2, di attuazione della direttiva n. 5/1999 (che esclude espressamente l’applicazione agli “apparecchi terminali” delle norme tecniche di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 398) che vengono esplicitamente a sottrarre alla disciplina tecnica degli “apparecchi terminali” dettata dalla direttiva tutti quegli altri impianti radioelettrici, assoggettati alla licenza di esercizio ex art. 160, che trovano disciplina nel Titolo V del nuovo Codice delle comunicazioni, quali: gli impianti utilizzati per il servizio di radioamatore, gli impianti in dotazione all’equipaggiamento marittimo od aeronautico, gli impianti utilizzati per la gestione del traffico aereo, gli apparecchi solo riceventi del servizio di radiodiffusione sonora o televisiva (cfr. All. I, punto 1, lett. a – f, del D.Lgs. n. 269 del 2001).

6.4 Tanto premesso, venendo a trarre le fila del ragionamento fino ad ora svolto, ritiene il Collegio che il sistema delineato dalla normativa comunitaria in materia di “apparecchi terminali di comunicazione e radio” non possa essere ricondotto nell’ambito della disciplina generale prevista per gli “impianti radioelettrici” dal D.Lgs. n. 259 del 2003, dovendo conseguentemente escludersi una identità formale e sostanziale del potere autorizzatorio (rilascio della “licenza di esercizio”) attribuito al Ministero dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160, in relazione alle “stazioni radiolettriche” e dei poteri di vigilanza e di controllo in funzione di omologazione e verifica di rispondenza a requisiti tecnici degli “apparecchi terminali” attribuiti al Ministero dalla direttiva comunitaria e dal D.Lgs. n. 269 del 2001.

Le norme “speciali” comunitarie in materia di apparecchi terminali di comunicazione affermano, infatti, il “principio di libera circolazione degli apparecchi” (art. 8 direttiva) e non prevedono un intervento preventivo di tipo autorizzatorio della Amministrazione pubblica in ordine all’impiego dell’apparecchio terminale da parte dell’utente finale, gravando, invece, esclusivamente sul “fabbricante o suo mandatario” l’obbligo di immettere sul mercato dispositivi conformi ai requisiti essenziali e tecnici prescritti dalle norme comunitarie, previa esecuzione delle prove tecniche indicate da uno degli “organismi notificati” designati dal Ministero (art. 12 ed all. VI D.Lgs. n. 269 del 2001). Tali organismi si limitano a fornire un mero “parere” che non impedisce la libera commerciabilità del prodotto che rimane subordinata esclusivamente alla “dichiarazione scritta di conformità”, sottoscritta dal fabbricante (e che questi ha l’onere di conservare per consentire i successivi eventuali controlli), cui deve essere allegata la documentazione tecnica descrittiva delle caratteristiche del prodotto e la documentazione relativa ai risultati delle prove tecniche eseguite (c.d. “- fascicolo tecnico di fabbricazione”: art. 1, comma 1, lett. g, all. II, II e IV del D.Lgs. n. 269 del 2001) nonchè alla apposizione, sotto la responsabilità dello stesso fabbricante (art. 13, id.), della marcatura “CE” sull’apparecchio posto in vendita (art. 8; all. II, id.): il sistema di liberalizzazione della immissione sul mercato e della utilizzazione delle apparecchiature terminali di comunicazione si compendia nell’obbligo prescritto a carico del fabbricante (o della persona responsabile della immissione sul mercato) di “fornire all’utente le informazioni sull’uso a cui l’apparecchio è destinato, unitamente alla dichiarazione di conformità ai requisiti essenziali mediante marcature apposte sull’apparato ed esposte in maniera visibile (D.Lgs. n. 261 del 2001, art. 6, comma 3). Agli Stati membri è affidato soltanto il compito di vigilare sulla corretta applicazione delle prescrizioni tecniche, di effettuare i controlli opportuni sui prodotti (anche mediante prelievo delle apparecchiature presso costruttori, importatori, grossisti, distributori, dettaglianti nonchè presso gli utilizzatori – art. 9, id. – per sottoporli a prove di laboratorio) e di adottare gli eventuali provvedimenti cautelari e repressivi, tra cui le limitazioni alla immissione in servizio degli apparecchi (ma solo per motivi connessi all’uso efficace dello spettro delle frequenze, ovvero per evitare interferenze dannose, o per motivi di salute pubblica), ed in caso di seri danni alla rete od interferenze radio dannose, l’assenso rilasciato al gestore della rete di interrompere il collegamento o ritirare dal servizio l’apparecchio (cfr. art. 6, comma 4, art. 7, commi 2 e 4, id.), od ancora, in caso di accertata non conformità del prodotto ai “requisiti essenziali”, qualsiasi opportuno provvedimento inibitorio o limitativo (art. 9, comma 7, id.).

6.5 Appare evidente la difformità con il regime autorizzatorio previsto dal TU n. 259/2003, che segue lo schema noto del provvedimento amministrativo necessario a rimuovere l’impedimento all’esercizio del diritto alla utilizzazione dell’impianto radioelettrico: nel sistema del Codice, in mancanza della preventiva autorizzazione rilasciata dal Ministero (licenza di esercizio), l’impianto non può essere utilizzato/messo in servizio/esercitato dall’utente; nel diverso sistema regolato dalla direttiva n. 5/1999 l’utente finale può acquistare sul mercato ed utilizzare liberamente l’apparecchio terminale di comunicazione, senza dover richiedere ed ottenere alcuna autorizzazione da parte del Ministero.

Una analogia tra i due sistemi normativi non è ravvisatale neppure nella fase – anticipata rispetto all’impiego dell’apparecchio – relativa alla fabbricazione ed alla immissione sul mercato del prodotto: come si è visto, infatti, il fabbricante (e così anche l’importatore, il distributore all’ingrosso ed il dettagliante) non è tenuto a richiedere alcun provvedimento autorizzatorio al Ministero che non svolge, pertanto, alcuna attività amministrativa preventiva di verifica e neppure certificativa avente ad oggetto la omologazione tecnica del prodotto.

6.6 Deve dunque concludersi che l’atto amministrativo, individuato dalla voce 21 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, nella “licenza per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”, se originariamente – sotto la vigenza del D.P.R. n. 156 del 1973, al tempo del quale è stata introdotta la tassa con D.L. n. 151 del 1991 conv. in L. n. 202 del 1991 – corrispondeva alla “licenza di esercizio” di impianto radioelettrico di cui all’art. 318 del predetto TU (provvedimento amministrativo richiesto per l’esercizio di – determinati – impianti radioelettrici anche dal nuovo Codice delle comunicazioni D.Lgs. n. 259 del 2003, ex art. 160) alla quale si riferiva espressamente il D.M. PP.TT. n. 33 del 1990, ai fini della surrogabilità di detto provvedimento amministrativo con il “contratto di abbonamento” stipulato dall’utente finale con la società concessionaria esclusiva del servizio radiomobile pubblico di comunicazione, in seguito alla divaricazione del nuovo Codice delle comunicazioni dalla normativa che ha regolato la fabbricazione, immissione in consumo ed utilizzo degli apparecchi terminali di comunicazione attualmente, non identifica più, ormai, l'”atto soggetto ad imposta” ai sensi delD.P.R. n. 641 del 1972, art. 1, atteso che la disciplina normativa speciale comunitaria e di recepimento avente ad oggetto la regolamentazione dei requisiti essenziali e tecnici delle apparecchiature terminali di comunicazione (direttiva CE n. 5/1999 e D.Lgs. n. 269 del 2001) non assoggetta ad alcun provvedimento amministrativo di tipo autorizzatorio, tanto l’acquisto e la utilizzazione dell’apparecchio terminale da parte dell’utente finale, quanto la “fabbricazione”, la “immissione sul mercato” e la “messa in servizio” di tali apparecchiature.

6.7 Nè rileva, in contrario, la circostanza che la voce tariffaria richiamando il D.M. n. 33 del 1990, prevede la “sostituibilità” del provvedimento autorizzatorio con il contratto di abbonamento, attualmente contratto di fornitura di servizi di comunicazione elettronica di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 70: se, infatti, non può essere revocata in dubbio la natura privatistica del rapporto contrattuale che si instaura con l’utente del servizio (cfr. sulla natura di diritto privato del rapporto contrattuale di utenza telefonica stipulato con la società concessionaria nella vigenza del D.P.R. n. 156 del 1973: Corte Cass. 3^ sez. 2.10.1997 n. 9624; id. 3^ sez. 2.12.2002 n. 17041, secondo cui il contratto è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione; id. 3^ sez. 28.5.2004 n. 10313: “la natura giuridica della convenzione di abbonamento telefonico è quella del contratto per adesione di stampo privatistico, pur se integrato da norme speciali (che prevedono il sistema delle tariffe a contatore per la contabilizzazione del traffico) e norme regolamentari (che prevedono la regola della contabilizzazione a contatore centrale)”), non per ciò solo il contratto stipulato dall’utente (definito “contraente” e non più “abbonato”: cfr. D.Lgs. 28 maggio 2012, n. 70, artt. 49 e 71 – recante modifiche al Codice delle comunicazioni – che apportano modifiche all’art. 60 ed All. n. 4 del D.Lgs. n. 259 del 2003) con il gestore della rete può ritenersi subentrato, quale nuovo “atto soggetto ad imposta” – ai sensi del D.P.R. n. 641 del 1972 – equipollente al precedente – e non più attuale – provvedimento di “licenza di esercizio”.

Premesso che la sostanziale identità funzionale, ai fini della applicazione del tributo, svolta dal “contratto di abbonamento” D.M. n. 33 del 1990, ex art. 3, e dal contratto stipulato con il gestore del servizio di comunicazione elettronica D.Lgs. n. 259 del 2003, ex art. 70, non appare dimostrata, atteso che se il D.M. del 1990 imponeva alla società concessionaria di verificare la omologazione tecnica dell’apparecchio terminale, riportando nel contratto i dati tecnici identificativi del tipo di apparato e “gli estremi della relativa omologazione”, analoga disposizione non è dato rinvenire nella disciplina legale del contenuto minimo contrattuale prevista dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 70, esclusivamente incentrato su aspetti inerenti le modalità di fornitura del servizio di comunicazione e non anche sulla rispondenza dell’impianto terminale ai requisiti essenziali e alle norme tecniche (la coincidenza meramente eventuale del soggetto gestore del servizio di comunicazione e del soggetto fabbricante/distributore dell’apparecchio terminale di telecomunicazione -tenuto ad assicurare l’utente della conformità del prodotto ai requisiti essenziali e tecnici-, non consente di ancorare ad una mera astratta ipotesi la valutazione della esatta corrispondenza dei contratti posti in comparazione), è appena il caso di osservare che, nella specie, la ipotizzata definitiva “sostituzione” del contratto di fornitura del servizio al provvedimento amministrativo, verrebbe ad incidere, elidendolo sullo stesso presupposto d’imposta facendone venire meno la continuità che, come visto, può invece ravvisarsi quando, pur nel diverso “nomen juris” del provvedimento ovvero nella diversa indicazione della norma attributiva del potere amministrativo, l’atto amministrativo considerato dalla norma tributaria risulti sostanzialmente invariato nel contenuto e negli effetti giuridici.

Ed infatti la ipotizzata definitiva sostituzione del “contratto di utenza del servizio radiomobile pubblico di comunicazione” stipulato con l’operatore (contratto che non necessita di alcuna autorizzazione o licenza) al “provvedimento amministrativo” (licenza di esercizio), eliminando il necessario collegamento richiesto dal D.P.R. n. 641 del 1972, art. 1, tra l’insorgenza del tributo e l’adozione dell’atto amministrativo (in quanto essenziale elemento giustificativo del tributo, secondo il sistema generale delle tasse di concessione governativa) determinerebbe, infatti, una sostanziale modifica del presupposto impositivo della norma tributaria alla quale non sarebbe consentito innovare per via di interpretazione evolutiva, stante il limite della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost..

Non è dubbio, infatti, che una interpretazione modificativa del presupposto d’imposta – nel senso auspicato dalla Agenzia ricorrente- verrebbe inammissibilmente a modificare il presupposto impositivo dall’atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica del destinatario, alla situazione di possesso di un apparecchio terminale di comunicazione elettronica ovvero ancora alla mera stipula di un contratto di abbonamento o di fornitura del servizio di comunicazione radiomobile pubblico, quali fatti generatori di ricchezza idonei a giustificare il prelievo tributario.

Occorre rilevare in proposto che – anche nella vigenza della norma del Codice postale del 1973 che prevedeva la licenza di esercizio – poteva prospettarsi, ai fini della applicazione della tassa di concessione governativa, il problema della corretta individuazione del presupposto impositivo, atteso il collegamento che la “nota 1”, esplicativa della voce n. 131 della Tariffa (divenuta n. 21 con le modifiche apportate dalla Tariffa dal D.M. 28 novembre 2005), operava tra la debenza del tributo (determinato in misura fissa/mensile) ed il “numero di mesi di utenza considerati in ciascuna bolletta”, venendo già allora ad evidenziarsi un nesso tra l’utilizzo dell’apparecchio e la insorgenza del debito tributario, che non si esauriva con la emissione dell’atto amministrativo (licenza di esercizio), ma riconduceva al presupposto di fatto dell'”impiego” dell’apparecchiatura terminale per il servizio radiomobile pubblico di comunicazione, venendo ad essere quantificato il tributo in relazione alla “durata dei servizi erogati” così come conteggiata in ciascuna bolletta trasmessa dal gestore all’abbonato.

Tale previsione normativa veniva, dunque, a giustificare la imposizione fiscale in considerazione dello svolgimento di attività amministrativa volta ad ampliare le situazioni giuridiche di vantaggio dei contribuenti (rilascio della licenza), ma intendeva sostanzialmente assoggettare al tributo un indice di capacità contributiva originariamente costituito dall’impiego dell’apparecchio terminale, e successivamente dall’impiego qualificato dalla destinazione d’uso dell’apparecchio stesso (uso residenziale; uso affari).

Tale peculiarità, che evidenzia le difficoltà della identificazione dogmatica in una categoria unitaria delle tasse di concessione governativa, come è stato notato anche dalla dottrina, non consente tuttavia di poter prescindere del tutto dal collegamento dell’indice di ricchezza con l’atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica dell’interessato (come avverrebbe non trovando più applicazione ai telefoni cellulari la previsione normativa di rilascio della licenza di esercizio per le stazioni radioelettriche), con la conseguenza che venendo meno tale collegamento viene necessariamente meno anche la giustificazione razionale e giuridica della imposizione qualificata della norma come di tassa di concessione governativa (la tassa verrebbe ad essere trasformata per via di interpretazione evolutiva in una imposta).

Rientra indubbiamente nel potere discrezionale del Legislatore tributario individuare gli indici di ricchezza patrimoniale o di consumo da assoggettare a tributo, e conseguentemente connotare la imposizione secondo il sistema proprio della imposta ovvero della tassa, ma una volta che la fattispecie impositiva sia stata normativamente definita, ricollegando l’obbligazione tributaria ad una specifica attività amministrativa, non può poi ritenersi integrata tale fattispecie qualora detta attività amministrativa non solo sia stata del tutto omessa ma risulti addirittura non (più) prevista dalla legge.

Ne segue la infondatezza della tesi sostenuta dalla Agenzia ricorrente secondo cui il Legislatore, intervenendo con la L. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) a modificare la Nota alla voce n. 21 della Tariffa nella parte relativa alla esenzione della tassa disposta a favore di alcune categorie di soggetti, avrebbe inteso confermare la vigenza della originaria tassa di concessione governativa: è sufficiente rilevare in proposito, infatti, come tale intervento legislativo si collochi su un piano completamente diverso da quello della modifica dell’originario presupposto impositivo.

6.8 In conclusione.

– se la vicenda della liberalizzazione del mercato nel settore delle telecomunicazioni e la sostituzione dell’originario provvedimento concessorio con l’attuale “autorizzazione generale” prescritta per “la fornitura di reti o di servizi di comunicazione elettronica” (D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 25), si riferisce esclusivamente agli operatori commerciali, rimanendo estranei i diversi rapporti tra il gestore e gli utenti finali del servizio;

– se per le ragioni esposte l’atto amministrativo (licenza di esercizio o documento sostitutivo) indicato nella voce tariffaria, ed attualmente ancora previsto per l’esercizio degli “impianti radioelettrici” (D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160), non può (più) essere riferito – giusta la normativa speciale comunitaria e statale di settore – agli “apparecchi terminali di comunicazione” (il cui acquisto ed impiego non è soggetto ad autorizzazione o ad altro provvedimento amministrativo);

– se in difetto di una preventiva attività amministrativa, avente ad oggetto la omologazione tecnica degli apparecchi terminali, e – conseguentemente – in mancanza di una previsione legale (riproduttiva del D.M. PP.TT. n. 33 del 1990, art. 3) dell’obbligo di indicazione dei requisiti essenziali e tecnici degli apparecchi terminali nel contratto stipulato dall’utente con il gestore dei servizi di comunicazione ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 70, tale contratto di diritto privato non può evidentemente “tenere luogo” di un provvedimento amministrativo inesistente;

– se il solo contratto stipulato dall’utente con il gestore del servizio non può assurgere ex se e neppure in via meramente interpretativa – senza che venga ad essere immutato il presupposto impositivo definito dalla legge, in violazione della riserva posta dall’art. 23 Cost. – a fatto generatore del tributo, ebbene tutto ciò premesso allo stato della attuale evoluzione normativa (e già alla data della entrata in vigore del D.Lgs. n. 259 del 2003) non è dato ravvisare alcun provvedimento amministrativo od alcuna attività amministrativa di verifica o controllo, al quale corrisponda il presupposto impositivo indicato dal D.P.R. n. 641 del 1972, art. 1.

Il fondamento del diritto al rimborso della tassa versata dal Comune resistente, non va pertanto rinvenuto, diversamente da quanto ritenuto dai Giudici di appello, nella “liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettronica” – essendo del tutto inconferente, per quanto attiene all’impiego dell’apparecchiatura terminale da parte dell’utente finale, la disciplina della gestione delle reti e della fornitura dei servizi di comunicazione, rivolta ai soli soggetti che operano in regime di concorrenza sul mercato -, nè tanto meno trova fondamento nella abrogazione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, disposta dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218, comma 1, lett. q), (essendo stata riprodotta tale norma nell’art. 160 de medesimo TU), e neppure nella abrogazione del medesimo D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, “per incompatibilità” (art. 15 preleggi) con la disciplina normativa di settore dettata dal D.Lgs. n. 259 del 2003, atteso che tale conclusione, fondata su una generica comparazione dei principi generali che hanno ispirato la nuova disciplina di settore -D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 3 – e di quelli che informavano il precedente regime normativo – D.P.R. n. 156 del 1973, artt. 1 e 4 -, poggia sull’erroneo convincimento che la eliminazione del provvedimento di concessione (costituivo del diritto di esercizio dei servizi di telecomunicazione, riservato originariamente allo Stato, e non più compatibile con il nuovo regime che prevede soltanto una “autorizzazione generale”) abbia automaticamente travolto anche la “licenza di esercizio” dell’impianto radioelettrico (avente ad oggetto, invece, la verifica di compatibilità tecnica dell’impianto), ma deve invece essere rinvenuto nel rapporto di specialità tra i distinti complessi normativi (D.Lgs. n. 259 del 2003; direttiva n. 5/1999 e D.Lgs. n. 269 del 2001) determinatosi in seguito alla separazione della disciplina normativa e tecnica degli “apparecchi terminali di radiotelecomunicazione” (che non prevede interventi autorizzativi del Ministero per l’acquisto e l’impiego di tali apparecchi) dalla disciplina generale degli (altri) impianti radioelettrici dettata dal TU n. 259/2003 (che ne assoggetta ancora l’impiego al preventivo rilascio della “licenza di esercizio”).

7. Rilevato che la indicata soluzione della controversia si pone in insanabile contrasto con il precedente di questa stessa Sezione tributaria richiamato al paragrafo 3 della motivazione, e che la questione di diritto da risolvere appare di particolare importanza in considerazione del rilevante interesse economico per le entrate tributarie dello Stato, appare necessario investire della questione il Primo presidente per le valutazioni di competenza in ordine alla opportunità che sul ricorso pronuncino le Sezioni Unite della Corte di cassazione.

P.Q.M.

Il Collegio:

Visto l’art. 374 c.p.c., comma 2. – rimette la causa al Primo presidente per le valutazioni di competenza in ordine alla opportunità che sul ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate pronuncino le Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2013

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