Sentenze Cassazione

Anche l’interesse di un prossimo congiunto obbliga il magistrato ad astenersi

Anche l’interesse di un prossimo congiunto obbliga il magistrato ad astenersi
Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili – Sentenza n. 19704 del 13 novembre 2012

I giudici della Suprema Corte hanno chiarito un importante questione relativa all’astenzione del giudice dalla causa.

Ne abbiamo sentito parlare molto spesso di questo argomento ma concretamente cosa dice il codice?

Art. 51
Astensione del giudice

 

I. Il giudice ha l’obbligo di astenersi:

1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;

2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado  o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio  nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro  o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;

5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

II. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.

 

Gli ermellini hanno precisato che, ai sensi dell’art. 51 codice di procedura civile, il giudice è obbligato ad astenersi dalla trattazione e definizione della causa sia nel caso in cui si trova in presenza di un proprio interesse sia nel caso in cui l’interesse riguardi un prossimo congiunto.

Per i giudici della Cassaizone la situazione appena descritta si configura ogniqualvolta il magistrato si trovi “secondo l’id quod plerumque accidit a minare le condizioni di imparzialità in relazione all’esercizio della sua funzione, ponendo in conflitto anche solo potenziale, l’interesse pubblico generale alla legalità con l’interesso proprio o dei prossimi congiunti”.

La vicenda che ha originato tutto riguardava una situazione in cui un magistrato doveva astenersi dal trattate e definire una causa perchè in presenza di rapporti  di amicizia e frequentazione (sia lui che la figlia) con una delle parti in causa e non lo ha fatto.

E’ intervenuta la sezione disciplinare del CSM che ha sanzionato il magistrato con la censura ravvisando (per il fatto aver consapevolmente omesso di astenersi) la violazione dei propri doveri di correttezza ed imparzialità.

La Cassazione ha confermato la decisione presa dal Consiglio Superiore della Magistratura.

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