Sentenze Cassazione

Avances tra colleghi, frasi scurrili e palpeggiamenti

Avances tra colleghi, frasi scurrili e palpeggiamenti
Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 30 settembre – 16 ottobre 2014, n. 43314
Presidente Squassoni – Relatore Andreazza

I rapporti tra colleghi non sono sempre “rose e fiori” spesso vivere a stretto contatto porta a lasciarsi andare ma la troppa confidenza e leggerezza potrebbe non essere gradita e, in questi casi, basta poco per giungere in Tribunale e beccarsi una condanna.

La questione trattata dalla Corte di Cassazione verte proprio sul difficile rapporto tra colleghi e, più nello specifico, un caso in cui una impiegata è stata costretta a subire contro la propria volontà un atto sessuale e per averne leso l’onore e il decoro pronunciando una frase ingiuriosa.

La Cassazione ha concluso condannando il ricorrente per il “toccamento” ma lo ha assolto per la frase scurrile pronunciata.

Si legge in sentenza, “la Corte di merito ha disatteso la doglianza difensiva in ordine alla mancanza, nella frase pronunciata, di illiceità alcuna affermando che la portata ingiuriosa della stessa sarebbe indiscutibile “dal momento che proprio la stessa ha integrato il primo approccio di carattere sessuale verso la parte offesa”. Tale conclusione appare tuttavia fondata sull”illogico presupposto per cui il solo fatto dei collegamento all’approccio sessuale, successivamente posto in essere dall’imputato, avrebbe dovuto conferire alla frase una valenza di per sé necessariamente ingiuriosa; al contrario la Corte, senza arrestarsi a considerare il solo aspetto dei reato sessuale, quasi facendolo coincidere con quello della lesione verbale dell’altrui onore, avrebbe dovuto anzitutto analizzare il contenuto oggettivo della frase e verificare se esso, per le parole pronunciate, esprimesse appunto, come necessario per l’integrazione del reato, offesa dell’altrui onore e decoro.
Sennonché, così facendo, e pur essendo indubbia la terminologia volgare e ineducata delle specifiche parole ricomprese nella frase contestata, e su cui si è evidentemente appuntata l’attenzione dei giudici atteso appunto il termine usato (“…Giuseppì…stasera ho un cazzo…”), avrebbe dovuto concludersi, stante l’inequivoco riferimento dell’imputato non già alla interlocutrice, bensì a se stesso, per l’assenza di offesa alla dignità altrui e, dunque, per la non integrazione del reato contestato“.

 

Articolo 609 bis Codice Penale
Violenza sessuale

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Articolo 594 Codice Penale
Ingiuria

Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone [595-599].

 

Sul reato di ingiuria puoi guardare un video trattato dalla rubricaL’avvocato risponde

*per maggiori chiarimenti su quanto riportato nel video – leggi l’articolo correlato

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