Sentenze Cassazione

Avvocato e cliente, comunicazioni valide anche al Bar

Sentenze Cassazione 2013

Avvocato e cliente, comunicazioni valide anche al Bar
Corte di Cassazione Civile Terza Sezione – Sentenza 16 gennaio 2013, n. 938

Nel caso esaminato e di cui si riporta il testo della decisione presa dalla Cassazione la vicenda riguardava il comportamento tenuto da un avvocato che, assunto per difendere una S.A.S. per questioni che riguardavano uno sfratto, comunicava in forma orale degli esiti dell’udienza ovvero la concessione da parte del Giudice del termine di grazia di 90 gg, al socio accomandante invece che alla società accomandataria, con l’effetto della successiva convalida dello sfratto.

In altri termini, si chiedeva la condanna del professionista per inadempimento ma, secondo quanto stabilito dalla Corte la comunicazione del mandatario al mandante può avvenire in qualunque modo senza esser tenuta al rispetto di particolari forme e, pertanto, può effettuarsi anche oralmente salvo quei casi in cui la legge esplicitamente richiede una forma specifica e, inoltre, la comunicazione deve intendersi validamente compiuta anche se effettuata in un bar o in qualsiasi altra sede priva dei requisiti di professionalità.

 Testo sentenza

Corte di Cassazione Civile Terza Sezione – Sentenza 16 gennaio 2013, n. 938

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 5.12.2001, la s.a.s. Prattours di Ratto Cristiano e C. conveniva in giudizio davanti al tribunale di Savona, M.I., vedova dell’avv. V.F. ed erede del medesimo, per sentirla condannare al risarcimento del danno, che l’attrice assumeva di aver subito a causa della condotta del defunto avvocato, che, in occasione della procedura di sfratto per morosità promossa dal locatore Ve.Tu., aveva omesso di rendere edotta la cliente dell’esito dell’udienza del 7.11.1996, nella quale era stato concesso il termine di grazia di g. 90 per sanare la morosità, con il pagamento anche delle spese legali, con la conseguenza che lo sfratto era stato poi convalidato. Chiedeva quindi l’attrice di accertare l’inadempimento e la conseguente responsabilità professionale dell’avvocato V., dante causa della convenuta.

Il Tribunale di Savona, con sentenza depositata il 12.11.2003, rigettava la domanda.

La corte di appello di Genova, adita dall’attrice, con sentenza depositata il 27.2.2006, rigettava l’appello.

Riteneva la corte territoriale che nella fattispecie risultava dai testi escussi che l’avv. V. aveva avvisato dell’esito dell’udienza in questione R.P., socio accomandante, coniuge della socia accomandataria; che questi si dolse nei confronti del difensore della controparte locatrice dell’aggravio delle spese legali (esattamente indicate) per sanare la morosità; che il R. si interponeva nei rapporti tra società ed avvocato in veste di factotum, “costituente espressione di una scelta organizzativa della società e ciò gli conferiva una rappresentanza tacita”, come era avvenuto anche in tutte le altre occasioni, senza alcun inconveniente.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.a.s.

Prattours di Ratto Cristiano e C..

Resiste con controricorso l’intimata M.I..

Motivi della decisione

1.1.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1703, 1708 e 1710 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume la ricorrente che l’avv. V., dante causa della convenuta era incorso in inadempimento contrattuale omettendo di comunicare alla società rappresentata, nella persona dell’amministratore, l’esito dell’udienza in cui era stato concesso il termine di grazia per sanare la morosità.

Secondo la ricorrente, in ogni caso, l’avvocato era tenuto a comunicare l’esito dell’udienza all’amministratrice della Prattours, sua mandante, e non al R.P., coniuge della stessa, essendo prevista nel mandato, la figura del sostituto del mandatario a norma dell’art. 1717 c.c., ma non quella del sostituto del mandante.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2.

Ritiene la ricorrente che nella fattispecie la comunicazione verbale dell’esito dell’udienza era priva delle caratteristiche di adeguatezza e completezza, necessarie per una dichiarazione ricettizia, quale era questa, con la conseguenza che risultava violato l’art. 1712 c.c..

1.3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, perchè il giudice di appello non avrebbe indicato l’iter logico giuridico seguito per ritenere assolto da parte del difensore il mandato difensivo nei confronti di soggetto diverso dal mandante ed in una sede (un bar), sfornita dei requisiti di professionalità.

2.1. I motivi, essendo connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.

La corte di appello ha infatti ritenuto che l’avv. V. abbia effettivamente comunicato l’esito dell’udienza a R.P. e che questo punto risulti accertato dalle deposizioni dei vari testi escussi, tra cui anche il difensore del locatore, nei cui confronti lo stesso R. si dolse per il costo ulteriore delle spese legali (esattamente indicate) che avrebbe dovuto pagare la società per evitare l’esecuzione.

La corte ha ritenuto che, attraverso questa comunicazione verbale, risultava adempiuta da parte dell’avv. V. la prestazione (di comunicazione del provvedimento di concessione del termine di grazia) nei confronti della società, poichè il R., coniuge convivente della amministratrice e socio accomandante, in effetti aveva realizzato “una spontanea interposizione personale in veste di factotum, costituente espressione di una scelta organizzativa interna della società” e ciò ” gli conferiva una rappresentanza tacita, che del resto aveva trovato esplicazione in tutte le altre occasioni in cui aveva avuto luogo l’insaturazione di un rapporto professionale tra il legale e la società, come risulta dalle lettere informative inviate sistematicamente al R. senza che da ciò derivassero mai inconvenienti”.

2.2. Così inquadrata la vicenda, a seguito dell’accertamento fattuale, in effetti la corte di appello ha ritenuto che il R. P. fosse un rappresentante apparente (erroneamente indicato come “tacito”) della società quanto alla ricezione delle comunicazioni da parte del difensore degli sviluppi processuali, e ciò sulla base delle ridotte dimensioni familiari della società di persone, del rapporto con l’amministratrice, del pregresso costante comportamento in tale senso, quanto alle comunicazione ed ai rapporti con l’avvocato, senza che ciò avesse mai dato luogo a contestazioni.

2.3.Va, anzitutto, osservato che nel linguaggio dei codici vigenti, sia sostanziale che di rito, con il termine rappresentanza viene designato non soltanto il fenomeno rappresentativo in senso proprio, contemplato dall’art. 1387 c.c. e segg., ma anche quello della cosiddetta immedesimazione organica, alla quale e quindi applicabile la disciplina positiva dettata per la rappresentanza, in difetto di una contraria indicazione letterale della legge o di una ragione di incompatibilità intrinseca tra questo fenomeno e tale disciplina.

2.4. Quanto all’applicabilità del principio della rappresentanza apparente di un organo di una società, va osservato che il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, anche se non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti. Tuttavia anche in tale ipotesi il principio dell’affidamento può essere invocato, qualora il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità (Cass. civ., Sez. 1^, 29/04/2010, n. 10297; in fattispecie di pagamento effettuato nella mani di amministratore di fatto, ma ritenuto egualmente liberatorio per l’inerzia dei legali rappresentanti della S.P.A., che avevano consentito per un lungo tempo una tale condotta).

2.5. Nella fattispecie la ricorrente non contesta argomentatamente la ricostruzione fattuale indicata dalla sentenza impugnata e segnatamente tale “interposizione personale del R. in veste di factotum della società…….” nei rapporti professionali tra il legale e la società, senza che ciò avesse mai dato luogo a contestazioni da parte della società o ad altri inconvenienti.

Ne consegue che, stante detta apparenza rappresentativa della società familiare da parte del R.P. nei rapporti con l’avvocato, la comunicazione – sia pure verbale – effettuata al R. dall’avvocato V. dell’udienza di concessione del termine di grazia e dell’esatto suo contenuto è liberatoria dell’adempimento a cui il professionista era tenuto nei confronti della società cliente.

3.1. Nè può ritenersi come assume la ricorrente che non sia possibile per il mandante, nominare un suo sostituto, nell’ambito del rapporto di mandato e per i rapporti con il mandatario. Infatti l’espressa previsione della facoltà di sostituzione è necessaria solo per la nomina dei sostituti del mandatario, a norma dell’art. 1717 c.c., e sempre che il mandato sia conferito “intuitu personae”, come generalmente avviene allorchè il mandato è conferito con rappresentanza (Cass. n. 15412/2010), mentre il mandante può delegare altro soggetto in sua vece nei rapporti con il mandatario.

4.1.Infondata è anche la censura di violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1712 c.c., in quanto la comunicazione da parte dell’avvocato al R. non aveva i caratteri della completezza ed adeguatezza ed era avvenuta in sede sfornita di requisiti di professionalità (in un bar).

4.2. Va osservato che le comunicazioni che il mandatario deve effettuare al mandante, in esecuzione del mandato (ivi comprese quelle del difensore al suo assistito) non devono necessariamente avere la forma scritta nè devono essere effettuate con formule particolari ovvero in “sede fornite di requisiti di professionalità”.

Ne consegue che, ai fini della comunicazione, salvo i casi in cui una forma determinata sia prescritta per legge o per espressa volontà delle parti, può essere impiegato qualsiasi strumento e qualsiasi forma, purchè congrui in concreto a far apprendere compiutamente nel suo giusto significato il contenuto della dichiarazione.

Ciò significa che tali comunicazioni ben possono essere anche verbali, nè la natura ricettizia della stessa esclude tale forma.

Ciò va affermato sulla base dell’applicabilità anche a tale tipo di comunicazione dei principi di cui all’art. 1335 c.c., che secondo l’orientamento prevalente esprime un principio generale applicabile a tutte le dichiarazioni ricettizie.

4.3. In ogni caso la corte di merito ha accertato che il R. P. (della cui qualità si è già sopra detto) ebbe ricezione e piena cognizione del contenuto della comunicazione, tanto che si dolse con l’avvocato di controparte per le ulteriori spese processuali.

5.1.Infondate sono anche le censure della ricorrente relativamente a pretesi vizi motivazionali della sentenza, motivata per relationem con la sentenza di primo grado. La corte territoriale, ha, invece, ricostruito congruamente la vicenda, riportandosi alle prove testimoniali e dimostrando di aver esaminato le varie censure prospettate dall’appellante, ravvisandole infondate.

5.2.A tal fine va osservato che la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione; ne consegue che risponde al modello legale la motivazione “per relationem” in cui il giudice di secondo grado abbia fatto riferimento all’esame degli atti del primo giudizio ed alla conformità ad essi della motivazione estesa dal giudice di primo grado, in tal modo consentendo il controllo sul riesame della questione oggetto della domanda (Cass. n. 22801 del 28/10/2009).

6. Il rigetto dei primi tre motivi, comporta il rigetto del IV motivo di ricorso, con cui viene richiesta l’applicazione della disciplina dell’art. 389 c.p.c., sul presupposto della cassazione senza rinvio della sentenza appellata.

7. Il ricorso va, quindi, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese sostenute dalla resistente anche per questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente e liquidate in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

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