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Brevetti, concorrenza e contraffazione. La decisione della Cassazione

Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621

Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621

Brevetti, concorrenza e contraffazione. La decisione della Cassazione
Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621

Con una sentenza recente (Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621) la Corte di Cassazione, in materia di contraffazione e brevetti ha affermato che “il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento ovvero rilevante, occorrendo dunque di volta in volta stabilire nelle singole vicende se gli imprenditori in conflitto offrono prodotti destinati a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela (Cass. N. 3040 del 2005, in fattispecie di preuso nella quale dunque l’accertamento della sussistenza del rapporto di concorrenza era fondamentale).

5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2600 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. La ricorrente si duole della condanna al risarcimento del danno conseguente alla affermato illecito, condanna che a suo dire non poteva esservi mancando, con il presupposto del rapporto di concorrenza , l’illecito stesso.”

 

Di seguito il testo della sentenza – Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621

 

FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 2 novembre 1995 la S.p.A. XXX, impresa operante nel settore produttivo delle maniglie per mobili di arredamento, titolare di domanda di brevetto per modello ornamentale relativa ad una maniglia “costituita da due pezzi ondulati”, depositata il 6 aprile 1994, chiedeva che fosse accertata l’avvenuta contraffazione del brevetto suddetto daparte della ditta ZZZ, che aveva messo in commercio maniglie che costituivano imitazione servile di taluni prodotti di essa attrice.

Esponeva in proposito di aver ottenuto a norma del R.D. n. 1127 del 1939, art. 81, il sequestro di maniglie e del relativo stampo prodotti in violazione della predetta privativa da parte della convenuta.

G.M. titolare della ditta suddetta si costituiva e negava la contraffazione. In via riconvenzionale chiedeva che fosse dichiarata la nullita’ del brevetto, ove esso fosse stato mai concesso, e chiedeva altresi’ il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’azione.

Il Tribunale di Brescia a seguito di istruttoria nel corso della quale veniva anche assunta una consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del giugno 2002 rigettava la domanda di nullita’ del brevetto di cui era divenuta titolare la s.p.A. XXXX.

Dichiarava la convenuta responsabile di violazione dei diritti derivanti da quella privativa e dell’illecito concorrenziale conseguente, dichiarava la stessa G.M. responsabile di imitazione servile in riferimento ad altre maniglie prodotte pure dalla attrice, dava i conseguenti provvedimenti di inibitoria e condannava la convenuta risarcimento del danno che liquidava in via equitativa.

Proponeva appello G.M.. Resisteva la s.p.A. XXXX. La Corte di Brescia in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava non sussistente la concorrenza sleale di G.M. in riferimento alla messa in commercio di una specifica maniglia identificata con i nn. di modello 101 e 102, riducendo conseguentemente il risarcimento del danno stabilito dal primo giudice. Confermava del resto la sentenza impugnata.

Per quel che riguarda questa fase di legittimita’, la Corte d’Appello esaminava le doglianze incentrate sulla affermata incompleta lettura della relazione di consulenza tecnica di ufficio da parte del primo giudice e rilevava che il Tribunale piu’ che affidarsi al giudizio dell’esperto aveva in realta’ compiuto una comparazione visiva fra i prodotti in concorrenza ed effettuato una valutazione complessiva della loro forma e della loro linea. Pertanto, osservava il secondo giudice, le innegabili diversita’ circa materiali usati colori e pregio dei prodotti, a seguito dell’esame ripetuto, rimanevano in secondo piano rispetto all’evidente imitazione di linee e forma caratterizzanti il brevetto, compiuta da ZZZ, tale da consentirle l’uso di identico stampo per tutti i pezzi in questione e da indurre confusione agli occhi del medio operatore del settore. Quindi quando ai modelli nn. 103 e 104 di ZZZ per i quali era in questione l’eventuale contraffazione rispetto almodello n. (OMISSIS) di XXX, il secondo giudice confermava, effettuato il confronto visivo, la quasi assoluta identita’ di concezione, salvo particolari di secondo ordine quali una maggior grossolanita’ della maniglia ZZZ, e tali comunque da non escludere l’intento imitativo.

Osservava ancora il secondo giudice in ordine alla pretesa diversita’ di clientela dedotta dall’appellante per negare il rapporto di concorrenza ed altresi’ l’elemento psicologico caratterizzante l’illecito, che per quanto le aziende in controversia sembrino operare in ambiti diversi, ovvero l’uria in quello del mobilio per arredo, e l’altra in quella per i casalinghi, tuttavia la natura del prodotto in questione e le modalita’ con cui C.G. era venuto a conoscenza dell’imitazione attraverso il proprio agente di commercio, lasciavano intendere come di fatto esistesse una zona contigua parzialmente sovrapponibili di clientela. In base a detto accertamento confermava la sussistenza del rapporto di concorrenza e dunque della gia’ affermata concorrenza sleale da imitazione.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione G.M. con atto articolato su sette motivi. Resiste con contro-ricorso XXX S.p.A..

DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso G.M. lamenta la motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa il punto decisivo relativo alla valutazione da parte dei giudici di merito delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado.

Secondo questa doglianza il giudice di secondo grado non avrebbe affatto esaminato, alla stregua delle dei motivi di appello, la sentenza di primo grado e dunque non avrebbe tenuto conto delle critiche ad essa rivolte con riferimento alla errata valutazione delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio.

2. Con il secondo motivo del ricorso la G. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e R.D. n. 1127 del 1939, art. 77, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Proseguendo nella doglianza di cui al precedente motivo la ricorrenteritiene che avendo la corte d’appello mancato di rilevare l’evidente difformita’ dei beni oggetto della presunta contraffazione sarebbe mancata la prova della medesima che invece alla spa XXX spettava.

Il motivo si conclude chiedendo, con specifico quesito, che la Corte di Cassazione dica se spetta, o meno, all’attore in contraffazione di dimostrare ovvero di fornire in giudizio gli elementi necessari a dimostrare, la contraffazione che afferma.

3. Con il terzo motivo del suo atto la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del R.D. n. 1411 del 1940, art. 5, comma 2, in relazione, sempre, all’art. 360 c.p.c.. Proseguendo ancora una volta nella doglianza riassunta al n. 1, la ricorrente ritiene errato concettualmente l’esame compiuto dal giudice di secondo grado relativo alla valutazione della pretesa imitazione servile tra i beni in concorrenza , dimenticando che la legge non consente una valutazione parcellizzata dei rispettivi elementi costitutivi e formali, ma richiede invece una valutazione relativa all’intero prodotto risultante dalle caratteristiche delle linee e dei contorni, dei colori e dei materiali. Se siffatto esame fosse stato correttamente compiuto, sostiene la ricorrente, la conclusione sarebbe stata la esclusione della contraffazione.

3.a. I motivi vanno esaminati insieme in quanto costituenti articolazioni diverse della medesima doglianza.

3.b. Va premesso che il giudice di merito di secondo grado ha rilevato che il giudice di primo grado ha esaminato la consulenza tecnica di ufficio, e hanotato che essa contiene affermazioni anche non adeguatamente risolte ovvero apparentemente contraddittorie.

Tuttavia, ha osservato pure, il tribunale ha proceduto esso alla comparazione visiva tra i prodotti ed ha valutato complessivamente forma e linee, in perfetta coerenza con il disposto del R.D. n. 1411 del 1940, art. 5.

Il giudice di merito dunque nel passaggio a pagina sei della sentenza,, citato in ricorso, non ha affatto mostrato di avere dimenticato le pur ammesse “innegabili diversita’” relative ai materiali usati ovvero ai pregi dei prodotti. Ha osservato piuttosto che essi rimangono in secondo piano rispetto all’evidente imitazione di linee e forme che caratterizzano il brevetto, compiuta da ZZZ.

Tant’e’, ha osservato, che a dispetto di talune non essenziali diversita’, addirittura ZZZ alla potuto usare un unico stampo per tutti i prodotti in questione. Giacche’ essi evidentemente risalivano ad una medesima forma caratterizzante.

3.c. Le censure sintetizzate innanzi dietro lo schermo di della violazione di legge contestano l’accertamento di fatto del giudice di merito. Taleaccertamento invece non merita censure perche’ il secondo giudice ha preso atto di tutte le censure rivolte al giudice di primo grado, ed attraverso di esse alla consulenza tecnica di primo grado le ha esaminate e ne ha individuando, correttamente, l’unicita’ di fondamento. Le adombrate violazioni dilegge non sussistono.

4. Con il quarto motivo di ricorso G.M. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ., n. 1, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. La ricorrente rammenta che oggetto del contendere non e’ soltanto la asserita violazione attraverso la produzione del modello 122 di un brevetto ottenuto dal C., ma anche quella dell’art.2598 c.c., n. 1, in tema di concorrenza sleale . La Corte di merito non si sarebbe avveduta di aver applicato la normativa in questione relativamente a prodotti non concorrenti tra loro sul mercato giacche’ riguardanti settori merceologici diversi e dunque interessanti clientele diverse.

4.a. l motivo e’ infondato ed in parte., inammissibile. Il giudice di secondo grado, come innanzi rammentato, non ha trascurato la diversita’ degli ambiti merceologici di riferimento dei due imprenditori in contesa, ma invece, stante la loro evidente vicinanza, ha osservato come essi si rivolgano a clientele parzialmente coincidenti. Detto accertamento toglie ogni dubbio circa l’esistenza del presupposto della concorrenza sleale ovvero dell’esistenza di un rapporto di concorrenza fra gli imprenditori in questione. Giacche’, come la Corte di Cassazione ha da tempo stabilito, in tema di illecito concorrenziale da imitazione servile ai sensi dell’art. 2598 cod. civ., n.1, il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento ovvero rilevante, occorrendo dunque di volta in volta stabilire nelle singole vicende se gli imprenditori in conflitto offrono prodotti destinati a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela (Cass. N. 3040 del 2005, in fattispecie di preuso nella quale dunque l’accertamento della sussistenza del rapporto di concorrenza era fondamentale).

5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2600 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3. La ricorrente si duole della condanna al risarcimento del danno conseguente alla affermato illecito, condanna che a suo dire non poteva esservi mancando, con il presupposto del rapporto di concorrenza , l’illecito stesso.

La doglianza e’ infondata in conseguenza dell’infondatezza di quella che la precede.

6. Parimenti infondata e’ la doglianza di violazione falsa applicazione dell’art. 1226 cod. civ. e del R.D. n. 1127 del 1239, art. 86, comma 1, in quanto anch’essa riferita alla condanna al risarcimento dei danni conseguente all’illecito.

7. La trattazione del l’ultima censura, che riguarda la pretesa omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la quantificazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto diretta conseguenza di quella di cui al n. 6, a sua volta, s’e’ detto, sviluppo di quella ancora precedente rimane assorbita dalle considerazioni innanzi esposte ed il motivo e’ pertanto infondato.

8. Il ricorso deve essere respinto. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese di giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 5200,00 di cui Euro 5000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 13 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2013

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3 Comments on Brevetti, concorrenza e contraffazione. La decisione della Cassazione

  1. "il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento ovvero rilevante, occorrendo dunque di volta in volta stabilire nelle singole vicende se gli imprenditori in conflitto offrono prodotti destinati a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela"

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