Sentenze Cassazione

Cassazione : inammissibile l’appello fondato soltanto su vizi di rito

Sezioni Unite
Cassazione, sez. III, 25 settembre 2012, n. 16272
La Cassazione con na recente sentenza ha dichiarato inammissibile l’appello fondato soltanto su vizi di rito.
La Suprema Corte, affrontando il caso, chiarisce che i ricorrenti devono necessariamente dedurre come il vizio di rito abbia «influito sulla fondatezza della domanda».
Nel caso di specie, i giudici territoriali, hanno riconosciuto fondata l’eccezione, ma hanno ritenuto che tale invalidità non comportasse la rimessione degli atti al primo giudice ex art. 354 c.p.c.
Questa decisione é stata confermata dai giudici della terza sezione civile che hanno affermato che “nelle ipotesi in cui il vizio di rito denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che in tale ipotesi, l’appello fondato esclusivamente sui vizi di rito è inammissibile oltre che per carenza di interesse anche per mancata corrispondenza al modello legale di impugnazione”.
In sostanza, si parla di appello inammissibile se (in mancanza di motivi specifici relativi al caso concreto) la nullità non importa una distorsione della stessa struttura del giudizio, non incidendo sulla parità delle armi di cui al c.d. giusto processo”.
Nel caso in esame, “gli appellanti non hanno fatto seguire, alla questione di nullità, alcuna deduzione sugli aspetti di merito della controversia, ad eccezione di una indicazione di infondatezza della domanda di controparte, priva di qualsiasi contenuto giuridicamente apprezzabile ed assolutamente generica” ma “si sono limitati a denunciare il vizio senza assolutamente indicare che esso aveva influito sulla fondatezza della domanda”.
La Corte, fatte queste precisazioni, ha concluso rigettando il ricorso.
 Testo della Sentenza
 Cassazione, sez. III, 25 settembre 2012, n. 16272
(Pres. Trifone – Rel. Uccella)
Svolgimento del processo
In data 1 aprile 2004 il Tribunale di Castrollivari accoglieva la domanda proposta da G..B. , quale proprietaria di un immobile concesso in comodato con il suo consenso da G.M. , usufruttuaria dello stesso, a D.S.V. e N..T. il 25 agosto 1991 e, per l’effetto, condannava il D.S. e la T. alla restituzione del bene alla legittima proprietaria, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.
Su gravame principale del D.S. e della T. e incidentale della B. la Corte di appello di Catanzaro il 14 gennaio 2006 confermava la sentenza di prime cure, dichiarando inammissibili gli appelli.
Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione il D.S. e la T. , affidandosi ad un unico articolato motivo di natura processuale.
Resiste con controricorso la B. .
Motivi della decisione
In via preliminare va affermato che, contrariamente a quanto dedotto dalla resistente, il ricorso non è inammissibile per le argomentazioni che ella svolge a p.2-3 del controricorso, ossia per genericità del motivo, nonché per mancata indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione (violazione dell’art.360 n.4 c.p.c.).
1. – Ciò premesso, va rilevato che nella censura (violazione e falsa applicazione di norme di diritto-nullità ex art. 164 c.p.c. dell’atto di citazione di primo grado per violazione dell’art. 163 n.7 c.p.c. – error in procedendo per violazione dell’art. 354 c.p.c.) i ricorrenti, in estrema sintesi, lamentano che il giudice dell’appello, una volta accolta la eccezione di nullità, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado e annullare la sentenza appellata, rimettendo gli atti al Tribunale ed al riguardo richiamano Cass. n. 7227/00. In merito a questa censura il Collegio osserva che la dedotta nullità concerneva il mancato avvertimento di cui all’art. 163 n.7 c.p.c. e non già la mancata indicazione della data di all’udienza nella copia del ricorso notificato al resistente comparizione.
Il giudice dell’appello ha riconosciuto fondata la eccezione, ma, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che richiama e che va ribadita, correttamente ha ritenuto che tale invalidità non comportasse la rimessione degli atti al primo giudice ex art. 354 c.p.c., che prevede ipotesi tassative non passibili di applicazione analogica.
Infatti, in linea di principio va affermato che nelle ipotesi in cui il vizio di rito denunciato non rientri in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. è necessario, in virtù di una loro lettura costituzionalmente orientata, stante l’art. 111 Cost., così come interpretato in modo concorde da dottrina e giurisprudenza, l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che in tale ipotesi, l’appello fondato esclusivamente sui vizi di rito è inammissibile oltre che per carenza di interesse anche per mancata corrispondenza al modello legale di impugnazione.
Del resto, l’orientamento di questa Corte, espresso già da Cass.S.U.n.12541/98, che ha trovato adesione nella giurisprudenza successiva (tra le tante Cass. n. 2053/10) era ed è già in tal senso, anche perché, assume rilievo il principio cardine del processo civile, ossia quello della necessaria corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, a meno che la nullità non importi una distorsione della stessa struttura del giudizio, in modo da incidere sulla parità delle armi di cui al c.d. giusto processo.
Nel caso in esame, “gli appellanti non hanno fatto seguire, alla questione di nullità, alcuna deduzione sugli aspetti di merito della controversia, ad eccezione di una indicazione di infondatezza della domanda di controparte, priva di qualsiasi contenuto giuridicamente apprezzabile ed assolutamente generica” (p.6 sentenza impugnata), ossia si sono limitati a denunciare il vizio senza assolutamente indicare che esso aveva influito sulla fondatezza della domanda, quale ritenuta dal giudice di primo grado.
Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro l.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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