Sentenze Cassazione

Cassazione, non è “sostituzione di persona” il timbrare il cartellino del collega

timbrare cartellinoCassazione, non è “sostituzione di persona” il timbrare il cartellino del collega

Secondo quanto ha recentemente stabilito la Suprema Corte di Cassazione (con la sentenza del 31/01/2013) “farsi timbrare il cartellino dal collega non comporta il reato di sostituzione di persona, ma solo un procedimento disciplinare a carico del lavoratore”.

Gli ermellini infatti hanno inquadrato la condotta di chi fa riportare sul cartellino dati che non corrispondono alla realtà come una questione attinente alla sfera lavorativa e, pertanto, capace di produrre effetti soltanto dentro quest’ambito.

In sostanza, la condotta appena esposta non è idonea a configurare il reato di falsità ideologica a carico del pubblico ufficiale in atti pubblici di cui all’art. 479 c.p. nè integra gli elementi costitutivi di quello di “sostituzione di persona” ma comporta conseguenze solo nel rapporto di diritto privato tra lavoratore e datore di lavoro.

Piazza Cavour ha dunque stabilito che negli “scambi di favore” tra colleghi riguardo il timbro dei cartellini di presenza non sono ravvisabili gli estremi del reato di sostituzione di persona che invece si configura nel caso in cui un individuo, per ottenere un vantaggio, induce un terzo in errore, sostituendosi ad altri, attribuendosi (o attribuendo ad altri) un falso nome o una falsa qualità.

Timbrare il cartellino del collega facendolo risultare presente non rientra nei casi di cui ai reati appena descritti poichè anche se il datore di lavoro è caduto in errore, si deve sempre che il collega non ha assunto l’identità del dipendente assente ma si è limitato solo a timbrarne il cartellino.

Nel caso trattato dalla Corte il dipendente si era limitato a simulare una presenza inesistente del collega sul lavoro, attraverso l’uso della scheda magnetica del compagno.

E’ il caso di ricordare che anche se la predetta condotta non costituisce reato è sempre un illecito e quindi punibile sia come illecito disciplinare sia come reato di truffa che tradotto significa meglio non fare ai colleghi “favori” del genere.

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