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Coltivazione domestica di cannabis, ecco cosa dice la Cassazione

Sentenza n. 30672 del 2021

 
La terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30672 del 2021 (ud. del 24/06/2021) che si riporta sotto, ha affrontato ancora una volta il tema del concorso in illecita coltivazione di cannabis e, come fa spesso, ne ha approfittato per ricordare tutti quei principi di diritto su cui si è già pronunciata e che possono interessare i casi simili, come ad esempio quelli riguardanti la coltivazione domestica. Gli ermellini, infatti, richiamando le Sezioni Unite (sentenza n.12348 del 2020, che si riporta anche al link in fondo alla pagina), hanno elencato una serie di circostanze che devono essere prese in considerazione per la configurazione o meno del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
 
In particolare, hanno avuto modo di precisare che:
– “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”.
 
– “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente“. 
 
– “l’irrilevanza penale della coltivazione di minime dimensioni, finalizzata esclusivamente al consumo personale, deve (…) essere ancorata, non alla sua assimilazione alia detenzione e al regime giuridico di quest’ultima, ma, più linearmente, alla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione come attività penalmente rilevante; dandosi, così, un’interpretazione restrittiva della fattispecie penale“.
 
– “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente. E per coltivazione dovrà intendersi l’attività svolta dall’agente in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto“.
 
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Massima: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
 
 
Di seguito il testo della sentenza:
 
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/11/2019, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza emessa il 20/07/2018 dal Tribunale di Patti, con la quale                   era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 (concorso in illecita coltivazione di 16 piante di cannabis ed illecita detenzione di sostanza stupefacente) e condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione                       , a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110 cod.pen., 73 d.P.R. n. 309/1990 e 533 cod.proc.pen.
 
Argomenta che, secondo il dictum delle Sezioni unite del 19.12.2019, devono ritenersi escluse dall’alveo delle condotte penalmente rilevanti le attività di coltivazione svolte in forma domestica, le quali, per le rudimentali tecniche utilizzate ovvero per mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacente appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore; nella specie, era evidente una destinazione personale della sostanza coltivata per la carenza di elementi sintomatici di una attività di cessione a terzi, come dichiarato dal coimputato                    in sede di udienza di convalida dell’arresto. Inoltre, la condotta concorsuale del                       nell’asserita attività illecita di coltivazione era stata desunta solo da elementi indiziari quali i contatti telefonici tra i due coimputati, elementi neutri che comprovano solo una frequentazione tra i due.
 
Con il secondo motivo deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Lamenta che la Corte territoriale aveva giustificato la congruità della pena irrogata dal Tribunale richiamando, quale unico elemento, la quantità di stupefacente rinvenuta e sequestrata, senza valutare gli ulteriori elementi indicati dall’ad. 133 cod.pen.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
 
Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore
generale e dei difensori delle parti, in base al disposto dell’ad, 23, comma 8 dl.
137/2020, conv. in I. n. 176/2020.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. In via preliminare, va dato atto che il difensore del ricorrente ha dichiarato, con memoria inviata il 16.6.2021, di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dalle Unioni delle Camere Penali Italiane nei giorni 24 e 25 giugno 2021.
 
Tuttavia, siffatta dichiarazione, tenuto conto dell’assenza di richiesta di trattazione orale del procedimento per l’udienza del 24/06/2021 e della conseguente trattazione del procedimento in camera di consiglio, in base al                     disposto dell’art. 23, comma 8 d.l. 137/2020, conv. in I. n. 176/2020, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, è del tutto priva di efficacia (cfr in termini, Sez.5, n.14895 del 2021), giacché non sono individuabili, né individuate, attività difensive esercitabili nel periodo di astensione (cfr art. 3 Codice di autoregolamentazione dell’astensione dalle udienze degli avvocati che contempla specificamente quale legittimo impedimento in adesione alla proclamata astensione – purchè debitamente dichiarato o comunicato -, la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorche non obbligatoria)
 
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve osservarsi, in premessa, che, dopo la pronuncia della sentenza impugnata, sono intervenute le Sezioni Unite (.5ez.U, n.12348 del 19/12/2019, dep.16/04/2020, Caruso, Rv.278624), le quali hanno affermato i seguenti principi di diritto: non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto; il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.
 
Le Sezioni Unite hanno, dunque, escluso dal perimetro della tipicità la coltivazione svolta in forma “domestica”, ossia quella che, in relazione agli indici del caso concreto (quali, ad esempio, la rudimentailità delle tecniche, l’esiguità del numero di piantine, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, l’assenza di ulteriori indici indicativi di uno stabile inserimento nel mercato degli stupefacenti), appare destinata a produrre sostanza stupefacente destinata all’uso esclusivamente personale del coltivatore. Secondo le Sezioni Unite “l’irrilevanza penale della coltivazione di minime dimensioni, finalizzata esclusivamente al consumo personale, deve (…) essere ancorata, non alla sua assimilazione alia detenzione e al regime giuridico di quest’ultima, ma, più linearmente, alla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione come attività penalmente rilevante; dandosi, così, un’interpretazione restrittiva della fattispecie penale”.
 
Sotto il profilo dell’offensività dell’attività di coltivazione, le Sezioni Unite hanno, poi, precisato che “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente. E per coltivazione dovrà intendersi l’attività svolta dall’agente in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto”.
 
Nel caso di specie, la motivazione della Corte territoriale si pone in linea con i principi enunciati dalla sentenza Caruso, in quanto, come accertato dai Giudici di merito (cfr pag 4 della sentenza impugnata e pag 3 della sentenza di primo grado), presso l’abitazione di                    , all’esito di perquisizione domiciliare, veniva rinvenuto un impianto per la coltivazione della cannabis ( dotato di lampade a led, un ventilatore ed un serbatoio contenente l’acqua necessaria per l’irrigazione delle piante ) con sedici piante di cannabis, alcune già giunte a fioritura, con attrezzatura completa e perfettamente idonea a garantire la piena e rapida coltivazione e l’immediato ricambio con nuove piantine; le piante di cannabis contenevano gr 48,1 di principio attivo da cui era possibile ricavare n. 1924 dosi medie singole e venivano rinvenute, altresì, kg 1,9 di foglie di cannabis del tipo marijuana contenenti gr 1,7 di principio attivo, da cui era possibile ricavare n. 68 dosi medie singole.
 
La ritenuta sussistenza del reato contestato è, pertanto, conforme ai principi dinanzi richiamati, essendo evidenziati in sentenza elementi che escludono che si sia in presenza di una mera coltivazione “domestica” interamene destinata all’autoconsumo, stante le indicate caratteristiche della “coltivazione” nonché ia conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente, nonché l’elevatissimo numero di dosi ricavabili, indici rivelatori di un inserimento della condotta dell’imputato nell’ambito del mercato degli stupefacenti.
 
Adeguata e logica è, inoltre, la motivazione posta a base della responsabilità concorsuale del               nella attività illecita posta in essere da                    . Va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.
 
Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Sez.6,n.36818 del 22/05/2012,Rv.253347; Sez.4,n.4383 del 10/12/2013,dep. 30/01/2014, Rv.258185; Sez.4, n.24895 del 22/05/2007,Rv.236853; Sez.1, n.5631 del 17/01/2008, Rv.238648).
 
Nella specie, la Corte territoriale, facendo buon governo del predetto principio, ha rimarcato come, in aderenza alle risultanze istruttorie (contatti “whats up” tra il                        e                      , servizi di osservazione, dichiarazioni rese all’udienza di convalida dell’arresto da                 ) la condotta tenuta dal                abbia costituito un contributo agevolatore all’altrui condotta criminosa, avendo lo stesso partecipando attivamente all’attività di coltivazione (presenza sul luogo della coltivazione a seguito di contatti a mezzo “whats up” con il                          , apporto di materiali e                    concime utilizzati nella coltivazione).
 
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena; la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato la quantità della sostanza stupefacente rinvenuta e sequestrata, così che la pena, irrogata in misura inferiore alla media edittale, è stata ritenuta adeguata al fatto.
 
Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, “a fortiori”, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del
diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (Sez.2, n.19907 del 19/02/2009, Rv.244880; Sez. 4, 4 luglio 2006, n. 32290).
 
Del resto costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
 
Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al “quantum” della pena (Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 del 20/03/2013, Rv.256197).
 
4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.
 
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Articolo 133 Codice Penale 
Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena

Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente [164, 169, 175, 203], il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

  1. 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
  2. 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
  3. 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta:

  1. 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
  2. 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
  3. 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
  4. 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
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Articolo 73 Testo unico stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309)
Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

1-bis. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene:

a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale;

b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà.

2. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000.

2-bis. [Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all’articolo 14.]

3. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.

4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.

5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.

5-bis. Nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.

5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
 
5-ter. La disposizione di cui al comma 5-bis si applica anche nell’ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 5, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla propria condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore ad un anno di detenzione, salvo che si tratti di reato previsto dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di reato contro la persona.
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About Avv. Giuseppe Tripodi (1645 Articles)
Ideatore e fondatore di questo blog, iscritto all'Ordine degli Avvocati di Palmi e all'Ilustre Colegio de Abogados de Madrid; Sono appassionato di diritto e di fotografia e il mio motto è ... " il talento non è mai stato d'ostacolo al successo... "
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