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Conto Corrente e patrimonio dei coniugi in fase di separazione

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Cassazione civile Prima Sezione Sentenza del 20 marzo 2013 n. 6876

Conto Corrente e patrimonio dei coniugi in fase di separazione
Cassazione civile Prima Sezione Sentenza del 20 marzo 2013 n. 6876

Di seguito riportiamo una interessante sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione che chiarisce alcune vicende relative al Conto Corrente dei coniugi in fase di separazione.

La Cassazione, si legge nella sentenza, afferma che “La dedotta violazione di legge non sussiste, avendo la sentenza impugnata fatto esatto riferimento alla data dello scioglimento della comunione, quando risultava accreditato sul conto corrente (intestato al marito) l’importo attribuito per la metà alla C. . In realtà la ricorrente incidentale sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito, i quali, con motivazione incensurata in questa sede, hanno escluso la possibilità di tenere conto del maggiore importo che risultava accreditato in data successiva al 21 gennaio 1997, data di scioglimento della comunione.”

Svolgimento del processo

M.V..C. aveva convenuto in giudizio T.A. , da cui era separata consensualmente con verbale omologato il 21 gennaio 1997, chiedendo lo scioglimento della comunione legale dei beni, nella quale assumeva che rientrassero alcuni depositi su conti correnti bancari e partecipazioni a società costituite dopo il matrimonio.

Per quanto ancora interessa in questa sede, il Tribunale di Bergamo aveva rigettato la domanda concernente le partecipazioni del marito a una società personale costituita con terzi (per il 50% nella Trapattoni Aldo & C snc) e accolto quella concernente depositi bancari limitatamente alla metà dell’importo (di Euro 1077,66) presente su un conto corrente presso la filiale di Caravaggio della Banca di Credito Cooperativo. La Corte di appello di Brescia, con sentenza 28 gennaio 2008, ha rigettato l’appello della C. che aveva chiesto di tenere conto di una somma ulteriore presente sul predetto conto corrente, ritenendo che fosse stata accreditata dal T. in data successiva allo scioglimento della comunione, né in tale comportamento poteva ravvisarsi una malizia per impedire alla ex moglie di conseguire la parte a lei spettante dei beni caduti in comunione; inoltre ha accolto l’appello nella parte concernente le partecipazioni societarie che, secondo la corte, cadevano in comunione de residuo ai sensi dell’art. 178 c.c.: ha quindi ritenuto che la C. avesse diritto a percepire l’importo di Euro 73.515,00, oltre interessi legali, corrispondente alla metà del valore della quota spettante al T. , stimata al momento dello scioglimento della comunione.

Avverso la suddetta sentenza T.A. ricorre per cassazione formulando due motivi. La C. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con un motivo, al quale il T. resiste con controricorso. Vi è memoria del T. .

Motivi della decisione

Nel primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 178 c.c. in quanto, al momento della scioglimento della comunione nel gennaio 1997, nulla era residuato a favore della C. a titolo di concorso nella partecipazione nella Trapattoni Aldo & C snc, poiché il bilancio di liquidazione del 31 dicembre 1998 presentava una perdita di esercizio di L. 59.783.919, con conseguente azzeramento del credito da lei acquisito, atteso che il credito che entra a far parte della comunione de residuo è esigibile solo al momento dello scioglimento della società. Segue il quesito di diritto volto a stabilire se il diritto di credito verso il coniuge socio di una società di persone, a favore dell’altro coniuge in comunione de residuo, debba essere quantificato con riferimento al momento di scioglimento della comunione o, nel caso in cui la comunione legale si sciolga prima dello scioglimento della società, al momento in cui diviene esigibile per il coniuge socio la ripartizione dell’eventuale attivo, ai sensi degli artt. 2280 e 2282 c.c..

Nel secondo motivo si addebita alla sentenza impugnata il vizio di insufficiente motivazione in ordine al riferimento temporale cui ancorare la quantificazione del credito azionato dalla C. .

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.

Va premesso che, nella fattispecie considerata nell’art. 178 c.c., sebbene il coniuge non destini dei beni “all’esercizio dell’impresa”, ma all’acquisto di una partecipazione in una società e sarà quest’ultima (e non il singolo coniuge) ad esercitare l’impresa, la dottrina prevalente, evidenziando l’identità di ratio, condivisibilmente ritiene che la quota societaria del coniuge non cada in comunione legale ex art. 177 lett. a) c.c., ma appunto in quella ex art. 178 c.c. Questa conclusione è condivisa anche dal ricorrente, il quale però sostiene che l’altro coniuge nulla potrebbe concretamente vantare se il valore della partecipazione societaria risulti pari a zero nel momento della futura liquidazione o estinzione della società. In altri termini, quello che potrebbe essere acquistato dal coniuge non socio, al momento dello scioglimento della comunione, sarebbe solo un credito virtuale alla eventuale e futura liquidazione della quota societaria. Questa impostazione non può essere condivisa.

È una caratteristica tipica della comunione de residuo che l’attivo della massa comune si arricchisca (nella specie, della partecipazione societaria di cui il T. è titolare) proprio nel momento in cui il vincolo di solidarietà tra i coniugi si allenta con la separazione personale dei coniugi che è causa dello scioglimento della comunione legale (art. 191 c.c.), momento quest’ultimo cui necessariamente va ancorata la stima del valore di quella massa. La compartecipazione al valore degli incrementi patrimoniali conseguiti post-nuptias dall’altro coniuge è, appunto, differita al momento della separazione, non ad epoca successiva. La tesi contraria consentirebbe al coniuge-socio (al quale soltanto spetta il potere di gestire o cogestire la società di persone di cui fa parte) di procrastinare sine die la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale, con l’effetto di comprimere il diritto del coniuge alla riscossione della metà del plusvalore realizzato dall’altro prima dello scioglimento della comunione.

La corte di merito, avvalendosi del contributo di un consulente tecnico d’ufficio, ha stimato (al momento dello scioglimento della comunione) il valore del patrimonio netto della società e, sulla base di questo, ha calcolato il valore della partecipazione societaria del T. , la cui metà – acquisita alla comunione residuale – ha quindi attribuito al coniuge. Tale metodologia, come risulta dalla sentenza impugnata, non è stata contestata nel giudizio di merito né è stata fatta oggetto di uno specifico motivo di ricorso, vertendo quello proposto esclusivamente sulla infondata critica al riferimento temporale utilizzato per la stima.

Nel motivo di ricorso incidentale, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 177, lett. b, c.c. e riassunto in un quesito di diritto, la ricorrente imputa alla corte di merito di non avere tenuto conto che l’importo del conto corrente presso la Banca di Credito Cooperativo si era incrementato per effetto di un accredito (di lire 15 milioni) effettuato dal T. al solo scopo di sottrarre alla comunione il denaro guadagnato, risparmiato e accantonato prima dello scioglimento della comunione, come si poteva presumere da varie circostanze di fatto: l’accredito era avvenuto pochi giorni dopo lo scioglimento della comunione e il comportamento del T. durante la separazione era stato sempre volto a impedire alla C. di vedere soddisfatti i propri diritti.

Il motivo è infondato.

La dedotta violazione di legge non sussiste, avendo la sentenza impugnata fatto esatto riferimento alla data dello scioglimento della comunione, quando risultava accreditato sul conto corrente (intestato al marito) l’importo attribuito per la metà alla C. . In realtà la ricorrente incidentale sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito, i quali, con motivazione incensurata in questa sede, hanno escluso la possibilità di tenere conto del maggiore importo che risultava accreditato in data successiva al 21 gennaio 1997, data di scioglimento della comunione.

Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, tenuto conto della reciproca soccombenza e della novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di cassazione.

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2 Comments on Conto Corrente e patrimonio dei coniugi in fase di separazione

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