Interpretazione del contratto, intenzione dei contraenti e senso letterale delle parole
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile
Sentenza 28 aprile – 23 giugno 2014, n. 14206
Presidente Berruti – Relatore Cirillo
I giudici continuano affermando che “quanto al coordinamento tra i vari criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., assai di recente si è ribadito che i canoni legali sono governati da un principio di gerarchia, tale che i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli c.d. integrativi e ne escludono la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti; e, nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi, assume un ruolo fondamentale quello fondato sul significato letterale delle parole (sentenza 11 marzo 2014, n. 5595)”.
Infine, ricordano che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito anche, in più occasioni, che “l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (sentenze 27 marzo 2007, n. 7500, e 30 aprile 2010, n. 10554). Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539, 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016)”.