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Demansionamento : il danno deve essere provato

Demansionamento : il danno deve essere provato
Suprema Corte di Cassazione sezione Lavoro
Sentenza 10 dicembre 2013 – 3 aprile 2014, n. 7818
Presidente Stile – Relatore D’Antonio

Con la sentenza che riportiamo di seguito, la Cassazione ha affermato che il danno subito a causa del demansionamento deve essere provato dal dipendente. Nel caso specifico, una dipendente del Ministero della Difesa, chiedeva il risarcimento del danno per illegittima dequalificazione subita a seguito del passaggio dalla sezione contratti alla sezione matricola e poi da quest’ultima alla sezione servitù militari svolgendo mansioni poco più che esecutive.

Già la Corte territoriale ricordava alla lavoratrice che la giurisprudenza di legittimità aveva ribadito la necessità che del danno fosse data la prova e che fosse indicato con specifiche deduzioni.

La Cassazione osserva che “pur dovendosi rilevare che per quanto attiene alla prova del danno, le SS.UU del 2008 (n. 26972), richiamate dalla stessa Corte territoriale, hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, deve, tuttavia, escludersi che il danno,sia “in re ipsa” (nello stesso senso Cass. SU n. 6572 del 24 marzo 2006),dovendo essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi, che solo dall’interessato possono essere dedotti, si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prova”.

 

demansionamento

 

Piazza Cavour ha precisato inoltre  che “Il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. La Corte territoriale non si è attenuta a detti principi“.

Riguardo gli altri motivi del ricorso la Corte ha rilevato che “il principio secondo cui l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi d’appello, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cpc o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cpc, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 cpc, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso anche giudice del fatto processuale – di effettuare l’esame altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati. evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo. (cfr Cass. n. 28716/2011, n. 1755/2006, n. 1196/2007)

Pertanto, gli ermellini hanno concluso stabilendo che la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti ed il giudizio rimesso alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, che procederà ad un nuovo esame della domanda di liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale.

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About Avv. Giuseppe Tripodi (1645 Articles)
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