Sentenze Cassazione

Fisco, reato indicare costi superiori a quelli sostenuti

fisco

E’ reato indicare nelle dichiarazioni fiscali costi superiori a quelli realmente sostenuti
Suprema Corte di Cassazione Penale Terza Sezione
Sentenza 27 marzo – 9 settembre 2013, n. 36900
Presidente Mannino – Relatore Rosi

Nella sentenza che si riporta la Cassazione ha trattato un caso relativo alle dichiarazioni fiscali stabilendo che nel caso in cui il contribuente indica costi più elevati della realtà tale comportamento costituisce reato mentre indicare costi per prestazioni di lavoro realmente effettuato ma di entità superiore a quella realmente corrisposta al lavoratore, nella dichiarazione IVA, non integra il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Pertanto, secondo gli ermellini, “per configurare infatti il reato contestato (art. 2 Dlgs n. 74 del 2000) è necessaria l’indicazione di “elementi passivi fittizi” nella dichiarazione fiscale con lo scopo di evadere le imposte attraverso l’indicazione. Infatti la giurisprudenza ha precisato che per integrare l’utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti basta che le stesse siano inesistenti dal punto di vista oggettivo, ossia che vi sia “diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti” (in tal senso, Sez. 3, n. 10394 del 14/1/2010, dep. 16/3/2010, Gerotto, Rv. 246327). L’art. 2 si riferisce a “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e l’art. 1, lett. a), dello stesso decreto legislativo chiarisce che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. E’ indispensabile quindi che la documentazione fraudolenta sia stata emessa a fronte di operazioni non realmente effettuate (come richiesto per l’utilizzo dell’avverbio “realmente” nella norma definitoria menzionata di cui all’art. 1, lett. a), del decreto legislativo). Invece la dichiarazione fraudolenta prevista e sanzionata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, rappresenta una frode contabile alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato (diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, integrante l’ipotesi di cui al precedente art. 2) ma comunque caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d’imposta (è stato ritenuto che rientri nella fattispecie la tenuta di un sistema parallelo di contabilità “in nero”).”

Leggi il testo della sentenza n. 36900/2013

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