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Diffamazione, dare del “pregiudicato” ad un pregiudicato

Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale Sentenza 2 luglio 2014 – 8 gennaio 2015, n. 475

Cassazione penale

 

Diffamazione, dare del “pregiudicato” ad un pregiudicato
Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale
Sentenza 2 luglio 2014 – 8 gennaio 2015, n. 475
Presidente Marasca – Relatore Bevere

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un interessante caso di diffamazione stabilendo che non si può dire “pregiudicato” ad una persona neppure nel caso in cui effettivamente il destinatario della frase sia un soggetto condannato con sentenza definitiva.

Parole grosse fra colleghi avvocati che hanno originato il procedimento penale giunto fino a Piazza Cavour in quanto secondo una valutazione pienamente lineare, sul piano logico e sul piano del senso comune, il tribunale ha ritenuto che le frasi furono quindi pronunciate a scopo puramente denigratorio, per evidenziare la pochezza giuridica e umana di una collega quale componente di una studio professionale diretto da un pregiudicato.

Si legge in sentenza “il ripetuto uso del termine pregiudicato è stato finalizzato a esprimerne il suo significato deteriore (trasgressore, soggetto a giusta sanzione), non solo indirizzandolo al colpevole, ma estendendone la forza denigratoria, sul generale piano deontologico e professionale, al medesimo e a tutti i componenti dello studio da lui diretto. Il termine realmente corrispondente al singolo capitolo della biografia giudiziaria del convenuto, è stato usato per imporre un marchio di stigmatizzazione generale non solo a quest’ultimo, come cittadino e come professionista, ma a tutto il metodo lavorativo dell’organizzazione professionale da lui diretta“.

La Corte dedica molta attenzione ai motivi di ricorso presentati e, in particolare, al fatto alla valutazione alternativa della suddetta condotta, in chiave non solo di astratta tecnica difensionale, ma anche di esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero in forma di critica e/o di asserzione di verità.

Nel caso in esame tale diritto è stato esercitato mediante l’asserzione di un fatto vero (condanna penale), rievocato con un termine tecnico, non qualificabile come mero epiteto, in quanto richiamante la reale natura di condannato.

Sul punto i giudici osservano che “Il riconoscimento a questo diritto di rimuovere l’antigiuridicità di lesioni ai diritti fondamentali della persona va comunque contemperato con l’esigenza,sancita dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, di evitare che il cittadino che si trovi nella condizione personale e sociale di persona processata e/o condannata divenga, in maniera indenne, perenne bersaglio del discredito dei consociati. Il richiamo all’attenzione dei cittadini di un evento screditante quale è una condanna penale deve razionalmente essere compiuto in un contesto che consenta alla rievocazione di intervenire direttamente nella sincronia degli eventi in corso e di suscitare necessaria e pertinente reazione nei destinatari“.

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