Sentenze Cassazione

E’ reato cancellare files dal PC aziendale.

La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 8555 del 5 marzo del 2012, esaminando il caso di un lavoratore, condannato in appello ai sensi dell’articolo 635-bis c.p. per aver cancellato, in qualità di dipendente, una gran quantità di dati dall’hard disk del personal computer aziendale, ha precisato che “sembra corretto ritenere conforme alla spirito della disposizione normativa che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso – anche dispendioso – di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa. Il danneggiamento deve intendersi integrato dalla manomissione ed alterazione dello stato del computer, rimediabili solo con postumo intervento recuperatorio, e comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione dell’ambiente di lavoro”
Il dipendente ha cercato di difendersi rappresentando l’insussistenza degli estremi del reato di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici in quanto questi, grazie all’intervento di un tecnico, sono stati tutti recuperati e, pertanto, per la difesa, non ricorrerebbe la fattispecie delittuosa che postulerebbe la cancellazione in senso di definitiva rimozione dei dati cancellati dalla memoria del computer.
Per la Corte “il rilievo difensivo è infondato, in quanto il lemma “cancella” che figura nel dettato normativo non può essere inteso nel suo precipuo significato semantico, rappresentativo di irrecuperabile elisione, ma nella specifica accezione tecnica recepita dal dettato normativo, notoriamente introdotto in sede di ratifica di Convenzione Europea in tema di criminalità informatica (con legge 23 dicembre 1993, n. 547).”
In pratica è irrilevante la possibilità di recuperare i files con l’intervento successivo di un tecnico in quanto si tratta sempre di un danno in quanto il recupero, ove possibile, comporta oneri di spesa, o comunque, l’impiego di unità di tempo lavorativo.

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