Sentenze Cassazione

Errata diagnosi, cosa succede quando sbaglia il ginecologo?

Errata diagnosi. Cosa succede quando a sbagliare è il ginecologo?
Suprema Corte di Cassazione Sezione III Civile
Sentenza 14 marzo – 17 luglio 2014, n. 16401
Presidente Amatucci – Relatore Rossetti

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha esaminato il caso di un ginecologo che, sbagliando la diagnosi, comunicava alla paziente che l’aumento di peso, così come il ritardo del ciclo mestruale, non era dovuto ad uno stato di gravidanza.

In realtà il figlio c’era e l’errore del ginecologo, a dire della madre, aveva causato vari danni, tanto patrimoniali quanto non patrimoniali, consistiti principalmente nella forzosa rinuncia alle progettate attività lavorative e nel disagio morale.

Altra circostanza che ha complicato il tutto riguardava il fatto che la donna, a quel tempo, era nubile mentre il padre del concepito era coniugato e la scoperta della gravidanza avvenne quando ormai era spirato il termine entro il quale la legge consente l’aborto. 

Padre e madre del concepito iniziarono un processo civile nei confronti del medico chiedendo il risarcimento del danno.

Il Tribunale liquidò all’attrice il danno non patrimoniale rappresentato dalla “violazione del diritto della donna ad essere informata” (definito “esistenziale”); rigettò invece la domanda di risarcimento dei danno patrimoniale consistente negli oneri di mantenimento del figlio, ritenendo non provata l’esistenza di una volontà abortiva della donna, nell’ipotesi in cui fosse stata tempestivamente informata. Tale decisione venne confermata anche dalla Corte d’Appello di Milano e, pertanto, inevitabilmente la questione giungeva fino ai giudici di Piazza Cavour i quali hanno osservato che “il giudice d’appello non ha affatto negato che siano risarcibili i danni derivanti da un fatto illecito (solo in questo caso si sarebbe potuto invocare una violazione dell’art. 1223 c.c.), ma ha statuito una cosa ben diversa: che dall’illecito non sono derivati danni (patrimoniali), ovvero che non ve ne era la sufficiente prova. Si tratta di una statuizione di merito, motivata e dunque insindacabile in questa sede di legittimità“.

Gli ermellini hanno quindi precisato che “nel nostro ordinamento non esistono danni in re ipsa, risarcibili sol perché si dimostri l’avvenuta lesione d’un diritto. La lesione dei diritto è il presupposto necessario, ma non sufficiente per pretendere il risarcimento del danno: ad esso dovrà necessariamente conseguire una perdita, patrimoniale o di altro tipo. L’eventuale lesione del diritto di interrompere la gravidanza è dunque giuridicamente irrilevante se la gestante, quand’anche informata, avrebbe comunque verosimilmente scelto di non abortire. E nel caso di specie, per quanto già detto, la Corte d’appello ha giustappunto escluso tale nesso di causa, con decisione non sindacabile in sede di legittimità”.

Leggi il testo della sentenza

Leggi un altro articolo oppure cerca un altro argomento

Se hai trovato questa pagina interessante, condividila!