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Gli insulti tra politici non costituiscono reato, lo dice la Cassazione

Gli insulti tra politici non costituiscono reato, lo dice la Cassazione
Corte di Cassazione Sentenza n. 45014 / 2012
Un diverbio tra due politici (dello stesso partito) giunge dentro le aule del Tribunale perché, durante il congresso del partito, uno apostrofava l’altro con l’epiteto “becero”.
Per i giudici della Corte non c’é nessun reato perché si tratta solo di esercitare il proprio diritto di critica politica e, pertanto, annullavano la sentenza di condanna emessa dai giudici di merito.
In pratica, per gli ermellini se il predetto epiteto viene rivolto durane una discussione politica a un compagno di partito (come é accaduto nel caso di specie) ma anche nel caso in cui fosse rivolto ad un  avversario, la parola sarebbe comunque ammessa e discriminata dal diritto di critica politica perchè indica la critica «alla perpetuazione di sistemi gestionali volti alla copertura di grumi di interessi di parte».
Questo é quanto emerge dalla sentenza n. 45014, con cui Piazza Cavour ha annullato la condanna per diffamazione emessa nei confronti di un militante politico di crotonese che aveva pronunciato la parola oggetto del processo «in riferimento al conferimento di incarichi regionali».
La Cassazione sul punto osserva che questo é «un tema capace per sua natura di sollevare, tanto più in un piccolo consesso, come quello del Comune di Crotone, confronti dialettici anche vivaci tra i rappresentanti delle contrapposte parti, pronte a rinfacciarsi, anche per il passato, gestioni della cosa pubblica tutt’altro che ispirate alla cura dell’interesse generale, quanto piuttosto orientate al perseguimento di interessi particolari, di natura clientelare e di scarsa trasparenza, se non proprio di patente illegittimità, su argomenti da sempre, ed ovunque, occasione di vivace scontro politico, come quello relativo alla ripartizione di incarichi presso una Regione».
I supremi giudici precisano che la parola ‘becerò era da considerare come «una censura, assai colorita, ad un metodo di amministrazione, e il suo significato trascendeva l’ambito individuale o la sfera personale della persona alla quale era rivolta, per porsi come critica ad un sistema di gestione».
Per la Corte il termine usato é «discutibile sul piano quantomeno dello stile, dell’opportunità e del costume politico» ma comunque deve essere applicata la causa giustificativa della critica politica in nome della libertà di pensiero garantita dalla Costituzione e, per questo motivo la condanna è stata stracciata.

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