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IVA, omesso versamento

Corte di Cassazione, sezione III Penale Sentenza 17 luglio 2014 – 5 maggio 2015, n. 18501

fiscoIVA, omesso versamento
Corte di Cassazione, sezione III Penale
Sentenza 17 luglio 2014 – 5 maggio 2015, n. 18501
Presidente Teresi – Relatore Aceto

La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminto un caso di omesso versamento IVA e, più precisamente, quello del legale rappresentante di una società che veniva condannato per i reati di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso il versamento, nel termine previsto, dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alle dichiarazioni annuali 2006 e 2007 per i periodi di imposta 2005 e 2006.

La Corte di appello ha ritenuto infondati i rilievi difensivi secondo i quali non sussisteva il dolo di evasione sol perché i corrispettivi fatturati non erano mai state incassati.

Secondo i giudici distrettuali tale circostanza non esclude il dolo generico; semmai, affermano, potrebbe integrare lo stato di necessità che però hanno ritenuto insussistente a causa della genericità delle allegazioni difensive ed in considerazione della reiterazione della condotta per due anni consecutivi.

Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Bari e l’imputato.

Entrambi i ricorrenti eccepiscono, in buona sostanza, la mancata considerazione delle pessime condizioni economiche in cui versava la società alla scadenza dei termini previsti dai versamenti quale fatto che, incidendo sulla effettiva volontà di commettere il delitto, avrebbe dovuto comportante l’assoluzione dell’imputato per mancanza di dolo; mancanza di volontà ulteriormente desumibile dalla circostanza che in ogni caso l’imputato era stato ammesso a pagare (e stava pagando) ratealmente il dovuto.

L’imputato ulteriormente evidenzia che l’omesso versamento era dovuto alla mancata riscossione dell’IVA da parte di clienti insolventi o falliti, circostanza questa che aveva aggravato la crisi di liquidità dell’impresa.

La Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla violazione relativa all’anno di imposta 2005 perché il fatto non sussiste eliminando la relativa pena di mesi due di reclusione e, nelle motivazioni della decisione ha affermato che “Gran parte delle questioni sollevate con l’odierno ricorso trovano risposta negli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757, secondo la quale: a) il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; b) la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda meta del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
Sviluppando e riprendendo il tema della “crisi di liquidità” d’impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).

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About Avv. Giuseppe Tripodi (1645 Articles)
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