Sentenze Cassazione

Peculato militare continuato, responsabilità, confessione e circostanze obiettive e soggettive

Peculato militare continuato, responsabilità, confessione e circostanze obiettive e soggettive

Corte di Cassazione Sezione 1 penale

Sentenza 5 novembre 2014, n. 45867

Peculato militare continuato – Confessione resa dall’imputato – Unico elemento a fondamento del giudizio di responsabilità – Limiti ex art. 192 cp – Chiamata in correità – Esclusione – Utilizzo condizionato all’esame delle circostanze obiettive e soggettive

(articolo a cura dell’avv. Francesco Pandolfi)

Per principio generale, quando le prove acquisite nel giudizio confermano in modo convergente l’ipotesi accusatoria iniziale, può essere affermata la penale responsabilità di un soggetto.

Con la sentenza della Corte di Cassazione sezione 1 penale n. 45867 del 5 novembre 2014, viene esaminato un caso di peculato militare continuato, ove l’esame di un solido compendio probatorio, di univoca valenza dimostrativa, permette di dimostrare la responsabilita’ del militare in ordine al reato ascrittogli.

Un Maresciallo dei CC era stato sorpreso dalla pattuglia dei Carabinieri in un luogo isolato, nei pressi di un casolare, mentre stava tentando di occultare alcune taniche nella sterpaglia dopo che il giorno antecedente aveva ottenuto dai superiori l’esenzione dal servizio di esercitazione e la destinazione alla conduzione dell’automezzo, il tutto con il fine di creare l’occasione per realizzare l’asportazione del carburante grazie agli strumenti di cui si era appositamente munito.

Emergenze confortate da relazione di servizio e accertamenti condotti sul serbatoio del veicolo di servizio, dal quale e’ risultato mancante un sensibile quantitativo di carburante rispetto ai dati documentali del rifornimento ed al percorso seguito.

Si doleva il militare di quanto sopra, in quanto -a suo dire- egli era stato oggetto d’investigazioni quale sospettato sin da un momento antecedente la sorpresa in flagranza; in seguito, era stata compiuta attivita’ d’indagine senza fosse avvertito della sua qualita’ d’indagato e senza consentirgli di fare intervenire un difensore alle operazioni di arresto, perquisizione domiciliare e di sequestro, ragione per la quale egli non aveva potuto rendersi conto degli atti in corso di compimento e del loro valore processuale.

Testo della sentenza

Con sentenza resa il 10 aprile 2013 il G.U.P. del Tribunale militare militare di Napoli, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dichiarava (OMISSIS), maresciallo m.m. dei Carabinieri in servizio presso il (OMISSIS) responsabile del reato di peculato militare continuato (articolo 215 c.p.m.p., e articolo 47 c.p.m.p., n. 2), contestatogli perche’, incaricato della conduzione di automezzo di servizio, si appropriava di quarantacinque litri di gasolio, sottraendoli dal serbatoio del veicolo di cui aveva il possesso per ragioni di servizio, in Brindisi il 23 marzo 2012. Per l’effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, lo condannava alla pena di anno uno, mesi due di reclusione militare.

Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte militare di Appello con sentenza emessa in data 22 gennaio 2014 riformava parzialmente quella di primo grado e, qualificato il fatto come tentativo, riduceva la pena inflittagli a mesi sei di reclusione militare e gli applicava, in quanto statuizione obbligatoria, la pena accessoria della rimozione dal grado, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

La sentenza di appello, dopo avere rilevato l’inconsistenza dei motivi volti a contestare la genuinita’ della confessione resa dall’imputato, affermava che il giudizio di responsabilita’ era stato basato non soltanto su tali ammissioni, mai in seguito smentite se non con l’appello, ma anche sulle circostanze constatate dai militari che lo avevano tratto in arresto in flagranza e sui conseguenti accertamenti.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato a mezzo del difensore, il quale ha lamentato con unico motivo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Secondo il ricorrente, la Corte militare non aveva riscontrato la nullita’ ed illegittimita’ di tutti gli atti di indagine, sui quali era stata fondata la condanna, in quanto egli era stato oggetto d’investigazioni quale sospettato sin da un momento antecedente la sorpresa in flagranza.

In seguito, era stata compiuta attivita’ d’indagine senza fosse avvertito della sua qualita’ d’indagato e senza consentirgli di fare intervenire un difensore alle operazioni di arresto, perquisizione domiciliare e di sequestro, ragione per la quale egli non aveva potuto rendersi conto degli atti in corso di compimento e del loro valore processuale. Inoltre, anche le dichiarazioni ammissive rilasciate agli operanti, sulle quali si era fondato il giudizio di colpevolezza, erano inutilizzabili in dibattimento per violazione dell’articolo 350 c.p.p., n. 7.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile perche’ fondato su motivi di manifesta infondatezza.

La sentenza impugnata ha esposto in modo chiaro, logico, comprensibile e ben argomentato le ragioni della decisione, rilevando come a carico del ricorrente fosse stato acquisito un compendio probatorio di solida ed univoca valenza dimostrativa, indicativo della sua responsabilita’ in ordine al delitto di tentato peculato militare.

In particolare, nel confutare con ricchezza argomentativa i motivi di appello, ha evidenziato come la confessione resa costituisse soltanto la conferma di elementi probatori di univoco significato dimostrativo e non potesse essere pretermessa.

In particolare, la Corte militare ha sottolineato come l’ammissione di responsabilita’ fosse stata resa all’udienza di convalida dell’arresto in flagranza, riscontrando in tal modo circostanze fattuali gia’ emerse dalla relazione di servizio e dal verbale di arresto; inoltre, ha escluso di poterne sminuire il significato quale esito di una condizione di restrizione cautelare di particolare durezza, in quanto anche in seguito, quando il suo autore aveva recuperato lo stato di liberta’, non era mai stata smentita con espressa negazione, oppure con una differente ricostruzione degli accadimenti, non resa nemmeno nel corso del giudizio di primo grado, al quale il (OMISSIS) era rimasto assente per poi soltanto con l’appello prospettare un’inverosimile giustificazione, incentrata sul ritrovamento casuale delle taniche contenenti il carburante in un posto distante da veicolo di servizio.

Al contrario, gli atti d’indagine valorizzati hanno restituito un ben diverso quadro probatorio: il (OMISSIS) era stato sorpreso dalla pattuglia dei Carabinieri in un luogo isolato nei pressi di un casolare mentre stava tentando di occultare le taniche nella sterpaglia dopo che il giorno antecedente aveva ottenuto dai superiori l’esenzione dal servizio di esercitazione e la destinazione alla conduzione dell’automezzo, all’evidente scopo di creare l’occasione propizia per realizzare l’asportazione del carburante grazie agli strumenti di cui si era appositamente munito.

Accanto a tali emergenze gia’ in se’ indicative di una condotta preordinata alla sottrazione, la sentenza impugnata ha evidenziato le emergenze della relazione di servizio e gli accertamenti condotti sul serbatoio del veicolo di servizio, dal quale e’ risultato mancante un sensibile quantitativo di carburante rispetto ai dati documentali del rifornimento ed al percorso seguito.

La sentenza impugnata ha offerto dunque soluzione alle questioni sollevate con l’appello in aderenza agli orientamenti interpretativi della giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali la confessione resa dall’imputato puo’ anche essere l’unico elemento posto a fondamento del giudizio di responsabilita’, anche in assenza di elementi oggettivi di riscontro, dal momento che non il suo utilizzo probatorio non e’ soggetto alle medesime limitazioni prescritte dall’articolo 192 c.p.p. per la chiamata in correita’.

Tale utilizzo resta pero’ condizionato dall’esame delle circostanze obiettive e subiettive che hanno determinato e accompagnato la dichiarazione e dalla verifica positiva della sua veridicita’, genuinita’ ed attendibilita’, nella dimostrata insussistenza di qualsiasi sospetto di intenti autocalunnatori o di intervenuta costrizione dell’interessato (Cass. sez. 6 , n. 13085 del 03/10/2013, Amato e altri, rv. 259489; sez. 4 , n. 20591 del 05/03/2008, D’Avanzo e altro, rv. 240213; sez. 1 , n. 14623 del 04/03/2008, Abbrescia, rv. 240114; sez. 1 , n. 4790 del 13/01/1997, Savi ed altri, rv. 207577).

Quanto alle questioni sollevate in ordine alla pretesa illegalita’ dell’arresto, premesso che lo stesso e’ stato ritualmente convalidato dal G.I.P., va aggiunto che, anche a voler ammettere che l’imputato fosse stato oggetto di pregresse investigazioni, e’ certo che soltanto all’atto della sorpresa nella flagrante detenzione delle taniche col carburante prelevato dal serbatoio del veicolo di servizio, appositamente collocato in sosta in luogo isolato, si era acquisita la concretezza e la specificita’ di indizi della contestuale commissione della condotta illecita che avevano suggerito di trarlo in arresto, senza che, date le circostanze, fosse esigibile la presenza in quel momento del suo difensore.

Che poi la verbalizzazione sia avvenuta successivamente nulla toglie alla sussistenza dei presupposti di legge per limitare la liberta’ personale dell’imputato, mentre dai verbali di perquisizione e sequestro risulta che le taniche erano state rinvenute contestualmente rispetto al momento di accertamento del reato.

Va poi escluso che possa essere sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimita’ la questione sull’omesso avvertimento rivolto all’imputato della facolta’ di farsi assistere da difensore di fiducia: la violazione della prescrizione di cui all’articolo 114 disp. att. c.p.p. a nullita’ a regime intermedio, come ripetutamente stabilito dall’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione (sez. 4 , n. 44840 del 11/10/2012, Pg in proc. Tedeschi, rv. 254959; sez. 3 , n. 14873 del 28/03/2012, Rispo, rv. 252397; sez. 2 , n. 13392 del 23/03/2011, Mbaye, rv. 250046; sez. 5 , n. 44538 del 09/10/2008, Elefante, Rv. 241904; sez. 4 , nr. 42715 del 25/9/2003, Giannandrea, rv. 227303), e, come tale, deve essere eccepita o prima, oppure immediatamente dopo il compimento dell’atto, ossia subito dopo la nomina del difensore, ovvero entro il termine di cinque giorni che l’articolo 366 c.p.p., concede a quest’ultimo per l’esame degli atti.

Tale onere non risulta rispettato nel caso di specie, dal momento che la questione e’ stata posta per la prima volta col ricorso per cassazione, in modo quindi tardivo.

Infine, va rilevato che le sentenze di merito hanno evidenziato come a carico del ricorrente fosse state poste le dichiarazioni confessorie, rese non gia’ soltanto alla polizia giudiziaria all’atto o subito dopo l’arresto, quanto quelle acquisite nel corso dell’udienza di convalida, svoltasi alla presenza e con l’assistenza del suo difensore, senza quindi sia ravvisabile lo specifico profilo di nullita’ denunciato ai sensi dell’articolo 350 c.p.p. comma 7.

Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza di tutte le sue deduzioni;  segue d diritto la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, di una somma in favore della cassa delle ammende, che reputasi equo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

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