Condominio, telecamere private e privacy
Cassazione penale sentenza n. 30191/2021
Giurisprudenza penale – Sentenza n. 30191/2021 Corte di Cassazione – Videocamere – Videosorveglianza – Condominio – Aree comuni, Parcheggio – Violazione della privacy – Interferenza illecita nella vita privata altrui – Violazione di domicilio
Possiamo installare delle videocamere sul balcone di casa per riprendere le parti comuni del condomini? Un tale comportamento potrebbe configurare qualche particolare figura di reato oppure è consentito farlo? Riprendere le parti comuni del condominio (scale, giardino, parcheggi, etc.) costituisce una violazione della privacy?
La risposta a tutte queste domande le fornisce la quinta sezione penale della Suprema corte di Cassazione con la sentenza n.30191/2021 che proprio in materia di video-sorveglianza, ha affermato che non integrano i reati di cui agli artt. 612 bis, 615 e 615 bis del codice penale le telecamere installate in una abitazione che riprendono il parcheggio del condominio. In pratica, secondo gli ermellini, la ripresa delle parti comuni del condominio al fine di accertare la commissione di illeciti, non configura né il reato di violazione di domicilio né quello di interferenza illecita nella vita privata altrui.
Per saperne di più leggi sotto il testo della sentenza:
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata emessa il 16 aprile 2019 dalla Corte di appello di Torino nei confronti di P.A.M. e A.E., condannati con rito abbreviato, sia a fini penali che civili, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città per atti persecutori ai danni dei vicini di casa L.M. e Ab.Gi.. La Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche e rideterminando in mitius, di conseguenza, la pena, nonchè riducendo la somma individuata come provvisionale dal Giudice di prime cure.
2. Contro l’anzidetta sentenza ha proposto due distinti ricorsi il difensore di fiducia degli imputati, Avv. Marco Borno, ricorsi in gran parte sovrapponibili e, pertanto, compendiabili unitariamente, salve alcune differenze di carattere meramente terminologico e dei passaggi specifici della posizione della P., di cui si darà conto.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, in particolare dell’art. 192 c.p.p., in ordine alle dichiarazioni di A.S., figlia degli imputati, che ha riferito degli atteggiamenti provocatori delle persone offese. I ricorrenti lamentano, quindi, la visione senza contraddittorio dei filmati realizzati mediante la telecamera posta sul balcone dei coniugi Ab.- L., la mancata contestualizzazione degli episodi rispetto a mesi e mesi di riprese e la mancata considerazione che le aree pertinenziali erano in comproprietà. Le condotte degli imputati viste nei filmati – si legge nei ricorsi – sono atteggiamenti normali, non animati da intenti persecutori e tesi solo a salvaguardare gli spazi comuni. Sarebbe stato altresì violato l’art. 191 codice di rito perchè la ripresa delle aree di proprietà comune, utilizzate per la decisione, integra il reato di cui all’art. 615-bis c.p. (615 nel ricorso della P.).
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e sembra agitare un profilo di contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte territoriale prima ha escluso e poi ha ritenuto la rilevanza penale dei comportamenti dei prevenuti. Sostare in prossimità della zanzariera dell’appartamento Ab./ L. e rimettere nel cassonetto materiali che ne erano fuoriusciti non costituisce nè minaccia, nè molestia, tanto più che tutti gli episodi descritti nella relazione di p.g. del 4 marzo 2016 sono avvenuti quando la zanzariera era calata e, quindi, le persone offese non erano in casa. La mancanza di invasività delle condotte dei prevenuti sarebbe dimostrata dal ritardo con cui i fatti sono stati denunziati. La donna immortalata nei filmati era solo transitata davanti all’alloggio delle persone offese, percorrendo un marciapiedi in comproprietà e si era fermata per qualche istante, senza tenere condotte persecutorie.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha insistito per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
Motivi della decisione
I ricorsi sono inammissibili.
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1. Innanzitutto, esso è portatore di una generica richiesta di rivisitazione del ragionamento probatorio, priva di confronto con le argomentazioni della decisione della Corte di appello, che ha sia analizzato gli elementi a carico provenienti dalle dichiarazioni delle persone offese, sia la conferma che a queste ultime è venuta dalle immagini estratte dai filmati, eloquenti – accanto a condotte non rilevanti ex art. 612-bis c.p., – di atteggiamenti invasivi degli imputati. Nel contempo è stata vagliata e reputata ininfluente a discarico la dichiarazione resa al difensore dalla figlia degli imputati, siccome portatrice di notizie apprese de relato, argomentazioni che i ricorsi si limitano a criticare, ma che non giungono a contrastare specificamente.
D’altra parte, come più volte osservato da questa Corte – e di recente ribadito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027) – non è consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p. anche se in relazione all’art. 125 e art. 546, comma 1, lett. e), medesimo codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza.
1.2. Quanto alla dedotta inutilizzabilità dei filmati realizzati con la telecamera posta sul balcone delle persone offese e rivolta verso l’area comune – per il ricorso A. integrante il reato di cui all’art. 615-bis c.p. e,
per il ricorso P., la fattispecie ex art. 615 c.p., – i ricorsi sono manifestamente infondati per le seguenti ragioni, tutte mutuate dalla giurisprudenza di questa Corte.
1.2.1. In primo luogo – al netto del riferimento, nel ricorso P., al reato ex art. 615 c.p., del tutto inconferente rispetto alla regiudicanda – il Collegio osserva che non sussistono gli estremi del delitto di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615 bis c.p.. In casi del genere, infatti, l’esegesi di questa Corte ha sostenuto che l’uso di telecamere installate all’interno della propria abitazione, che riprendono l’area condominiale destinata a parcheggio ed il relativo ingresso, non configura detta fattispecie, trattandosi di luoghi destinati all’uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela della norma incriminatrice, la quale concerne, sia che si tratti di “domicilio”, di “privata dimora” o “appartenenze di essi”, una particolare relazione del soggetto con l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza (Sez. 5, n. 44701 del 29/10/2008, Caruso, Rv. 242588; Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv. 241745). Lo stesso principio è stato ribadito quanto alle scale condominiali ed ai pianerottoli, giacchè essi non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo di sguardi indiscreti, essendo destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 34151 del 30/05/2017, Tinervia, Rv. 270679).
1.2.2. Quanto alla natura di dette prove, il Collegio intende dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 c.p.p., sicchè i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità (Sez. 5, n. 31831 del 06/10/2020, Comune, Rv. 279776; Sez. 5, n. 21027 del 21/02/2020, Nardi, Rv. 279345; Sez. 2, n. 6515 del 04/02/2015, Hida, Rv. 263432). Nella sentenza Comune, questa Corte ha altresì precisato -e ciò smentisce un’altra censura che si legge nel ricorso – che le videoregistrazioni effettuate dai privati con telecamere di sicurezza – siccome prove documentali rappresentative – non necessitano, per la loro utilizzazione in giudizio, della diretta visione nel contraddittorio delle parti, alle quali è garantito il diritto di prenderne visione e di ottenerne copia.
1.2.3. In ordine alla pretesa violazione della normativa sulla privacy, a parte che i ricorrenti agitano una circostanza di fatto e lo fanno in maniera generica, va comunque ricordato che, secondo i condivisibili approdi di questa Corte, è legittimamente acquisito ed utilizzato ai fini dell’affermazione della responsabilità penale un filmato effettuato con un telefonino ovvero quello eseguito grazie ad un sistema di videosorveglianza a prescindere dalla conformità alla disciplina sulla privacy, la quale non costituisce sbarramento all’esercizio dell’azione penale (Sez. 5, n. 2304 del 28/11/2014, dep. 2015, Chfouka, Rv. 262686; Sez. 2, n. 6812 del 31/1/2013, non massimata).
2. Il secondo motivo di ricorso è totalmente versato in fatto, proponendo una lettura alternativa delle fonti di prova, che non può avere seguito nel giudizio di legittimità.
Riguardo all’approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all’esegesi – fatta propria anche dalle Sezioni Unite – secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, Rv. 238215).
3. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere i proponenti in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2021
___________________________________
Articolo 612-bis. cod. pen. – Atti persecutori.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
Articolo 615. cod. pen – Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale.
Il pubblico ufficiale, che abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, s’introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo precedente è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se l’abuso consiste nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge, la pena è della reclusione fino a un anno.
Nel caso previsto dal secondo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Articolo 615-bis cod. pen. – Interferenze illecite nella vita privata.
Chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.