Sentenza – Antiquariato, contraffazione e prescrizione
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza del 25 marzo 2014, n.13966
In materia di : contraffazione e prescrizione
Ritenuto in fatto
1. B.C. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di PERUGIA in data 5/06/2012, depositata in data 7/08/2012, con cui, in parziale riforma della sentenza 16/04/2008 emessa dal medesimo Tribunale, riduceva la provvisionale liquidata in primo grado a favore della parte civile ad Euro40.000,00, condannando l’appellante al pagamento delle spese di difesa della parte civile e confermando, nel resto, la sentenza, con cui la ricorrente e’stata condannata alla pena sospesa di un anno e tre mesi di reclusione ed Euro1.800,00 di multa (oltre alla pena accessoria della pubblicazione dellasentenza, per estratto ed una sola volta su tre diversi quotidiani, alpagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno cagionato alla parte civile N.A. con provvisionale di Euro 80.000,00 ed alle spese di costituzione e difesa della predetta p.c., con confisca di quanto sequestrato) nonche’interdetta dall’esercizio della professione per mesi 9 e gg. 24.
2. All’imputata e’ stato contestato di aver, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso,nella sua qualita’ di amministratore unico della s.r.l. Alfa, anche senza aver concorso nella riproduzione, posto in circolazione come autentici,esemplari riprodotti di oggetti di antichita’ (meglio indicati nell’elencoallegato alla sentenza); fatti commessi nell’esercizio di attivita’ commerciale,in (OMISSIS) (artt. 81 cpv c.p., 178, comma 1, lett. B), e comma 2, d. lgs.42/2004: capo a) dell’imputazione); di essersi ancora, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualita’ di amministratore unico della s.r.l.Alfa, con artifici e raggiri, consistiti nel garantire l’autenticita’ degli oggetti indicati nell’elenco allegato e nel promettere la consegna della relativa certificazione, inducendo cosi’ in errore N.A. , procurata l’ingiusto profitto di Euro 212.500,00, quale pagamento dei beni, con pari danno di rilevante gravita’ per la persona offesa; in (OMISSIS) (artt. 61, n. 7, 81 cpv e640 c.p.: capo b) dell’imputazione; per ambedue i capi, veniva contestata la recidiva reiterata ex art. 99 cod. pen., esclusa tuttavia in sede di merito.
3. Ricorre avverso la predetta sentenza, l’imputata, proponendo due distinti ricorsi per mezzo dei rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, avv. Stefano Menicacci ed avv. Franco Libori, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessariper la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Deduce la ricorrente, con l’articolato ricorso presentato dall’avv. S. Menicacci, il vizio di travisamento dei fatti, per mancanza e/o palese contraddizione nella parte motiva nonche’ il vizio di violazione di legge, evidenziando i punti dai quali tali vizi sarebbero desumibili (qualita’ professionali della ricorrente;qualita’ dei mobili venduti ai coniugi N. ; prove della pretesa truffa per gli altri mobili; querela penale del N. e istanza di sequestro; non equita’ delprezzo dei mobili; equita’ dei prezzi maggiorati; pretese mancate contestazionidel dott. Ba. ; comportamento del N. ; induzione a falso teste di A.F. );infine, mancata revoca dell’ordinanza di ammissione della parte civile, peraver il tribunale prima, e la Corte poi, consentito al N. di costituirsi parte civile in pendenza di una causa civile davanti al tribunale civile di Perugia.
3.2. Deduce la ricorrente, con il ricorso presentato dall’avv. F. Libori, cinque motivialtrettanto articolati:
1) violazionedell’art. 597, comma 3, c.p.p. (divieto di reformatio in peius); carenza di motivazione; contraddittorieta’ della motivazione con il dispositivo della sentenza impugnata;
2) violazione di legge riguardo all’art. 178, d. lgs. 42/04 ed agli artt. 640 e 15 c.p. nonche’all’art. 81 c.p.;
3) violazione di legge riguardo all’art. 178, comma 4, d. lgs. n. 42/04;
4) mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell’art. 606, lett. D), c.p.p.;
5) violazione di legge riguardo all’art. 178, d. lgs. n. 42/2004 ed art. 640 cp.; carenza di motivazione e travisamento dei fatti; contraddittorieta’ della motivazione con riferimento a prove acquisite con specifico riferimento alla querela del dott.N. , alla deposizione del N. , alla ct. del F. , alla ct. del dott. Ba. ed allac.t.u. della dott.ssa R. .
3.3. Deduce la ricorrente, con i motivi aggiunti di ricorso depositati in data 18/07/2013 dall’avv. F. Libori, sei ulteriori e articolati motivi:
1) violazione di legge riguardo all’art. 597 c.p.p.; omesso esame da parte della Corte d’appello del motivo riguardante la violazione di cui all’art. 178, d. lgs. n. 42/04;
2) violazionedell’art. 597, comma 3, c.p.p. (divieto di reformatio in peius); violazione dell’art. 521 c.p..p per mancata correlazione tra l’imputazione e la sentenza di 1 e 2 grado; carenza di motivazione; contraddittorieta’ della motivazione conil dispositivo della sentenza impugnata;
3) violazione di legge riguardo all’art. 178, d. lgs. 42/04 ed agli artt. 640 e 15 c.p. nonche’all’art. 81 c.p.;
4) violazione di legge riguardo all’art. 178, comma 4, d. lgs. n. 42/2004;
5) mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell’art. 606, lett. D), c.p.p.;violazione dell’art. 495 c.p.p., dell’art. 195 c.p.p. e dell’art. 6 p. 3, lett.D), della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 111 Cost;
6) violazione di legge riguardo all’art. 178, d. lgs. 42/2004 ed art. 640 c.p.; carenza di motivazione e travisamento dei fatti; contraddittorieta’ della motivazione con riferimento a prove acquisite con specifico riferimento alla querela del dott.N. , alla deposizione del N. , alla ct. del F. , alla ct. del dott. Ba. ed allac.t.u. della dott.ssa R. .
Considerato indiritto
4. I ricorsidevono essere rigettati perche’ infondati, confermando pertanto le statuizioni civili, pur dovendosi pronunciare declaratoria di annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per intervenuto decorso del termine di prescrizione massima dei reati contestati.
5. Occorre,preliminarmente, rilevare che i plurimi motivi di ricorso prospettati dalladifesa dell’imputata, pur attenendo a pretesi vizi di violazione di legge,tendono a prospettare, in realta’, censure di mero fatto rispetto alla decisioneimpugnata, in particolare ove vengono sollevati profili di doglianzariguardanti violazioni riconnesse all’ipotesi di cui alla lett. e) dell’art.606, c.p.p..
Il tratto comunedi tutti i motivi di ricorso proposti (sia per quelli tendenti a far rilevare idedotti vizi motivazionali ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sia per quelli afferenti ad apparenti vizi di violazione di legge, salvo le eccezioni di cui si dira’ oltre), avverso l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Perugia e’, almeno prevalentemente, quello del dissenso in ordine alla valutazione soprattutto delle dichiarazioni della persona offesa e delle altre risultanze processuali; dissenso peraltro espresso in termini generali, ossia in termini di ritenuta inattendibilita’ ed inidoneita’ della narrazione della persone offesa medesima ad offrire la prova della condotta fraudolenta perpetrata ai suoi danni. Dimentica, tuttavia, la ricorrente che, in questa sede di legittimita’, non si tratta di giudicare se la valutazione operata dai giudici di merito sia, o no, persuasiva;
cio’ non spetta a questa Corte, che non puo’ essere chiamata a svolgere un’ulteriore valutazione di merito.
Si tratta invece di verificare se l’impianto argomentativo della motivazione della sentenza impugnata consista, o no, in una rete di connessioni logiche e non contraddittorie.
Certo – puo’notarsi subito – sentenze cosi’ dettagliate e scrupolose quali quelle della Corte d’appello di Perugia e del Tribunale di Perugia lasciano poco spazio a censure di vizio di motivazione; mentre rimangono a margine – come processualmente irrilevanti – il dissenso valutativo di ciascun ricorrente, le perplessita’ di alcune dichiarazioni della persona offesa alla luce della presunta inattendibilita’ della stessa, dubbi che sono inevitabili in vicende di tal genere. Ma occorre pur sempre tener conto che il parametro di valutazione del giudice di merito e’ quello dell’art. 533 c.p.p., comma 1, come sostituito dallaL. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5: il giudice pronuncia sentenza di condannase l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli ‘al di la’ di ogniragionevole dubbio’. Cfr. Cass., sez. 1^, 8 maggio 2009, Manickam, che ha in generale affermato che la regola di giudizio compendiata nella formula’al di la’ di ogni ragionevole dubbio’, recata dall’art. 533 c.p.p.,comma 1, impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualita’ remote, pur astrattamente formulabili eprospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benche’ minimoriscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana; conforme: Sez. 1, n.17921 del 03/03/2010 – dep. 11/05/2010, Giampa’, Rv. 247449. Ed in proposito questa Corte ha piu’ volte sottolineato che nel processo penale vige, in materia probatoria, la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio’,laddove nel processo civile opera la diversa regola della preponderanza dell’evidenza o ‘del piu’ probabile che non’.
6. Puo’ quindi procedersi all’esame dei singoli motivi di ricorso, muovendo anzitutto da quelli che, per priorita’ logica, investono profili di violazione di legge, in alcuni casi intimamente connessi con il vizio motivazionale, di talche’ si procedere alla loro trattazione congiunta.
7. Muovendo,pertanto, dal primo motivo di ricorso avv. Libori e dal primo motivo di ricorsodell’Avv. Menicacci, con cui viene eccepita la violazione dell’art. 597, comma terzo, c.p.p., unitamente al vizio di motivazione – motivo di ricorso che e’ulteriormente specificato sia come primo motivo aggiunto nell’atto depositato il 18/07/2013 dall’Avv. Libori in relazione all’asserita omessa motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 178, d. lgs. n. 42/2004, sia come secondo motivo aggiunto esposto nel medesimo atto -, in sintesi, la difesa sostiene che la Corte d’appello, avendo escluso la contraffazione per alcuni dei mobili costituenti oggetto della truffa (in particolare, per il tavolo tondo dorato,la coppia mantovani in oro, il trittico mantovani in oro, il grande tappeto antico vecchia Cina e il tavolo rotondo dorato), avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione parziale riducendo la pena irrogata dal primo giudice,e non, come invece avvenuto, limitarsi a confermare la sentenza di primo grado,cosi’ violando il divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 c.p.,violazione che troverebbe conferma nel fatto che la stessa Corte territorialeha provveduto a dimezzare la somma liquidata a titolo di provvisionale dalprimo giudice, rideterminandola in 40.000,00 Euro. Il motivo e’ infondato.
Ed invero,ritiene il Collegio che nessun obbligo sussiste per il giudice di pronunciare una sentenza di assoluzione parziale nel caso in cui parte dei fatti non siano riconosciuti come sussistenti a fronte dell’unicita’ del reato; sul punto,analogo principio e’ stato affermato da questa stessa Sezione sebbene con riferimento a fattispecie diversa, ma con argomentazione di cui puo’ essere fatta coerente applicazione anche in fattispecie diversa come quella oggetto di esame (Sez. 3, n. 11802 del 29/01/2009 – dep. 18/03/2009, Berardi, Rv. 243402,in cui questa Corte ha chiarito che non v’e’ alcun obbligo per il giudice dipronunciare assoluzione parziale nel caso in cui parte dei materiali depositatiin maniera incontrollata siano esclusi dal novero dei rifiuti).
In merito, poi,all’asserito esame da parte della Corte territoriale del motivo di appello relativo alla violazione del reato di cui all’art. 178, d. lgs. n. 42/04,l’eccezione perde di giuridica rilevanza, atteso che, pur in presenza di unvizio motivazionale come quello dedotto, l’intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione del reato de quo non consentirebbe comunque aquesta Corte di disporre l’annullamento della decisione impugnata per sanare il vizio motivazionale riscontrato, attesa la prevalenza della causa diproscioglimento; a cio’, del resto, si aggiunge, che la questione non rilevasulla conferma delle statuizioni civili, atteso che le stesse seguono al solo riconoscimentodella lesione della sfera patrimoniale della parte civile provocata ex art. 185c.p. dalla perpetrazione in suo danno del reato di truffa.
8. Quanto al secondo motivo di ricorso avv. Libori, cui si riporta pedissequamente il terzo motivo di ricorso ‘aggiunto’ depositato il 18/07/2013 – nonche’ con riferimento al terzo motivo del ricorso principale avv. Libori, riguardantel’asserita violazione del comma quarto dell’art. 178 citato, cui si riporta pedissequamente il quarto motivo di ricorso ‘aggiunto’ depositato il18/07/2013 -, con gli stessi si eccepisce la violazione dell’art. 178, d. lgs.n. 42/04 (sia perche’ la norma si riferirebbe ad oggetti ben individuati,dunque, specifici, donde l’inapplicabilita’ al caso in esame, in cui si discutedi commercializzazione di mobili antichi, non definibili od individuabili,peraltro non avendo mai rilasciato la ricorrente una certificazione diautenticita’, con conseguente impossibilita’ di disporre la confisca di cui alcomma quarto dell’art. 178) e si sostiene che tale fattispecie sarebbe specialerispetto al delitto di truffa, in quanto ipotesi particolare di truffa aventead oggetto contraffazione di opere di pittura, scultura, grafica, oggetti di antichita’, oggetti di interesse storico od archeologico posti in commercio comeautentici. Tutti i profili di doglianza sono infondati.
Ed invero,quanto al primo, e’ utile richiamare, per meglio comprendere la soluzione adottata da questa Corte, la norma in esame. L’art. 178, d. lgs. n. 42/04,sotto la rubrica “Contraffazione di opere d’arte’, punisce, in relazioneall’ipotesi di cui alla lett. b) del comma primo: ‘chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone incommercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nelterritorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici,esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura,grafica o di oggetti di antichita’, o di oggetti di interesse storico odarcheologico’, prevedendo, al comma secondo, che ‘se i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attivita’ commerciale la pena e’ aumentata e allasentenza di condanna consegue l’interdizione a norma dell’articolo 30 delcodice penale’, con pubblicazione (comma terzo) della sentenza ‘sutre quotidiani con diffusione nazionale designati dal giudice ed editi in trediverse localita’. Si applica l’articolo 36, comma 3, del codice penale’,oltre la confisca obbligatoria (comma quarto) ‘degli esemplaricontraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nelcomma 1, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estrane e al reato.Delle cose confiscate e’ vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle astedei corpi di reato’. Cosi’ richiamato il testo normativo, e’ evidente dallasemplice lettura della lett. b) che, ai fini della configurabilita’ del reato,non e’ necessario che l’opera sia qualificata come ‘autentica’,essendo sufficiente che manchi la dichiarazione espressa di non autenticita’,atteso che la punibilita’ del fatto e’ esclusa, in caso di dichiarazione espressadi non autenticita’ all’atto dell’esposizione o della vendita, medi anteannotazione scritta sull’opera o sull’oggetto ovvero, quando cio’ non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, con dichiarazione rilasciata all’atto dell’esposizione o della vendita (v., daultimo: Sez. 6, n. 39474 del 24/09/2008 – dep. 21/10/2008, Trancalini, Rv.242126). L’eccezione difensiva, del resto, se puo’ valere con riferimento alle opere di scultura, pittura, etc. dove l’attribuzione ad uno specifico artista e’giustificabile, non puo’ certamente valere con riferimento agli ‘oggetti di antichita” (come i mobili antichi di cui si discute), per i quali l’autorenon rileva, in quanto la norma sanzionatoria, oltre a tutelare l’acquirente da possibili frodi, tutela in primis il mercato delle opere d’arte ed ilpatrimonio artistico e culturale dalla presenza e circolazione di falsi (Sez.3, n. 19249 del 04/05/2006 – dep. 01/06/2006, lacca, Rv. 234337).
Quanto, poi, al secondo profilo di doglianza, inerente al tema dei rapporti tra la fattispeciepenale speciale e quella di truffa, non puo’ porsi all’evidenza una questione di’assorbimento’ della seconda nella prima, atteso che, pur dovendosi riconoscere- per le ragioni espresse nel capoverso che precede – la natura plurioffensiva del reato previsto dal d. lgs. n. 42/2004, non e’ ipotizzabile un rapporto dispecialita’ tra fattispecie in quanto nella previsione della lett. b), commaprimo, manca – a differenza di quanto invece previsto nella lett. a) dellamedesima disposizione – il ‘fine di trarne profitto’, elemento,questo che potrebbe porre problemi di continenza tra fattispecie, in relazioneal fine specifico previsto dal ‘comune’ delitto di truffa. Cio’,dunque, consente, da un lato, di ritenere ammissibile il concorso materiale trale due fattispecie (quella della lett. b) del comma primo e quella dellatruffa) atteso che la fattispecie ‘speciale’ punisce il semplice fatto di porre in commercio, detenere per farne commercio, introdurre a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque porre in circolazione, come autentici, per quanto qui di interesse, i predetti ‘oggetti di antichita”, a prescindere dal fine di lucro (o di procurare per se’ o per altriun ‘ingiusto profitto’, come richiesto dall’art. 640 cod. pen.).Deve, pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: “Il reato dicui all’art. 178, comma primo, lett. b), D. Lgs. n. 42/2004, concorre con ilreato di truffa previsto dall’art. 640 cod. pen., in quanto la fattispeciepenale speciale punisce la condotta di chi – senza essere concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione -, pone in commercio, detiene perfarne commercio, introduce a questo fine nel territorio dello Stato o comunquepone in circolazione, come autentici, esemplari di quelle opere od oggettiindicati nella norma, a prescindere dal fine di procurare per se’ o per altri uningiusto profitto’.
All’infondatezza del motivo di ricorso afferente la pretesa (in)configurabilita’ dell’art. 178,d. lgs. n. 42/2004, consegue, logicamente, l’infondatezza del terzo motivo del ricorso principale dell’avv. Libori, trattandosi di confisca prevista dallalegge come ‘obbligatoria’ ai sensi del comma quarto dell’art. 178 citato,ne’ avendo fornito la difesa alcun elemento circa l’appartenenza dei mobili apersone estrane e al reato (v., nello specifico, la puntuale motivazione della Corte territoriale alle pagg. 16/17 dell’impugnata sentenza).
9. con riferimento al quarto motivo del ricorso principale dell’avv. Libori – cui siriporta il quinto motivo di ricorso ‘aggiunto’ depositato il18/07/2013, con cui si specifica ulteriormente l’asserita violazione delledisposizioni processuali di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p., della normaconvenzionale di cui all’art. 6, p. 3, lett. d), Conv. eur. dir. uomo edell’art. 111 Cost., il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel respingere la richiesta di rinnovazione della perizia sui mobili dicui si discute, lamentandosi della violazione dell’art. 606, lett. d), c.p.p.attesa la ‘decisivita” che tale mezzo istruttorio avrebbe assunto aifini della valutazione della stessa configurabilita’ dei reati ipotizzati. Ilmotivo e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
È, infatti,pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la perizia e’ mezzo di provaneutro, non classificabile – ai sensi dell’art. 495, comma secondo, cod. proc.pen. – ne’ come prova a carico dell’imputato ne’ come prova a discarico, ditalche’ va escluso che possa essere qualificata come ‘prova decisiva’la cui mancata assunzione costituisca, secondo il disposto dell’art. 606, commaprimo, lett. d) del codice di rito, motivo ammissibile del ricorso percassazione (v., tra le tante: Sez. 6, n. 37033 del 18/06/2003 – dep.26/09/2003, Brunetti, Rv. 228406).
Il relativo provvedimento di diniego, peraltro, e’ espressione di un giudizio di fatto che -proprio perche’ sorretto da adeguata motivazione (v. pagg. 15/16 dell’impugnatasentenza – e’ insindacabile in Cassazione. Nella specie, la Corte territorialemostra di condividere, aderendo criticamente alla valutazione espressa dalprimo giudice, le ragioni per le quali non ritenne che sussistessero ipresupposti per disporre perizia, richiamando sia le considerazioni espressedai consulenti tecnici sentiti nel dibattimento di primo grado (v. pagg. 9/14della sentenza di prime cure), sia soprattutto ritenendo convincenti leconsiderazioni espresse dal primo giudice nel momento in cui mise a confrontole osservazioni dei due cc.tt.pp. (quello del PM e quello della difesadell’imputata).
10. con riferimento al quinto motivo di ricorso avv. Libori – cui si riporta il sestomotivo di ricorso ‘aggiunto’ depositato il 18/07/2013 nonche’ il triplice profilo di doglianza espresso nel ricorso avv. Menicacci alle pagg.14/17 – la ricorrente sostanzialmente contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la sentenza impugnata e quella di prime cure, per aver ritenuto sussistere la responsabilita’ penale sulla base di un presupposto erroneo, ossia che la volonta’ contrattuale del querelante fosse stata frutto degli artifici e raggiri della Ba. , nel senso che il consenso all’acquisto degli oggetti di antichita’ non si sarebbe formato ove gli acquirenti fossero stati consapevoli trattarsi di beni non originali dell’epoca indicata negli ordinativi; in tal senso, la ricorrente nega di aver posto in essere gli artifizi e raggiri contestati, richiamando le risultanze delle consulenze tecniche esperite nel processo penale ed in quello civile, da cui risulterebbe l’assenza della c.s. iniquita’ dei prezzi dei mobili e la correlativa equita’ dei prezzi maggiorati.
Le doglianzesono infondate con riferimento alla prospettata censura motivazionale.
Ed, e’sufficiente richiamare quanto contenuto al punto 8, pag. 15 della motivazionedella sentenza di primo grado (valutabile unitariamente con quella d’appello,attesa la natura di doppia conforme, sul punto della sussistenza oggettiva esoggettiva del fatto, essendosi fatto carico il giudice di secondo grado diargomentare sulle censure mosse con i motivi di impugnazione: Sez. 6, n. 28411del 13/11/2012 – dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 256435), ove sievidenzia che le caratteristiche degli arredi, sicuramente consentono diaffermare che gli stessi non corrispondevano alle qualita’ fraudolentementeprospettate, con la conseguenza che tutti gli ordini conclusi, quand’ancheriferibili in parte a mobilio o tessuti non di antiquariato, possonoconsiderarsi viziati dalla sottesa frode, risultando complessivamente einscindibilmente propiziati da essa. La Corte territoriale, peraltro, mostra dicondividere criticamente le argomentazioni espresse dal primo giudice sul punto(v. pag. 16 dell’impugnata sentenza), tenendo in debito conto le argomentazionidifensive sulla presunta mancanza di una sproporzione tra il valore di stima,chiarendo come in sede dibattimentale, il ct. del PM avesse fornito indicazioniper le quali il valore di mercato dei mobili acquistati e presi in esame fosseassai inferiore al corrispettivo per essi pagato dai coniugi N. , indicazionidi valore che non avevano formato oggetto di puntuali motivate contestazioni daparte del ct. della difesa dell’imputata (affermazione cui, peraltro, la difesaavv. Menicacci, replica alle pagg. 16/17 del ricorso, svolgendo censure ancorauna volta in fatto che sfuggono alla possibilita’ di sindacato dellaCassazione); quanto, poi, alle considerazioni espresse dall’antiquario F. , sichiarisce che le stesse vennero assunte nell’ambito di un separato procedimentocivile, dunque, le stesse non erano valutabili nel procedimento penale (siaggiunga, a tacer d’altro, perche’ sottratte al contraddittorio).
A cio’ puo’aggiungersi, al fine di considerare provata la condotta fraudolenta, che la semplice visione degli ordinativi 15/11/04, 9/04/05 e 8/09/05, non lascia dubbi su quanto concordato tra le parti, visto che in nessuno di essi si parla di mobili ‘ritardatari’ o di mobili ‘tipo’ 600 o 700, mentre si indica, inequivocabilmente, l’epoca di realizzazione: a) quanto all’ordine 15/11/04, in particolare, il riferimento e’ alla ‘specchiera in oro del 600′; b) quanto all’ordine 9/04/05, il riferimento e’, in particolare, alla’coppia di grandi poltrone in seta blu Rubelli foglia oro del 700′,ad una ‘angoliera 600 marchigiano dipinta’ nonche’ a ‘camini del 500 in oro’; c) quanto all’ordine 8/09/05, il riferimento in particolare e’ad una ‘grande cornice del 600 in oro’.
Ancora, una volta, dunque, le censure difensive, pur prospettate sotto la veste diapparenti vizi di violazione di legge e di vizi motivazionali nella loro piu’ampia estensione (mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’), inrealta’, si risolvono in un articolato dissenso sui risultati della valutazione probatoria operata dai giudici di merito, in quanto tale richiedendo a questaCorte una, vietata, rivalutazione in fatto della vicenda, in quanto talesfuggente al sindacato di legittimita’. Appare chiaro, del resto, dal tenore deiprofili di censura che, con gli stessi, non si va falere un (nella specie,inesistente) travisamento della prova, ma – come del resto chiaramente espostodalla difesa nel ricorso avv. Libori (v. pag. 5 del motivo originario e pag. 8del ricorso contenente motivi ‘aggiunti’) – un travisamento delfatto, vizio che, come reiteratamente affermato da questa Corte, anche aseguito della modifica apportata all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dallaL. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita’, stante lapreclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazionedelle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito(v., da ultimo: Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 – dep. 26/06/2012, Minervini,Rv. 253099).
11. con riferimento, infine, ai plurimi profili di doglianza espressi nell’unico,articolato, motivo di ricorso avv. Menicacci, in cui la difesa della ricorrente, nel ripercorrere in fatto la vicenda, censura la decisioneimpugnata perche’ affetta dal vizio di travisamento dei fatti, per mancanza e/o palese contraddizione nella parte motiva nonche’ dal vizio di violazione di legge, evidenziando i punti dai quali tali vizi sarebbero desumibili (qualita’professionali della ricorrente; qualita’ dei mobili venduti ai coniugi N. ;prove della pretesa truffa per gli altri mobili; querela penale del N. eistanza di sequestro; non equita’ del prezzo dei mobili; equita’ dei prezzimaggiorati; pretese mancate contestazioni del dott. Ba. ; comportamento del N.; induzione a falso teste di A.F. ), appare ancora una volta evidente, pur nelle variabili sfaccettature delle doglianze mosse, come le censure siano svolte in punto di mero fatto, riproponendo, a volte una ricostruzione alternativa della vicenda, a volte – seppure con argomentazioni di fatto apprezzabili(ma in sede di merito, non certo di legittimita’) -, prospettando una diversa lettura, piu’ favorevole alla posizione della ricorrente, attraverso una critica all’impugnata sentenza che si risolve, all’evidenza, in un dissenso sulle valutazioni delle prove operate dai giudici di merito, come gia’ detto nel paragrafo che precede, sottratte al sindacato di questa Corte a fronte di una motivazione priva di contraddittorieta’ o di illogicita’ ‘manifesta’,che – come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte – non puo’consistere nella mancata confutazione di un argomento specifico relativo ad un punto della decisione che pur e’ stato trattato, sebbene in un’ottica diversa,dal giudice della sentenza impugnata, dando una risposta solo implicita all’osservazione della parte, ma deve consistere nella frattura logica evidente tra una premessa, o piu’ premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (v., tra le tante: Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 – dep.23/07/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132).
Che, del resto,lo scopo delle censure mosse con il ricorso avv. Menicacci, sia puramentecontestativo, si desume dalle stesse premesse dell’impugnazione. Si censura,infatti, la decisione impugnata perche’ avrebbe ‘erroneamenteinterpretato’ i reali accordi intervenuti tra le parti; non avrebbespecificato i dati effettivi della truffa perpetrata a danno delle pp.oo.; nesindaca gli approdi valutativi sulla quantita’ e qualita’ dei mobili forniti chenon si sarebbero tradotti sul piano del trattamento sanzionatorio e dellamisura ablativa; la critica, infine, per essersi fondata sulle conclusioni del c.t. del PM e per non aver colto il reale ruolo professionale della ricorrentedi arredatrice, sottovalutando i prezzi contrattati con i clienti.
Si tratta, all’evidenza,di questioni di fatto, sottratte al giudizio di questa Corte. Non deve,infatti, essere dimenticato che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga lamigliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, madeve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con ilsenso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento: cio’in quanto l’art. 606, comma primo, lett. e) del cod. proc. pen. non consentealla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una diversainterpretazione delle prove, perche’ e’ estraneo al giudizio di legittimita’ ilcontrollo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali(tra le tante: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – dep. 06/02/2004, Elia ed altri,Rv. 229369).
Ed allora,appare evidente che:
a) discutere delle qualita’ professionali della ricorrente (se sia venditrice o arredatrice ose la stessa pretenda o meno nelle contrattazioni il rilascio di expertise);
b) dedicare unampio quanto inutile (in questa sede di legittimita’, involgendo la censuraquestioni di mero fatto, non potendo certamente questa Corte entrare nel meritodelle valutazioni circa il valore della specchiera o del camino compravenduti)approfondimento sulla qualita’ e caratteristiche dei mobili venduti alle personeoffese;
c) censurare lasentenza in quanto difetterebbe un’esplicita querela che si riferisca ai mobiliritenuti come gli unici oggetto della truffa, a fronte, tuttavia, dell’avvenuta contestazione dell’aggravante dell’art. 61, n. 7, cod. pen. che rende il reatodi truffa procedibile d’ufficio a norma dell’ultimo comma dell’art. 640 cod.pen., cosi’ rendendo irrilevante la censura;
d) discutere dell’iniquita’ presunta del prezzo dei mobili e della correlativa equita’ deiprezzi maggiorati (questione gia’ affrontata nel p. 10);
e) discutere delcomportamento della p.o. e della moglie su cui la Corte avrebbe totalmenteomesso di esprimersi, ancora una volta descrivendo con analitico rigore losviluppo fattuale della vicenda, fornendo una diversa ‘verita” che sicontrapporrebbe a quella processuale, ancora una volta dimenticando che compitodi questa Corte non e’ quello di scegliere tra due ‘verita”, quella piu’ convincente, ma di controllare la motivazione, basandosi sullacoordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppail tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilita’ diverificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamentecorrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo;
f) discutere dell’induzione, peraltro, in un separato processo civile tra le parti, qualeasserito teste ‘falso’ di tale A.F. , che sarebbe stato inventatodalla p.o. per corroborare la sua tesi, teste non introdotto nel processo penale e che, pertanto, le cui dichiarazioni non sono state oggetto divalutazione in sede penale, con conseguente irrilevanza ed inammissibilita’della censura.
Ebbene, quantosopra evidenziato, rende ragione dalla manifesta infondatezza del ricorso delladifesa avv. Menicacci, in quanto improntato, lo si sottolinea ancora una volta,a prospettare questioni di mero fatto, contestando le risultanze degli approdi valutativi cui sono pervenuti i giudici di merito, tutte censure, dunque,sottratte al sindacato di legittimita’ della Corte di Cassazione il cui compito- non va mai dimenticato – non consiste nell’accertare la plausibilita’ el’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove,coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema divalutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre, conseguendone che, ai fini della denuncia del vizio ex art. 606, comma primo, lett. e)- cod. proc.pen., e’ indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento e’manifestamente carente di motivazione e/o di logica, mentre non e’, invece,producente opporre – come invece avvenuto nel caso in esame – alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione,magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (v., sul punto, efficacemente: Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999 – dep.04/11/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214567).
12. Infine,quanto all’ultimo profilo di censura avanzato nel ricorso avv. Menicacci, incui si contesta la mancata revoca dell’ordinanza di ammissione della parte civile, per aver il tribunale prima, e la Corte poi, consentito al N. dicostituirsi parte civile in pendenza di una causa civile davanti al tribunale civile di Perugia, l’infondatezza del medesimo e’ palese non soltanto ove si consideri che – come risulta dalla sentenza di primo grado – il giudice aveva estromesso la sola moglie del querelante N. sulla base alla ‘causa petendi’, respingendo l’eccezione quanto alla costituzione di parte civiledi quest’ultimo -, essendosi dunque correttamente riportato il giudice dimerito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui la revoca della costituzione di parte civile, prevista per il caso in cui l’azione venga promossa anche davanti al giudice civile, si verifica solo quando sussiste coincidenza fra le due domande, ed e’ finalizzata ad escludere la duplicazione dei giudizi, mentre, nel caso in esame, vi era diversita’ della ‘causa petendi’ (v., sul punto: Sez. 2, n. 62 del 16/12/2009 – dep. 05/01/2010,La Spina, Rv. 246266); inoltre, il motivo di ricorso e’ comunque inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen. in quanto tale asserita violazione di legge non risulta dedotta con i motivi di appello.
13. La complessiva infondatezza dei motivi di entrambi i ricorsi, dunque, ne comporterebbe il relativo rigetto; deve, tuttavia, considerarsi che, alla data odierna, tutti i reati sono estinti per prescrizione, in quanto, pur tenendo conto del periodo di sospensione di gg. 60 dovuto ad impedimento per ragioni di salute del difensore (cio’ che ebbe a comportare il rinvio del processo di primo grado dal 22 maggio 2009 al 22 settembre 2009, sospensione valutabile esclusivamente, come detto, nella misura di gg. 60 ex art. 159, comma primo, n.3) c.p.), l’esclusione della recidiva ha comportato l’intervenuto maturarsi del termine massimo di prescrizione alla data del maggio 2012 (per i fatti commessi nel novembre 2004) ed a quella del 18 aprile 2013 (data ultima indicata in ambedue le contestazioni), non potendosi tener conto ovviamente della sospensione verificatasi nel giudizio di legittimita’ dal 20 settembre 2013 al22 gennaio 2014 per adesione dei difensori all’astensione proclamata dall’UCPI,in quanto successiva alla perenzione del termine prescrizionale.
Ne consegue,pertanto, l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per estinzione di entrambi i reati per prescrizione, cui consegue la conferma delle statuizioni civili e la liquidazione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile,come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ i reati sono estinti per prescrizione.Conferma le statuizioni civili e liquida la somma complessiva di Euro 2.500,00 oltre accessori di legge per le spese sostenute dalla stessa nel grado.
Giuseppe Tripodi | Sentenze Cassazone