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Sentenza – Evasione, carcere e domiciliari

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Sentenza – Evasione, carcere e domiciliari
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 4 febbraio – 27 maggio 2014, n. 21620
Presidente Agrò – Relatore Leo

Ritenuto in fatto

1. È impugnata l’ordinanza del 13/11/2012 con la quale la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da M.C. avverso la sentenza in data 22/06/2012 del Tribunale di Monza.
Con tale ultimo provvedimento, l’odierna ricorrente era stata dichiarata colpevole del delitto di evasione, commesso a Vimercate il 21/06/2012, e condannata, con l’applicazione delle attenuanti generiche e della diminuzione di pena connessa al rito abbreviato, alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione.
2. Si legge nella decisione di condanna del Giudice di primo grado che la C. si trovava in condizione di arresti domiciliari allorquando, «allo scopo precipuo di essere arrestata e ricondotta in carcere», era uscita di casa, ed era stata appunto arrestata e condotta in carcere.
Con i motivi d’appello (ove si legge che la stessa interessata aveva avvertito i Carabinieri della propria iniziativa, facendosi trovare nei pressi dell’abitazione coi bagagli approntati per l’ingresso nella casa circondariale) si era sostenuto che, nella specie, farebbe difetto un dolo punibile di evasione. L’elemento soggettivo del reato consisterebbe nella volontà di sottrarsi al controllo cautelare sulla propria libertà personale od all’esecuzione di una pena. Sarebbe dunque difforme l’atteggiamento di chi voglia addirittura provocare un più alto livello di restrizione. Sul piano obiettivo, poi, l’applicazione della pena in un caso come quello di specie realizzerebbe una violazione del principio di offensività.
3. La Corte territoriale, con l’ordinanza impugnata, ha ritenuto l’appello inammissibile per la genericità dei motivi proposti, dato che l’interessata si sarebbe limitata a ribadire gli argomenti difensivi prospettati al Giudice di prime cure, già da quest’ultimo disattesi «con motivazione puntuale e pertinente», senza muovere critiche specifiche alla relativa determinazione. In particolare, la tesi difensiva sarebbe frutto di confusione tra dolo e movente.
4. Propone ricorso il Difensore dell’imputata – a norma dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen. – denunciando violazione di legge e difetto di motivazione in rapporto agli artt. 581, 591 e 601 del codice di rito.
L’inammissibilità dell’appello avrebbe potuto essere dichiarata solo se l’atto fosse stato davvero privo di specifici rilievi sulla decisione impugnata: avuto riguardo al caso particolare, solo se davvero il Giudice di prime cure avesse trattato gli argomenti offerti dalla difesa dell’accusata. Nella specie, invece, la sentenza appellata era priva di qualsiasi riferimento agli argomenti in questione, di talché, secondo il ricorrente, del tutto generica appare semmai l’ordinanza della Corte territoriale. L’appello, d’altra parte, conteneva riferimenti alla pur scarna motivazione della sentenza di condanna. In sostanza, sarebbe stato eluso il diritto ad ottenere una pronuncia in grado di appello sulle doglianze difensive.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato, e deve dunque essere accolto.
2. Come segnalato dal Difensore, e con la sola parziale eccezione del distinguo tra dolo e movente, la motivazione del provvedimento impugnato sembra sostanzialmente priva di pertinenza al caso concreto.
2.1. In primo luogo, il Giudice di prime cure non ha espresso alcuna valutazione circa l’incidenza dello scopo perseguito dalla C. sull’integrazione del dolo punibile, tanto meno mediante «una motivazione puntuale e pertinente». La miglior sintesi, sul punto, si ottiene trascrivendo integralmente la giustificazione apprestata dal Tribunale di Monza, dopo la descrizione dei fatti e delle dichiarazioni difensive, per la propria decisione di condanna: «ritiene accertato in modo inequivocabile che C. […] è uscita dall’abitazione di via Diaz a Vimercate, dove era ristretta agli arresti domiciliari, senza alcuna autorizzazione ed allo scopo precipuo di essere arrestata e ricondotta in carcere. In ragione di ciò C. […] deve essere ritenuta colpevole del delitto di cui all’art. 385 c.p., contestato in epigrafe».
2.2. In secondo luogo, tenuto conto anche della sostanziale assenza di motivazione della sentenza, l’atto d’appello non era «aspecifico, apodittico ed inconferente».
In esso si sosteneva – non importa qui con quale fondamento – che il dolo del delitto di evasione comprende la volontà di sottrarsi al controllo che l’autorità pubblica esercita mediante una data misura restrittiva, e che nella specie mancava una volontà siffatta, avendo l’interessata personalmente richiesto l’intervento della forza pubblica non appena uscita di casa, ed allo scopo di sottoporsi ad un controllo ancor più penetrante.
Si sosteneva, inoltre, che il fatto contestato sarebbe privo di offensività, evidentemente postulando che l’assenza di lesione effettiva dei bene giuridico dovrebbe escluderne la punibilità.
Tutto ciò non aveva trovato alcuna risposta nella sentenza impugnata, che non offriva argomenti suscettibili di una specifica confutazione. Senza dire che, naturalmente, l’appello è atto impugnatorio idoneo a consentire la piena devoluzione della regiudicanda.
2.3. Una qualche risposta è venuta semmai dalla Corte territoriale, con riferimento all’asserita confusione che l’appellante avrebbe operato tra movente dell’azione e dolo tipico della fattispecie. Il rilievo, tuttavia, è intervenuto nella sede impropria della dichiarazione preliminare di inammissibilità, e non all’esito dei giudizio di merito, da celebrarsi nel pieno contraddittorio tra le parti, cui la C. aveva certamente diritto.
Se di questo si tratta, l’assunto che il dolo del delitto di evasione consiste nella mera consapevolezza e volontà di violare le prescrizioni attinenti alla misura restrittiva in atto, a nulla rilevando il fine ulteriore perseguito dall’agente, attiene al merito della regiudicanda. L’assunto contrario, eventualmente infondato, non è aspecifico, né apodittico, né tantomeno inconferente (essendo anzi assai specifico e conferente). Al massimo, ed appunto, può giudicarsi non fondato (e nella specie non si è ritenuta una inammissibilità per manifesta infondatezza).
Manca d’altra parte ogni traccia di replica alla doglianza concernente l’asserito carattere inoffensivo del fatto in contestazione.
3. Sussistono dunque, come si prospetta dal ricorrente, tanto un vizio di motivazione (atteso il difetto di pertinenza dei sintetici rilievi spesi e la parzialità delle valutazioni richieste dall’atto di appello), tanto una violazione della legge processuale penale, ed in particolare dell’art. 591 in relazione alla lettera c) dell’art. 581 cod. proc. pen.
Di qui l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza di inammissibilità, con trasmissione degli atti alla Corte territoriale perché provveda alla celebrazione dell’invocato giudizio di appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’appello di Milano per il giudizio di appello.

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