In evidenza

Sentenza – Licenziamento per aver letto e-mail personali al lavoro

Sentenza – Licenziamento per aver letto e-mail personali al lavoro
Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Sentenza del 18 marzo 2014, n. 6222

Svolgimento del processo

M.C. ha impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli, dopo una sospensione cautelare, da V. S.p.A. a seguito di contestazione disciplinare con l’addebito di uso improprio di strumenti di lavoro e in particolare del P.C. affidatogli, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica. Ha dedotto sotto vari profili la nullita’ della sanzione, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Il Tribunale adito ha accolto la domanda e la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato tale decisione con la sentenza oggi impugnata, rilevando che il fatto contestato corrispondeva alla fattispecie disciplinare prevista dal contratto collettivo applicabile, ove e’ stabilita solo una sanzione conservativa per l’infrazione consistente nell’utilizzazione “in modo improprio di strumenti di lavoro aziendali”.

In relazione alla valutazione preventiva operata dalle parti sociali con l’art. 53 del contratto collettivo applicabile , secondo cui tali comportamenti non erano comunque di gravita’ tale da giustificare il pensionamento, il datore di lavoro non avrebbe potuto irrogare una sanzione disciplinare piu’ grave di quella pattizia.

De resto, anche a voler ritenere che la societa’ datrice di lavoro intendesse contestare una fattispecie diversa e piu’ grave di quella prevista dalla norma collettiva, le risultanze della consulenza tecnica di ufficio escludevano comunque la particolare gravita’ del comportamento del C ai fini della giustificazione del recesso.

Avverso tale sentenza la societa’ V propone ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato da memoria. M.C. resiste con controricorso.

Motivi della decisione 1.1. Con il primo motivo di ricorso, mediante la denuncia di vizi di violazione degli artt. 2119 cod.civ., 1 e 12 legge n. 604/1996, nonche’ omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi, si criticano le affermazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine alla coincidenza integrale tra la fattispecie disciplinare prevista dal contratto collettivo, secondo cui incorre nei provvedimenti dell’ammonizione scritta, della multa o della sospensione il lavoratore che “utilizzi in modo improprio strumenti di lavoro aziendali (accesso a strumenti di comunicazione, strumenti di duplicazione ecc.) con il comportamento contestato al lavoratore e posto a base del licenziamento per giusta causa.La ricorrente richiama il contenuto della lettera (riprodotta nel ricorso) di comunicazione dell’addebito di “uso improprio da parte sua di strumenti di lavoro aziendali e, nella specie, del P.C. a lei affidato, delle reti informatiche aziendali e della casella di posta elettronica”. In tale comunicazione si rendeva noto l’accertamento di esistenza nel PC affidato al dipendente di “programmi coperti da copyright non forniti dall’azienda e non necessari” per lo svolgimento di attivita’; di installazione nello stesso PC, oltre ai programmi in dotazione, di “software diversi non forniti dall’azienda e non necessari; dell’avvenuta utilizzazione per innumerevoli volte durante l’orario lavorativo della casella di posta elettronica di dominio aziendale per scopi personali non giustificati, “eludendo le chiare informative e molteplici preavvisi effettuati dall’azienda”.

Si sostiene quindi che con tale lettera sono stati contestati non solo l’uso improprio dello strumento di lavoro aziendale, ma anche la violazione del dovere di obbedienza di cui all’art. 2104 cod.civ., in relazione al richiamo della violazione di “chiare informative e “molteplici preavvisi”, nonche’ la riscontrata presenza nello stesso P.C. di materiale di carattere pornografico. Inoltre, l’abilitazione di tale strumento ad impieghi nuovi e diversi comportava, per l’utilizzo di programmi coperti da copyright, la violazione dell’art. 64 della legge n.

633/1941 con esposizione del datore di lavoro a conseguente responsabilita’. Di tali elementi non avrebbe tenuto conto la Corte territoriale, affermando che il comportamento contestato riguardava solo la fattispecie prevista dalla richiamata norma del contratto collettivo.

1.2. Analoghe censure di violazione di legge e vizio di motivazione vengono svolte con il secondo motivo, mediante la critica dell’ulteriore affermazione della sentenza impugnata secondo cui, anche a voler ritenere non contestata una fattispecie diversa e piu’ grave rispetto a quella contrattualmente prevista, doveva essere esclusa la particolare gravita’ del comportamento addebitato, in relazione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio in ordine ai “files” non legati all’attivita’ lavorativa di cui era stata riscontrata la presenza nel P.C.

Ad avviso della ricorrente, la consulenza tecnica aveva posto in luce elementi rilevanti ai fini della valutazione della gravita’ degli adempimenti, che non era stata adeguatamente compiuta. Sotto questo profilo, dovevano essere apprezzati sia l’uso quotidiano e molto frequente della posta elettronica, sia la installazione di una enorme quantita’ di file, con cui il lavoratore avrebbe dimostrato ” di intendere il posto di lavoro e il tempo di lavoro come destinato ad attivita’ di svago piuttosto che di adempimento” dell’obbligo di prestazione lavorativa.

Il giudice di appello ha inoltre omesso la valutazione della gravita’ dell’inadempimento sotto il profilo delle conseguenze pregiudizievoli per l’azienda dell’installazione di programmi coperti da copyright, come della violazione delle disposizioni impartite per l’uso del computer.

2. Il primo motivo non merita accoglimento. Non e’ posto in discussione il principio, applicato dalla Corte territoriale, secondo cui il datore di lavoro non puo’ irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione piu’ grave di quella prevista dal contratto collettivo applicabile in relazione ad una determinata infrazione (v. in questo senso, per tutte, Cass. 29 settembre 2005 n. 19053,17 giugno 2011 n. 13353).

Le allegazioni della societa’ ricorrente non valgono a dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, l’addebito mosso al dipendente riguardi infrazioni disciplinari autonome e diverse rispetto alla fattispecie contemplata dal contratto collettivo (richiamato nella lettera di contestazione) di uso improprio di strumenti aziendali. Il riferimento a precedenti informazioni e preavvisi (cioe’ disposizioni del datore dilavoro in ordine all’uso del computer aziendale) non prospetta certo una violazione di distinti obblighi contrattuali, rilevando solo ai fini della valutazione della gravita’ dell’inadempimento.

La “rilevata presenza di materiale pornografico” non corrisponde ad una specifica contestazione di addebito formulata con la suddetta lettera. La stessa non indica poi, quanto alla presenza di programmi coperti da copyright, la violazione di limiti posti alla utilizzazione dei programmi stessi, con conseguenti profili di responsabilita’ per l’azienda.

3. Il secondo motivo, che riguarda il giudizio di proporzionalita’ tra violazione contestata e provvedimento adottato, e’ ugualmente infondato.

La valutazione della gravita’ dell’inadempimento dal lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione attiene a questioni di merito che, ove risolte dal giudice di merito con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione sufficiente e non contraddittoria, si sottraggono al riesame in sede di legittimita’ (vedi tra le piu’ recenti Cass. 7 aprile 2011 n. 7948, 25 maggio 2012 n. 8293).

Nella specie, le critiche formulate dalla societa’ ricorrente rilevano sotto il profilo del denunciato vizio di motivazione della sentenza in ordine a tale valutazione di gravita’ dell’inadempimento contrattuale, che il giudice dell’appello ha accertato affermando la rilevanza disciplinare del comportamento del dipendente. La censura investe peraltro gli stessi fatti gia’ considerati dalla corte territoriale (in particolare con il richiamo delle risultanze della consulenza tecnica) e non indica quindi punti decisivi di cui sia stato trascurato l’esame.

4. Il ricorso deve essere quindi respinto con la condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Torna all’articolo

Invia un articolo