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Sentenza – Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice

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Sentenza – Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 17 aprile – 23 luglio 2014, n. 32704
Presidente Di Virginio– Relatore De Amicis

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15 aprile 2013 la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Avezzano in data 24 settembre 2010, che all’esito di rito abbreviato dichiarava F.F. responsabile del reato di cui all’art. 388 c.p., condannandolo alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 30,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, M.S. , per avere, nella sua qualità di amministratore di fatto della FASTER s.a.s. e della FABENE s.r.l., sottratto un bene (lettino abbronzante integrale del valore di 15.000,00 Euro) sottoposto a pignoramento ed affidato alla sua custodia, che vendeva alla AMIRA s.r.l. di C.A..
1.1. Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai Giudici di merito, il 14 febbraio 2007, su richiesta della parte creditrice “Elettra Servizi” di M.S. , veniva eseguito il pignoramento del bene su indicato nei confronti della società “Faster”, di cui era socio accomandante il F. : in quella sede, egli veniva nominato custode del bene, con l’obbligo espresso di tenerlo a disposizione della Autorità giudiziaria e di custodirlo nel luogo del rinvenimento. A seguito della denunzia-querela presentata dal M. , che lamentava, tra l’altro, l’utilizzo del bene, la Guardia di Finanza eseguiva un sopralluogo presso il centro benessere inizialmente gestito dalla società “Faster” ed accertava che il lettino abbronzante, nonostante il vincolo pignoratizio, era effettivamente in uso, e che la su indicata società “Amira” s.r.l., nel frattempo subentrata nella gestione della relativa attività, aveva acquistato tutti i macchinari, ivi compreso il bene mobile su indicato.
2. Avverso la suddetta pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, deducendo vizi di violazione di legge e carenze motivazionali in relazione agli artt. 2913 c.c. e 388 c.p., per essere stata trascurata la circostanza secondo cui il bene in questione era stato acquistato da un terzo, C.A. , amministratore della Amira s.r.l., unitamente ad altri beni facenti parte di un’azienda che egli rilevò, con la conseguenza che il bene pignorato era ricompreso in un’universalità di mobili come tale sottratta, per il disposto di cui all’art. 1156 c.c., all’operatività del principio sancito dall’art. 1153 c.c., riguardo al possesso di buona fede.
La vendita del bene pignorato era comunque inefficace nei confronti del creditore pignorante, non ritenendosi necessaria al riguardo la tutela della buona fede, atteso che il valore e l’importanza delle cose costituenti un’universalità di beni postula l’accertamento della legittimità della loro provenienza.
In tal senso si deduce, in definitiva, che la sottrazione non può discendere direttamente dalla circostanza di fatto relativa alla vendita del bene, il cui spostamento, peraltro, è avvenuto solo dietro autorizzazione del Giudice dell’esecuzione, essendo sempre rimasto nel luogo ove era stato pignorato, con la conseguente inesistenza dell’elemento intenzionale del reato contestato.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni di seguito indicate.
4. L’atto dispositivo del bene pignorato, posto in essere da colui che, come il custode, è direttamente a conoscenza degli obblighi specificamente riconducibili al vincolo giudiziario gravante sullo stesso, integra il reato in esame poiché rende comunque difficoltosa la efficace e pronta attuazione del diritto vantato dal creditore pignorante, a prescindere dal rilievo inerente alla c.d. “amotio”.
In tal senso, dunque, deve ritenersi irrilevante la deduzione difensiva inerente alla prospettata inefficacia della vendita nei confronti del creditore pignoratizio, poiché egli comunque dovrebbe adire la via giudiziaria per far accertare il suo diritto in caso di contestazione da parte del terzo di buona fede.
La impugnata pronuncia, dunque, ha fatto buon governo del quadro di principii stabilito da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie incriminatrice in esame è configurabile non solo quando la condotta sia obiettivamente idonea ad impedire la vendita della cosa pignorata, ma anche quando crei per gli organi della procedura esecutiva ostacoli o ritardi nel reperimento del compendio esecutato (Sez. 6, n. 179 del 02/10/1984, dep. 10/01/1985, Rv. 167317).
In tale prospettiva, infatti, si è osservato che la condotta di “sottrazione”, pur dovendosi definire in ragione della natura e del regime giuridico dei beni coinvolti -assumendo la stessa, corrispondentemente, estrinsecazioni diverse (v. Sez. 6, n. 31979 del 08/04/2003, dep. 29/07/2003, D’Angelo, Rv. 226220; Sez. 6, n. 42582 del 22/09/2009, dep. 06/11/2009, P.M. in proc. Mazzone, Rv. 244853) – costituisce una delle condotte alternative mediante le quali può realizzarsi il delitto in esame, ed esercita anche, rispetto alle altre, un ruolo di chiusura improntato all’esigenza di sanzionare ogni comportamento contrassegnato dalla direzione e dall’attitudine a ledere l’interesse tutelato, che è quello alla conservazione del vincolo di natura privatistica apposto su determinati beni, in funzione del corretto conseguimento delle finalità la cui attuazione esso specificamente viene a presidiare.
Sotto tale profilo, pertanto, si è ritenuta rilevante ogni attività idonea a rendere non solo impossibile, ma anche semplicemente più difficoltosa la concreta attuazione delle pretese, delle facoltà e dei diritti il cui pieno soddisfacimento l’ordinamento giuridico intende in tal guisa tutelare (v. Sez. 6, n, 179 del 02/10/1984, dep. 10/01/1985, cit.; Sez. 6, n. 4312 del 07/02/1985, dep. 07/05/1985, Scioscia; Sez. 6, n. 49895 del 03/12/2009, dep. 30/12/2009, P.M. in proc. Ruocco).
Ne consegue che il reato di sottrazione di cose sequestrate o pignorate sussiste ogni qual volta si ponga in essere un’azione diretta ad eludere il vincolo, cioè a rendere impossibile o difficile la realizzazione delle finalità cui la cosa, per effetto dell’imposizione del vincolo stesso, è rivolta, e ciò anche a prescindere dal rilievo di una materiale amotio del bene (Sez. 6, n. 4630 del 07/02/1984, dep. 18/05/1984, Rv. 164271).
Deve, infine, ribadirsi che, ai fini della configurazione dell’elemento psicologico del delitto de quo, è richiesto il dolo generico, il quale deve ritenersi integrato dalla conoscenza del vincolo giudiziario e dalla volontà dell’atto dispositivo, indipendentemente dal materiale spostamento del bene ovvero dallo scopo avuto di mira dall’agente.
5. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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