In evidenza

Testo sentenza, avances, colleghi, palpeggiamento

palpeggiamento colleghi

Testo sentenza, avances, colleghi, palpeggiamento
Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 30 settembre – 16 ottobre 2014, n. 43314
Presidente Squassoni – Relatore Andreazza

Ritenuto in fatto

1. M.M., tramite il proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila di conferma della sentenza dei G.u.p. presso il Tribunale di L’Aquila di condanna dello stesso per i reati di cui agli artt. 609 bis e 594 c.p. per avere costretto R.G. a subire contro la propria volontà un atto sessuale e per averne leso l’onore e il decoro pronunciando una frase ingiuriosa.
2. Con un primo e secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; si duole in particolare dei fatto che la Corte abbia dei tutto omesso l’obbligo di effettuare il doveroso e penetrante controllo della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa costituitasi anche parte civile in particolare con riguardo alle dichiarazioni rese dal teste S., svilite in ragione dei tempo trascorso e ancor più illogicamente utilizzate per affermare che l’asserito difetto di memoria dei teste costituirebbe addirittura prova dell’attendibilità della R.. In sostanza, non esistendo nella specie elementi di riscontro delle dichiarazioni accusatorie, tutt’altro valore logico avrebbe dovuto assumere l’unico e certo elemento in contrasto con esse al punto da inficiarle nel loro complesso. In particolare non sarebbe vero, come affermato dalla Corte, che detto teste non abbia ricordato, avendo lo stesso, anzi, precisato di non avere visto con assoluta certezza alcun colloquio svoltosi tra persone che si svolgesse nei pressi della sua postazione.
3. Con un terzo motivo lamenta la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale quanto alla affermazione che la frase pronunciata abbia avuto valenze ingiuriosa; in particolare, atteso il suo significato intrinseco, la locuzione deve considerarsi priva di animus iniuriandi, essendo del tutto mancato alcun intento di umiliare o dileggiare l’interlocutore; al contrario proprio perché pronunciata secondo la Corte nella fase dell’approccio sessuale, tale frase dovrebbe essere ricondotta nell’ambito di una assai grossolana proposta. Evidenzia inoltre il contenuto evidentemente autoreferenziale dell’espressione in quanto esplicitante un effetto che si sarebbe prodotto nella persona del M. e dunque non già un dileggio o un disprezzo; né si comprende perché l’offensività sia stata desunta dal collegamento funzionale della frase rispetto all’approccio sessuale.
4. Con un quarto motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione ad ogni reale esame circa la prova dell’esistenza dei fatto di ingiuria, non potendo neppure alle dichiarazioni della persona offesa essere conferito lo speciale status di prova che assiste quelle riguardanti i reati sessuali.

Considerato in diritto

5. Con il primo ed il secondo motivo, sostanzialmente tesi a lamentare il medesimo vizio motivazionale, il ricorrente ha essenzialmente deprecato la non adeguata valutazione di dichiarazioni testimoniali (in particolare quelle del testimone S.) che smentirebbero la versione resa dalla persona offesa secondo cui, in particolare, la sera dei fatto, dopo che l’imputato le aveva toccato il sedere sul luogo di lavoro, era intercorso con lo stesso (lei all’interno e lui all’esterno mentre conversava appunto con la guardia giurata S.) un brevissimo scambio di battute.
Detta censura, tuttavia, è inammissibile.
E’ lo stesso ricorso a riportare, in conformità dei resto con quanto emergente dalla sentenza, che S., sentito una prima volta dalla polizia giudiziaria, ebbe ad affermare di non ricordare, di avere visto, la sera dei fatti, la donna che entrava nel bagno o nello spogliatoio per cambiarsi e, sentito alcuni mesi dopo in sede di indagini difensive, aveva poi escluso con assoluta certezza di avere visto un colloquio tra persone nei pressi della sua postazione. Sono quindi lo stesso contenuto e la collocazione temporale di dette dichiarazioni (subito dopo i fatti in termini di “non ricordo” e successivamente in termini di “non ho visto”) a prestarsi ad una complessiva valutazione sulla attendibilità che, sotto il profilo logico, ben può avere, come quella effettuata dai giudici di merito, esito favorevole tenendo conto, come sottolineato dalla stessa Corte territoriale, che, in prima battuta, e quindi in tempi più prossimi ai fatti, il teste aveva appunto dichiarato, in termini neutri, di non ricordare. Né l’affermazione, secondo cui, se la parte offesa avesse voluto rendere una versione calunniosa, si sarebbe ben guardata dal coinvolgere nel proprio racconto terze persone (come appunto S.) rischiando di essere smentite, può significare, come preteso dal ricorrente, che il mancato riscontro delle affermazioni della parte offesa assurgerebbe a prova della loro veridicità, avendo invece la Corte utilizzato l’evocazione da parte della donna di una terza persona come non illogico sintomo di una sua attendibilità. In definitiva, la motivazione sull’attendibilità della persona offesa appare congrua e logica tanto che ogni censura sul punto appare in realtà risolversi in una inammissibile pretesa di rivalutazione del compendio probatorio.
6. Il terzo motivo, pregiudiziale rispetto al quarto, è invece fondato.
La Corte di merito ha disatteso la doglianza difensiva in ordine alla mancanza, nella frase pronunciata, di illiceità alcuna affermando che la portata ingiuriosa della stessa sarebbe indiscutibile “dal momento che proprio la stessa ha integrato il primo approccio di carattere sessuale verso la parte offesa”. Tale conclusione appare tuttavia fondata sull”illogico presupposto per cui il solo fatto dei collegamento all’approccio sessuale, successivamente posto in essere dall’imputato, avrebbe dovuto conferire alla frase una valenza di per sé necessariamente ingiuriosa; al contrario la Corte, senza arrestarsi a considerare il solo aspetto dei reato sessuale, quasi facendolo coincidere con quello della lesione verbale dell’altrui onore, avrebbe dovuto anzitutto analizzare il contenuto oggettivo della frase e verificare se esso, per le parole pronunciate, esprimesse appunto, come necessario per l’integrazione del reato, offesa dell’altrui onore e decoro.
Sennonché, così facendo, e pur essendo indubbia la terminologia volgare e ineducata delle specifiche parole ricomprese nella frase contestata, e su cui si è evidentemente appuntata l’attenzione dei giudici atteso appunto il termine usato (“…Giuseppì…stasera ho un cazzo…”), avrebbe dovuto concludersi, stante l’inequivoco riferimento dell’imputato non già alla interlocutrice, bensì a se stesso, per l’assenza di offesa alla dignità altrui e, dunque, per la non integrazione del reato contestato.
7. La sentenza va dunque annullata senza rinvio, ex art. 620 lett. I) c.p.p., relativamente al reato di ingiuria perché il fatto non sussiste con conseguente eliminazione della pena, già apportata dal primo giudice a titolo di aumento per la continuazione rispetto al più grave reato base, di giorni venti di reclusione residuando la pena finale di mesi undici e giorni dieci di reclusione. Il ricorso va, nel resto, rigettato.
Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione per intero tra imputato e parte civile delle spese processuali sostenute da quest’ultima.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 594 c.p.p. perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di giorni venti di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara compensate per intero tra le parti le spese sostenute dalla parte civile.

Torna all’articolo

Invia un articolo