Sentenze Cassazione

” Sparlare ” dei propri collaboratori potrebbe costar caro, lo dice la Cassazione

Sparlare dei collaboratori potrebbe costar caro, lo dice la Cassazione

Nel luogo di lavoro sono tante le situazioni che possono facilmente inclinare i rapporti tra colleghi, siano essi superiori o subalterni.

Il posto di lavoro e la vita sociale coi colleghi possono essere inquadrati rispettivamente come una seconda casa e una seconda famiglia proprio perchè le ore trascorse insieme dentro le mura dell’Ufficio creano questa atmosfera di vicinanza e collaborazione ma, proprio come in una famiglia, le liti e le incomprensioni sono sempre in agguato e, a volte, basta una scintilla per scatenare l’inferno.

Il caso che esamineremo tratta di una situazione che non di rado si manifesta anche nelle migliori famiglie e che pone le basi per una sana litigata tra parenti.

In ogni famiglia, ma soprattutto in ogni ufficio, c’è sempre qualcuno con la “lingua lunga” ovvero qualcuno a cui piace sparlare di un proprio collaboratore anche innanzi a persone a cui le vicende raccontate poco interessano.

Sarebbe proprio il caso di dire che vicende come questa che andremo a descrivere costituiscono quelle classiche situazioni in cui l’oratore proprio non riesce a trattenersi.

La Cassazione ha dovuto pertanto affrontare un caso del genere e, anche se tra i compiti dell’alta corte non rientra quello di insegnare educazione e Bon Ton, non ha potuto fare a meno di precisare alcune regole di comportamento e buone maniere che dovremmo sempre ricordare.

Ovviamente non è educato sparlare di un proprio collaboratore ma se proprio lo si deve fare, se siamo spinti dalla voglia irrefrenabile di criticare l’operato del collega, sarebbe opportuno farlo con un minimo di discrezione e senza troppi interlocutori anzi meglio ancora senza che nessuno possa sentire le “belle” parole destinate al collaboratore.

Sia chiaro poi che la diversa posizione occupata in azienda resta indifferente ai fini della condotta sbagliata che è stata appena descritta.

Sparlare di una persona non è educato sia nel caso in cui a parlare male fosse il capo, (o qualcun altro dirigente dell'”ultimo piano”) sia se lo facesse il portiere (al “piano terra”).

Infatti, il caso che ha avviato l’iter giudiziario è stata proprio un’uscita infelice del manager di una Coop che, durante un seminario, ha citato un collaboratore come esempio da non imitare dal punto di vista lavorativo.

Il manager si è rivolto alla platea sparlando del collaboratore assente all’evento come esempio lavorativo da non seguire, perché addirittura rimosso dall’incarico “per incapacità a ricoprire il ruolo”.

La sola discrezione che ha avuto il suddetto dirigente è stata quella di non riferirsi al dipendente col suo nome ma questa accortezza non è stata determinante ai fini della decisione che sul punto hanno preso i Giudici infatti l’uomo venne reputato colpevole si avere offeso la reputazione del sottoposto ed era stato condannato per il reato di diffamazione, sia in primo sia in secondo grado.

Il presidente della Cooperativa per non esser condannato ha presentato ricorso in Cassazione ed a sua difesa ha rivendicato il diritto della  “libera manifestazione di pensiero consentita a chiunque in uno stato democratico, in via generale, e a maggior ragione nell’ambito di un rapporto subordinato dove e’ riconosciuto al datore di lavoro un potere valutativo e disciplinare”.

La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso ma ha disposto un nuovo esame della vicenda innanzi al Tribunale e ha osservato che “non e’ consentito con la parola o con qualsiasi altro mezzo di espressione, ledere l’altrui reputazione, salvo che per tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.

Secondo i supremi giudici è sempre necessario «accertare se il sacrificio della reputazione del dipendente sia proporzionato all’interesse perseguito posto che la valutazione della continenza non può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco».

Con l’occasione la Corte ne ha approfittato per stilare (nella sentenza) un vero e proprio vademecum del “buon dirigente”, in cui la regola numero uno potrebbe proprio diventare quella che la reputazione dei dipendenti non si può “sacrificare” tanto alla leggera. Specie se ci si trova in un contesto pubblico, davanti ad una platea.

Naturalmente, il dirigente rischia ancora di esser condannato e noi resteremo in attesa di vedere come si concluderà la vicenda.

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