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Istigazione. La legge, l’evoluzione e la procedura in caso di suicidio

Istigazione. La legge, l’evoluzione e la procedura in caso di suicidio

(di Federica Gazzelloni)

separazione giudiziale colpaNumerosi sono i quesiti conseguenti ad atti lontani da contenuti sociali quali Istigazione al suicidio, Istigazione all’omicidio, Omicidio tentato portando la valutazione della legge, come regolamentazione giurisdizionale dell’atto, a proposte di adattamento attualmente gestibili.

In un delitto possono prendere parte diverse persone, quindi la Giustizia vuole, che tutte siano chiamate a rispondere della parte presa nella violazione alla legge; e vuole inoltre, che ciascuno risponda in proporzione alla influenza che ha esercitato sulla violazione stessa.

Di qui l’importanza della dottrina sulla complicità (1).

Art 580 Codice Penale

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

Art 5 Codice di Procedura Penale

Competenza della corte d’assise

Art 12 Codice di Procedura Penale

Casi di connessione:

Casi in cui il reato è commesso da più persone in concorso e cooperazione fra loro.

L’evoluzione della norma

Mentre nella Grecia classica si era saputo riconoscere la profonda eticità del suicidio, inteso come il più disperato di tutti gli atti di libertà, nella concezione aristotelica e successivamente nella cultura Romana, cominciò ad affacciarsi una concezione diversa, per cui il suicidio era inteso come un’offesa verso lo stato.

Quest’ultima interpretazione fu poi decisamente ampliata con l’avvento della dottrina cristiana, il suicidio fu classificato come un crimine gravissimo, equiparabile ad un omicidio, per cui la relativa condanna si accompagnava a sanzioni giuridiche oltre che religiose, nei confronti del suicida, dei suoi eredi e delle persone a lui vicine.

Alla repressione medievale, successe tuttavia nell’Europa del XVIII secolo una legislazione che che culminò con la depenalizzazione della relativa condotta tra la fine del 700 e i primi del 800 continuando a reprimere il suicidio sia consumato che tentato.

Tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 la riprovazione del suicidio divenne di carattere morale e criminologico anziché religioso portando ad una progressiva stigmatizzazione delle condotte che accedono al suicidio altrui o di chi acconsente alla propria morte, piuttosto che alla condotta suicida in se.

Ciò spiega perché l’articolo 370 del codice penale del 1889, in cui pure in mancanza di un’ipotesi criminosa corrispondente all’omicidio del consenziente, si incriminava l’istigazione o l’aiuto al suicidio, richiedendo che il suicidio fosse avvenuto in un ottica diversa rispetto a quella prevista nell’art. 580 del codice penale vigente in cui si incrimina il soggetto attivo laddove il suicidio non sia avvenuto, ma ne sia derivata una lesione grave o gravissima ma non prevede incriminazione nel caso di assenza di lesione materiale.

Non risulta agevole stabilire, distinguere nettamente il fatto punibile dell’omicidio su richiesta da quello non punibile della partecipazione al suicidio (Magro 2001, 224ss.).

Detta distinzione poggia sul ricorso ad un duplice criterio, l’uno di carattere oggettivo, legato al dominio del fatto, l’altro di carattere soggettivo, della direzione della volontà dell’autore.

La corte costituzionale ribadisce che la salute prima di essere un interesse collettivo, costituisce un diritto fondamentale della persona (Corte Cost.,26.7.1979, n88) fondato su doveri inderogabili di solidarietà sociale.

In questa prospettiva nel diritto alla salute non può che emergere anche il suo opposto ovverosia il diritto a non curarsi, comprensivo del diritto a morire, in quanto il rispetto dell’espresso rifiuto non integra il delitto di violenza privata. 

Al riguardo, in mancanza di una specifica norma appare difficile sostenerne la liceità in grado di legittimare la violazione di specifici diritti di libertà degli individui. 

Ragionando diversamente, il riconoscimento del diritto a morire visto come volontà dell’individuo di espletare la libertà di morire si considera legato alla certezza della volontà individuale legata al compimento dell’atto, considerando esclusa la mancanza di diligenza del buon padre di famiglia nell’impiego dell’attenzione e del soddisfacimento da parte delle persone e della società che circondano l’individuo manifestante la detta volontà.

Data la circostanziale incoerenza legata alla volontà di allontanamento da ambienti sociali solidali costituente opzione condizionale alla concessione della su detta libertà, si considerano manifestazioni contrastanti l’individuale volontà del soggetto e la sociale volontà che lo circonda.

Si evidenziano similitudini collettive ad esecuzioni personali su richiesta sociale legate a motivazioni spinte da cause di sofferenza reciproca e da mancanze di solidarietà tra soggetti appartenenti alla società stessa portando in essere consiglieri assistiti di individui conseguentemente manifestanti il diritto di libertà a morire per cause quali la mancanza di dignità sociale o la conseguente necessità terapeutica.  

L’articolo, ci dice, che il suicidio deve essere avvenuto o aver lasciato lesioni personali gravi; da ciò si può facilmente comprendere, che, finché la partecipazione sta nei limiti del tentativo non lesivo, non induce responsabilità nei partecipanti.

Ma nel caso in cui il suicidio fosse soltanto tentato e non avvenuto, invece sarebbe opportuno estendere la colpa e la pena perché si osserva, che, in primo luogo la volontà del terzo era diretta a far si che il suicidio avvenisse o l’istigazione tale da ricadere nella violazione del diritto della persona con il fatto tentato, ed in secondo luogo che se il suicidio non è avvenuto, ciò non deve darsi ad un atto contrario di volontà dell’istigatore, la quale volontà potrebbe riaversi nel futuro, bensì ad atti indipendenti dal suo volere.

Figura di delitto “sui generis”, di una forma fortemente atipica di compartecipazione, strutturata, per la sua configurabilità, sulle condotte alternative della “determinazione”, e dunque di un comportamento volto a far insorgere in altri l’idea, mai prima concepita e coltivata, di porre termine alla propria esistenza; ovvero del semplice “ausilio”, attività, quest’ultima, dal carattere meramente accessorio, di tipo “materiale”, strumentalmente funzionale alla realizzazione di un proposito suicidario già deliberato (2).

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(1) Istigazione al suicidio altrui, Silvio Lollini, Modena 1895, “Il suicidio nelle legislazioni e nella storia”, tipografia Aldo Cappelli.

(2) Carrara

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