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Sentenza – Interpretazione del contratto, criteri interpretativi

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Sentenza – Interpretazione del contratto, criteri interpretativi

Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile
Sentenza 28 aprile – 23 giugno 2014, n. 14206
Presidente Berruti – Relatore Cirillo

Svolgimento del processo

1. B.C. e C.A. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, M.A. , esponendo che essi, insieme al convenuto, erano soci della s.p.a. G.C. e che avevano sottoscritto col M. una convenzione in base alla quale gli attori si impegnavano a liberare il convenuto dalle fideiussioni a suo tempo prestate in favore delle banche e il convenuto, in cambio, si obbligava a trasferire loro la proprietà di tutte le azioni di cui era titolare. Era stato quindi stipulato il contratto in data 24 gennaio 2001, nel quale la cessione delle azioni veniva subordinata alla liberazione del M. entro il 30 giugno 2001. Tuttavia, pur avendo essi provveduto ai propri adempimenti, il convenuto si era rifiutato di sottoscrivere, davanti al notaio, l’atto ricognitivo dell’avvenuto perfezionamento della condizione.
Gli attori, pertanto, chiesero che fosse accertato e dichiarato che essi, in forza del contratto stipulato in data 24 gennaio 2001, erano divenuti titolari delle azioni loro cedute dal convenuto; ovvero, in via subordinata, che fosse pronunciata sentenza ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., disponendo in loro favore il trasferimento della proprietà delle azioni medesime.
Si costituì il M. , chiedendo il rigetto della domanda sul rilievo che la condizione sospensiva non si era, in realtà, avverata; in via riconvenzionale, poi, il convenuto chiese che fosse dichiarata la definitiva inefficacia dell’atto di cessione delle azioni.
Il Tribunale rigettò la domanda principale e dichiarò inammissibile quella riconvenzionale, condannando gli attori al pagamento delle spese.
2. La sentenza è stata appellata dal B. e dal C. in via principale e dal M. in via incidentale.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 6 novembre 2007, ha respinto entrambi gli appelli, ha confermato la sentenza impugnata ed ha integralmente compensato le spese del giudizio di secondo grado.
Ha osservato la Corte territoriale che dal tenore della scrittura privata del 24 gennaio 2001 risultava testualmente che la cessione delle azioni oggetto di causa era “sospensivamente condizionata alla liberazione delle fideiussioni bancarie entro il 30 giugno 2001, da riprodurre nell’atto notarile, nonché con rinnovazione dell’obbligazione di liberazione e manleva per esso cedente, che costituisce patto aggiunto all’atto notarile”. In coerenza con tale previsione, era stato stipulato l’atto notarile, in pari data, nel quale si era convenuto che la cessione delle azioni fosse sottoposta alla condizione sospensiva della totale liberazione del M. entro l’indicata data del 30 giugno 2001. Doveva quindi ritenersi, anche alla luce del fondamentale criterio di interpretazione del contratto contenuto nell’art. 1362 del codice civile, che la totale liberazione del M. era la condizione per il perfezionamento della cessione; liberazione da ottenere mediante rilascio di garanzie sostitutive rispetto a quelle in precedenza fornite dal socio che usciva dalla società. Tale interpretazione, in conformità alla previsione dell’art. 1371 cod. civ., era in grado di realizzare l’equo contemperamento dei reciproci interessi.
Ciò premesso, la Corte napoletana ha rilevato che dall’espletata istruttoria era emerso che la liberazione del convenuto non vi era stata, perché le lettere delle banche prodotte in atti dimostravano che esse si erano limitate a prendere atto della revoca delle fideiussioni prestate dal M. , ma avevano anche precisato che esse dovevano considerarsi ancora valide per il periodo precedente ciascuna revoca.
Quanto, infine, all’appello incidentale del M. , la Corte ha ribadito la tesi del Tribunale secondo cui tale domanda era stata tardivamente proposta.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propongono ricorso B.C. e C.A. , con unico atto affidato a tre motivi.
Resiste M.A. con controricorso.
Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omessa o, in subordine, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Rilevano i ricorrenti di aver posto in evidenza fin dal giudizio di primo grado che l’individuazione della condizione al cui verificarsi le parti avevano subordinato l’efficacia dell’atto di cessione non poteva avvenire in base alla sola scrittura autenticata del 24 gennaio 2001, ma doveva essere dedotta alla luce dell’altra scrittura (non autenticata) sottoscritta dalle parti nella stessa data. Dalla lettura coordinata delle due scritture, in una con la precedente convenzione del 18 ottobre 1999 conclusa tra le medesime parti, risultava chiaramente che la comune volontà delle parti non era quella di conseguire dichiarazioni liberatorie, da parte delle banche, aventi efficacia retroattiva. Poiché nella prassi bancaria non è conosciuta la liberazione retroattiva del fideiussore, la liberazione del M. poteva essere realizzata solo con lo strumento contrattualmente previsto, ossia l’espressa indicazione per cui i ricorrenti avrebbero tenuto indenne il M. da ogni pagamento eseguito per le obbligazioni esistenti fino al momento della cessazione dei vincoli derivanti dalla fideiussione. Questo essendo l’unico senso possibile degli accordi conclusi tra le parti, ne deriverebbe che la previsione della totale liberazione non può essere interpretata nel senso di una valenza retroattiva della medesima. Tale aspetto della vicenda sarebbe stato del tutto pretermesso dalla Corte d’appello, che si sarebbe limitata alla lettura della singola clausola senza tenere presente l’accordo nella sua globalità e senza valutare che l’espressa previsione dell’obbligo di tenere indenne il M. non avrebbe avuto alcun senso in caso di accoglimento dell’interpretazione fornita dalla Corte medesima.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 del codice civile.
Rilevano i ricorrenti che la sentenza impugnata, sul presupposto della sicura chiarezza degli accordi contrattuali, si è limitata a richiamare l’art. 1362 cod. civ., senza fare ricorso ad alcun ulteriore canone ermeneutico. Prendendo in esame il solo contenuto letterale della previsione, la sentenza ha ritenuto che la condizione sospensiva fosse costituita dalla integrale liberazione del M. da tutte le obbligazioni, passate e future, derivanti dalle prestate fideiussioni, con conseguente violazione delle norme in tema di interpretazione del contratto. Richiamando la giurisprudenza su quest’ultimo argomento, i ricorrenti rilevano che il criterio della interpretazione letterale preclude il ricorso ad altri criteri di interpretazione quando la volontà delle parti emerga in modo chiaro ed indiscutibile. Nel caso specifico, ciò che le parti intendevano ottenere era che il M. fosse sciolto, entro il 30 giugno 2001, dai vincoli di garanzia verso le banche, “assicurando al contempo allo stesso l’esonero totale da ogni pagamento che fosse derivato dalla ovvia operatività delle fideiussioni per il periodo pregresso”. Questo era il senso da attribuire alla locuzione totale liberazione prevista negli accordi tra le parti e questa era la condizione sospensiva cui era collegato l’effetto della cessione delle azioni.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1371 del codice civile.
Rilevano i ricorrenti che la sentenza in esame avrebbe errato nel fare applicazione del solo criterio di cui all’art. 1362, primo comma, cod. civ., senza tenere conto di quello contenuto nel secondo comma di detto articolo. Oltre a ciò, la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’ulteriore errore di ritenere non applicabile la norma di chiusura di cui all’art. 1371 cod. civ.; il criterio dell’equo contemperamento degli interessi tra le parti avrebbe dovuto imporre un’interpretazione nel senso che l’espressione totale liberazione fosse intesa nel senso meno gravoso per gli obbligati.
4. I tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in considerazione dell’intima connessione che li connota, sono tutti privi di fondamento.
4.1. In tema di interpretazione del contratto, questa Corte ha in più occasioni affermato che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da escludere la ricerca di una volontà diversa; precisandosi, poi, che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, considerando le singole clausole in correlazione tra loro, a norma dell’art. 1363 cod. civ. (sentenza 28 agosto 2007, n. 18180).
Quanto al coordinamento tra i vari criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., assai di recente si è ribadito che i canoni legali sono governati da un principio di gerarchia, tale che i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli c.d. integrativi e ne escludono la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti; e, nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi, assume un ruolo fondamentale quello fondato sul significato letterale delle parole (sentenza 11 marzo 2014, n. 5595).
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito anche, in più occasioni, che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche; per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati (sentenze 27 marzo 2007, n. 7500, e 30 aprile 2010, n. 10554). Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539, 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016).
4.2. Nel caso in esame la Corte d’appello di Napoli, correttamente richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ha posto in evidenza una serie di decisive circostanze: 1) nella scrittura privata del 24 gennaio 2001 le parti avevano testualmente previsto che la cessione delle azioni fosse sottoposta alla condizione sospensiva della totale liberazione del M. dalle fideiussioni bancarie entro il 30 giugno 2001; 2) tale liberazione doveva essere procurata dalla parte cessionaria “mediante rilascio di garanzie sostitutive di quelle a suo tempo prestate dal socio che fuoriusciva dalla compagine” sociale, ossia il M. ; 3) il fatto che nella coeva scrittura privata del 24 gennaio 2001 fosse prevista la permanenza dell’obbligo di manleva del M. dalle obbligazioni assunte non poteva in alcun modo interpretarsi nel senso che la menzionata liberazione totale fosse non retroattiva; 4) la lettura delle comunicazioni intercorse tra le banche creditrici ed il M. dimostrava senza alcun dubbio che la totale liberazione di costui non era avvenuta entro la data stabilita, perché gli istituti di credito si erano limitati a prendere atto del venire meno delle fideiussioni per il futuro, rimanendo la garanzia operante per il periodo precedente; 5) l’evento cui era sospensivamente condizionata la cessione delle azioni da parte del M. , pertanto, non si era verificato.
Si tratta, come facilmente si comprende, di una motivazione bene argomentata, priva di contraddizioni e di vizi logici, che resiste alle proposte censure.
I primi due motivi di ricorso, in particolare, insistono a lungo sul fatto che la liberazione del fideiussore, per costante prassi bancaria, non poteva essere retroattiva, sicché la permanenza dell’obbligo di manleva in capo agli odierni ricorrenti doveva ritenersi elemento sufficiente a far considerare avverata la condizione sospensiva. Ma tale ragionamento – che la Corte d’appello, come si è visto, ha espressamente confutato – attiene proprio a quell’attività di interpretazione che non può essere svolta in questa sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi alla verifica che il giudice di merito abbia fornito un’interpretazione del contratto ed abbia dato adeguata motivazione del perché tale interpretazione sia stata ritenuta l’unica possibile.
4.3. Quanto, poi, al terzo motivo di ricorso – nel quale si censura la mancata applicazione di altri criteri di interpretazione, fra i quali quello di cui all’art. 1371 cod. civ. – questa Corte osserva che la Corte d’appello di Napoli ha avuto cura di precisare che l’interpretazione accolta era tale da realizzare l’equo contemperamento degli interessi contrapposti, richiamando anche il carattere residuale dei criteri di cui al citato art. 1371. Il che, tra l’altro, è in armonia con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la disposizione dell’art. 1371 cod. civ., che impone di interpretare il contratto nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che esso realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso, ha carattere espressamente supplementare, ed è quindi applicabile solo nel caso in cui, malgrado il ricorso a tutti gli altri criteri previsti dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., la volontà delle parti rimanga dubbia (sentenza 6 novembre 2008, n. 26626).
4.4. Appare evidente, in definitiva, che i motivi dell’odierno ricorso, lungi dal prospettare un’effettiva violazione delle regole in tema di ermeneutica contrattuale, pongono, in realtà, una serie di censure finalizzate ad ottenere, in sede di legittimità, una diversa e non consentita interpretazione del contratto intercorso tra le parti.
5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

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