Separazione, lo shopping compulsivo è motivo di addebito
Separazione, lo shopping compulsivo è motivo di addebito
Suprema Corte di Cassazione Civile Prima Sezione
Sentenza n. 25842 del 18 novembre 2013
(a cura della Dott.ssa Venusia Catania)
La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 25842 del 18 novembre 2013 ha stabilito che la separazione dei coniugi va addebitata alla moglie che risulta essere affetta da “shopping compulsivo”.
I Giudici di Piazza Cavour hanno confermato la Sentenza di addebito della separazione emessa dalla Corte d’Appello, sulla base della CTU disposta dal Tribunale Civile che ha accertato, in capo alla moglie, la sussistenza della suddetta patologia in merito all’uso impulsivo del denaro guidato dall’ossessione all’acquisto di beni di varia natura.
La donna era perfettamente conscia della sua patologia e la stessa perizia medica ha escluso l’incapacità di intendere e volere, sussistendo solo un impulso compulsivo allo shopping tale da ritenersi un disturbo della personalità non sufficiente, però, per escludere la non imputabilità.
Infatti, i comportamenti riscontrati, quali furti di denaro ai familiari ed a terzi, acquisti frequenti e sempre più costosi, per i Giudici rientrano tra le cause di imputabilità e ne configurano la violazione dei doveri matrimoniali previsti dall’art. 143 c.c..
Articolo 143 Codice Civile
Diritti e doveri reciproci dei coniugi
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Testo sentenza : Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 18 novembre 2013 n. 25843