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Cassazione, violazione del debito di sicurezza, risarcimento del danno e prescrizione

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Sentenze Cassazione 2013

Cassazione, violazione del debito di sicurezza, risarcimento del danno e prescrizione
Suprema Corte di Cassazione – Sezione Lavoro
Sentenza del 6 maggio 2013, n. 10414

Con la sentenza in esame la Cassazione tratta il tema del risarcimento del danno per violazione dei debito di sicurezza chiarendo in maniera dettagliata quale sia termine di prescrizione applicabile.

…omissis…

Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 1218, 2043, 2087, 2946, 2947, 2948 e 2959 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale applicato il termine quinquennale di prescrizione esaminando la domanda esclusivamente con riferimento all’art. 2043 c.c., e non anche con riferimento all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro in relazione al debito di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., pur invocato dal ricorrente.

Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 2059, 2087, 2935, 2043, 2946, 2947 e 2948 c.c., nonchè di vizio di motivazione, per avere l’impugnata sentenza escluso che la convocazione innanzi all’UPLMO per il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c., interrompa la prescrizione, per altro senza che la società convenuta abbia mai negato di essere stata convocata (convocazione che risultava dal verbale di mancata conciliazione) e senza che la CO.TRAL. abbia mai eccepito l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del previo tentativo di conciliazione; a ciò deve aggiungersi – conclude il ricorrente – che la Corte territoriale, nell’individuare il dies a quo della decorrenza della prescrizione, ha trascurato che il D. ha avuto certezza della malattia soltanto il 7.6.06, data della sentenza della Corte d’appello di Roma che ha riconosciuto, in riforma della pronuncia di prime cure, l’origine professionale della malattia medesima; da ultimo, il ricorrente censura la mancata ammissione di una CTU volta ad accertare il nesso causale fra patologia e condotta del datore di lavoro, con percentualizzazione del danno.

2 – I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono fondati.

Si premetta che l’abrogazione della L. n. 633 del 1957, ad opera del D.L. n. 112 del 1908, è irrilevante nel caso di specie, essendo intervenuta dopo la notifica del ricorso introduttivo di lite (sicchè o il diritto era già prescritto a quella data o non può esserlo stato successivamente, visto l’effetto interruttivo permanente della notifica del ricorso).

Del pari irrilevante è affermare che nel caso di specie la fonte dell’obbligazione risarcitoria sarebbe un illecito permanente (come sostenuto nella memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dal ricorrente), atteso che dalla sentenza impugnata risulta che le mansioni di guida considerate quale causa del danno sono comunque cessate nel 1995, vale a dire prima del dies a quo del termine di prescrizione, che nella specie la Corte territoriale ha individuato nel 14.10.96.

Ciò detto, si consideri che la L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, stabilisce che nei rapporti di lavoro soggetti alle norme del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, il diritto a competenze arretrate e ad altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale si prescrive nel termine previsto negli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c..

Ciò detto, ritiene questa S.C. di dover dare continuità all’insegnamento già espresso da Cass. 25.11.81 n. 6262, secondo il quale “Nel campo del rapporto di lavoro dei ferrotranvieri ed equiparati, per domanda giudiziale relativa a diritti esclusivamente patrimoniali – soggetta alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4 – deve intendersi ogni pretesa che, a differenza di quelle aventi natura patrimoniale soltanto come effetto meramente riflesso e consequenziale, abbia come petitum, e cioè come oggetto immediato e diretto, il pagamento di una determinata somma di danaro, ancorchè la controversia investa non solo il quantum, ma anche l’an del credito vantato, ed ancorchè, ai fini della decisione, occorra necessariamente esaminare, in via preliminare, questioni di per sè prive di un immediato e diretto contenuto patrimoniale”. (nello stesso senso v., altresì, Cass. 9.7.76 n. 2632; Cass. n. 4085/74;

Cass. n. 3283/73; Cass. n. 257/73; Cass. n. 2027/69).

Nel caso di specie è indubbio che il risarcimento del danno biologico costituisce mero effetto patrimoniale riflesso della violazione del diritto, di natura non patrimoniale, all’integrità psicofisica del lavoratore, diritto che costituisce oggetto della tutela in via giudiziaria invocata dall’odierno ricorrente.

Per di più, la contraria esegesi accolta dall’impugnata sentenza trascura che l’esplicito rinvio – contenuto nella L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, – ai termini di prescrizione previsti dagli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c., obiettivamente evoca termini relativi a diritti di natura non risarcitoria e che l’assoggettare ad un termine breve il credito risarcitorio da danno biologico del dipendente di azienda ferrotranviaria si risolverebbe in un’interpretazione suscettibile di determinare un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quello riconosciuto ad altri lavoratori subordinati cui, invece, si applica il termine decennale di prescrizione in caso di credito derivante da inadempimento contrattuale del debito di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c. (cfr. Cass. 30.3.11 n. 7272).

Oltre ad essere costituzionalmente conforme, la conclusione per cui il termine di prescrizione di cui alla cit. L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, si riferisce a diritti di natura lato sensu retributiva e non a diritti di natura risarcitoria per violazione del diritto alla salute è altresì avvalorata dal rilievo che la norma menziona espressamente solo “competenze arretrate” e altre “prestazioni, con ciò suggerendo il riferimento esclusivo a diritti di credito costituenti oggetto del normale sinallagma funzionale del rapporto di lavoro.

Ne consegue che, tenuto conto del dies a quo del termine prescrizionale individuato dalla sentenza impugnata (14.10.96), alla data di notifica del ricorso introduttivo della lite (29.10.01) la prescrizione decennale non era ancora maturata.

3 – L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso assorbe la disamina del terzo.

4 – In conclusione, accolti i primi due motivi di ricorso e assorbito il terzo, la sentenza impugnata è da cassarsi in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “La L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, – secondo il quale nei rapporti di lavoro soggetti alle norme del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, il diritto a competenze arretrate e ad altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale si prescrive nel termine previsto negli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c. -, non si applica alla domanda di risarcimento del danno da violazione del debito di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., cui è invece applicabile l’ordinario termine decennale di prescrizione previsto dall’art. 2946 c.c.”.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013

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