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Equivalenza tra attenuanti e recidiva, ecco cosa dicono le SS.UU.

Testo della sentenza n. 31669/2016

Equivalenza tra attenuanti e recidiva, ecco cosa dicono le SS.UU.
SS.UU. Sentenza n. 31669/2016

Articolo a cura dell’Avv. Gaia Li Causi

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Investita della questione inerente il rapporto tra gli artt. 81, 4° comma c.p. e 99, 4° comma c.p. , la Quinta Sezione della Corte di Cassazione – rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale – ha pronunciato ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, formulando il seguente quesito: “Se il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma c.p., nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma c.p., operi anche quando il giudice consideri la recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti”.

In passato si erano registrati due contrapposti orientamenti. Uno, maggioritario, secondo cui anche nel caso di recidiva ritenuta equivalente alle attenuanti generiche deve operare il limite minimo di un terzo previsto dall’art. 81, 4° comma. L’altro, minoritario, per cui a seguito della ritenuta equivalenza, tra recidiva ed attenuanti generiche, si produrrebbe un sostanziale annullamento degli effettiva dell’istituto della recidiva.

Con la sentenza n. 31669 del 23.06.2016, depositata il 21.07.2016, le Sezioni Unite hanno definitivamente risolto il contrasto giurisprudenziale, sposando il primo orientamento ed affermando il seguente principio: Il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, 4° comma c.p., nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, 4° comma c.p., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

Nel ragionamento seguito dai Giudici della Suprema Corte fondamentale è stata la corretta interpretazione del verbo “applicare” di cui all’art. 81, 4° comma c.p.

Premesso come la recidiva abbia natura di circostanza aggravante facoltativa – con conseguente possibilità per il Giudice di escluderla laddove non appaia concretamente sintomatica di una maggiore colpevolezza e pericolosità dell’agente – i Giudici della Suprema Corte precisano come però vi sia una profonda e
sostanziale differenza tra la c.d. “esclusione” della recidiva e la sola “dichiarazione di equivalenza” di essa con le attenuanti generiche.

Solo nel caso di “esclusione”, infatti, è possibile considerare la recidiva tamquam non esset ai fini sanzionatori.

Ben diversa è invece la mera dichiarazione di equivalenza. In tal caso il Giudice, pur se ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti, ha comunque applicato la recidiva, dovendo quindi essa necessariamente produrre e determinare tutte le conseguenze pregiudizievoli previste dalla legge, compreso il limite minimo di aumento di pena previsto dall’art. 81, 4° comma c.p.

Il Giudice, in conclusione, è posto innanzi ad una scelta secca. Escludere la recidiva, annullando quindi in toto tutti gli effetti che da essa deriverebbero; oppure applicare la recidiva, con la conseguenza che però si produrranno tutte le limitazioni previste dalla legge a seguito del riconoscimento dello status di recidivo reiterato. Ex multis, quindi, divieto di dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti in sede di giudizio di comparizione (art. 69, 4° comma c.p.), e divieto di determinare l’aumento della pena previsto in caso di reato continuato in misura inferiore a un terzo della pena stabilita per la violazione più grave (ex art. 81, 4° comma c.p.).

Normativa di riferimento:

Articolo 81 Codice Penale
Concorso formale. Reato continuato

È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.
Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave.

Articolo 99 Codice Penale
Recidiva

Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
 La pena può essere aumentata fino alla metà:
 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole;
 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;
 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.
Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà.
Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.
Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.
In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

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